Poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

A Venere

E te, leggiadra Venere,
Te canteremo ancora,
O Dea, più fresca e rosea
Della serena Aurora;
Te, cui le Grazie morbide
Sieguon coi biondi Amori,
Te, che tra Giuno e Pallade
Avesti i primi onori.
Ma non avrai di giubilo
Canti, vezzosa Dea;
Suoni giocosi ed ilari
La cetra un dì spargea;
Or già non più: ché scorsero
Què sì beati giorni,
Sacri ad amor purissimo,
Da mutua pace adorni.
Me di fanciulla instabile
Arde l'incerta fede;
Mal possono le lagrime
Di cui le bagno il piede.
A te ricorro io supplice,
O tra la belle bella;
Almen tu, piega l'anima
Della mia rea donzella.
Te di Neera il tenero
Cantor chiamar solea,
Quando fra voti flebili
All'are tue sedea;
E con fragranti aromati,
Con fiori al suol, dispersi
Su la gemente cetera
A te innalzava i versi.
L'aitasti, o Dea? Le lagrime
Tergesti a lui pietosa?
Tornò per te a quel misero
La ninfa sua ritrosa?
Ah no! Tu, Diva idalia,
Che in ogni dove imperi
Su l'infelice giovane
Giravi i lumi alteri.
Né Adon membrasti, e i gemiti,
E il ripercosso petto,
Allor che in sé porgeati
Dè mali suoi l'aspetto,
Te pure Amor con l'aureo
Dardo, te pur ferìo;
Lo sa il tuo cor medesimo
Quanto è tiran quel Dio.
Pianti d'amor sgorgarono
Dal tuo beante ciglio;
Eppur, ch'il crede? Piacquero
Quei pianti al crudo figlio
Pietà, gran Dea: d'un misero
aleggia i tristi affanni,
Che di sua, età più florida
Consacra a te i begli anni.
Pietà! - La mesta effigie
Del volto mio tu mostra,
Tra le sognate immagini
A la fanciulla nostra.
Fà che il suo cor le palpiti
Con moto non più inteso;
Fà che di fiamma ingenua
Sentasi il core acceso.
Ah! se da quel di porpora
Labbro suonar io sento,
T'amo, per me nettareo
Per me beato accento;
Sacerdotessa, o Venere,
Sempre farò che sia
Attenta ai tuoi misterii
Questa fanciulla mia.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    I. Alla bellezza.

    O tu, cui dolce imperio
    Sa i cor natura diede,
    Bionda beltà, cui servono
    Tenero Amore e Fede,
         De' versi miei spontanei
    Accetta ingenuo dono,
    Se a te i miei versi piacciono
    Anch'io poeta or sono.
         D'un tuo sorriso roseo
    Irraggia i canti miei,
    Che i tuoi sorrisi beano
    Fin su l'Olimpo i Dei.
         Tu di leggiadra vergine
    Splendi negli occhi vaghi,
    Donde con dardi amabili
    Soavemente impiaghi;
         E tu sul labbro armonico,
    O Dea, vi stai scolpita,
    Che mentre accenti modula
    A sospirare invita.
         Ancelle tue ti sieguono
    Le linde Grazie, e stanno
    TuttE su un braccio latteo
    Con cui tu tessi inganno;
         Inganno tessi; e all'anima
    D'un giovanetto amante
    Rendi più dolce e tenero
    Il vezzo più incostante.
         Ma, o bionda Dea, se furono
    A te miei spirti avvinti,
    Se i miei versi cantarono
    Da' tuoi color dipinti;
         Pietà d'un Vate: al misero
    Gli arde fanciulla il seno;
    Fa' ch'ella sia più stabile,
    O men vezzosa almeno.
         Vola ne' dì purpurei
    Il garzoncel di Flora;
    Vieni, ella dice, o Zefiro,
    In braccio a chi t'adora;
          Vieni.... Ma sordo e celere
    Ei fugge, e non l'ascolta;
    Quando a lui piace è libero,
    E la catena ha sciolta.
         Ahi che pur scioglie il laccio
    Questa tiranna mia;
    Ama; ma impune fuggesi
    D'amor s'ella il desia.
         Lasso! ch'io pur desidero
    Fuggir da' lacci suoi,
    Ma tu, Beltade amabile,
    Tu consentir non vuoi
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Principio del paradiso perduto

      Dell'uom la prima inobbedienza e il frutto
      Dell'arbore vietata, onde l'assaggio
      Diede noi tutti a morte e all'infinite
      Miserie, lungo dal perduto Edenne,
      Finché l'uomo divino alle beate
      Perdute sedi redentor ne assunse,
      Canta, o Musa celeste! E tu in Orebbo,
      E tu del Sinai sul secreto giro
      Già spiravi il pastori che...
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Il mio tempo

        ODE.

        Chi medita fra 'l tacito
        Saggio orrore di grotte,
        E di Giob su le pagine
        Tragge vigile nette,
        E chi in ribrezzo fugge
        Donde la colpa rugge?

             Guai guai! d'ira e giustizia
        Il Lione passeggia,
        Le zampe e i labbri insanguina
        Entro splendida reggia, 10
        E all'universo folle
        Un regicidio estolle.

             Tutto imperversa: ingemina
        Il nitrir de' cavalli,
        Mentre fra bronzi orrisoni
        Rimbombano i timballi,
        E infuriata guerra
        Cittadi sfianca e atterra

             Ma qual candida Vergine
        In puro ammanto ascosa
        Fra gli orrori dell'eremo
        In grembo a Dio riposa,
        E il volto ingenuo copre
        Rimpetto a orribil opre!

             Vien meco, o Eletta, a piangere
        Il soqquadrato mondo,
        Ch'ode gli eterei fulmini,
        E corre furibondo
        A trar suoi giorni eterni
        Ne' spalancati averni:

             Vieni; e stringendo in lagrime
        L'insanguinata Croce,
        A Dio manda fra 'l gemito
        Pietosa innocua voce,
        Mentr'io per l'erbe intanto
        Di terror spargo un canto.

             Vedilo! È Dio che l'aere
        Sol con un braccio occupa,
        Ed accigliato spazia
        Entro tuonante e cupa
        Carca di piaghe nube,
        Mentre ai fulmini jube.

             Forse avverrà che al flebile
        Suono di tue parole
        A noi s'apra più splendido
        Di sua pietade il sole,
        E dall'olimpio trono
        Spanda mite perdono.

             Già di sterminio l'Angelo
        Su Morte accavalcato
        Punìa dell'empia Ninive
        Il delitto ostinato;
        Già vibrava furente
        Su lei brando rovete;

             Ma al suol sparsa di cenere
        Penitenza prostrosse,
        E squallida di Jehova
        L'augusta ira rimosse,
        Ed arrestò la mano
        Al feritor sovrano.
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          Siamo composti con brani di morti
          uguali a città
          rifatte da macerie di secoli.

          Allora al comune bivacco eravamo
          tutti disperati e volevamo
          morire per sentirci più vivi.

          Non questo certo era l'augurio!
          La nuova parola è stata uccisa
          Dal piombo sulle bocche squarciate.

          Una mediazione invocavano morendo
          tra l'avvenimento grande e la sorte di ognuno,
          l'avvento attendevano dell'uomo umile.

          Ma noi rimpiangemmo le vecchie catene
          come il popolo ambiva nel deserto
          l'ossequio al re per le sicure ghiande:

          non vogliamo il rischio di essere liberi,
          il peso di dover decidere da noi
          e l'amore di farci poveri.

          Da sotterra urlano i morti
          e per le strade vanno
          come nell'ora dell'agonia di Cristo.

          Per le strade vagano i fratelli
          senza casa, liberi
          d'ogni ragione d'essere morti.

          La notte è simile al giorno
          Il bene al male s'eguaglia,
          spoglio quale una pianura d'inverno.
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            Dopo un lungo silenzio

            Parole dopo lungo silenzio; è giusto
            Ogni altro amante allontanato o morto,
            La luce ostile della lampada velata,
            Le tendine abbassate sopra la notte ostile,
            Giusto che discutiamo e discettiamo
            Sul tema supremo dell'Arte e del Canto:
            Decrepitezza del corpo è saggezza;
            Giovani ci amavamo e eravamo ignoranti.
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              Rovine

              Non è vero che hanno distrutto
              le case, non è vero:
              solo è vero in quel muro diruto
              l'avanzarsi del cielo

              a piene mani, a pieno petto,
              dove ignoti sognarono,
              o vivendo sognare credettero,
              quelli che son spariti…

              Ora aspetta all'ombra spezzata
              il gioco d'altri tempi,
              sopra i muri, nell'alba assolata,
              imitarne gli accenti….

              e nel vuoto, alla rondine, che passa.
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                Scritta da: Silvana Stremiz
                Da L'Italia sepolta sotto la neve
                (Parte quarta, Le trenta miserie d'Italia)

                XII

                La miseria della misera Italia numero
                dodici
                la testa in fiamme la sterpaglia
                della festa dei pensieri paglia che
                avvampa brucia fra braci di fumo.
                Si consumano notizie mescolate al ricordo
                di vecchie età
                l'armamentario sul carro della vita
                in corsa
                è spazio di fresca primavera.
                Altrove polvere sollevata dall'auto nella
                strada di campagna
                odora di mele mentre il merlo s'allontana
                stride forte a filo dell'erba lungo il mare
                siepi siepi siepi di oleandri abbandonati e
                pini scavezzati dai venti secolari
                camminano a terra.
                Può la morte ordire il suo acuminato
                massacro
                ridurre in cenere il delfino
                il vascello in fuoco
                la sovrastante nuvola in ciclone e
                travolgere la vita?
                Il fervore trascinato in gorgo
                l'esistente in un attimo è scomparso
                giovinezza è il ricordo poi sull'occhio
                chiuso
                del cielo interminabile di tetti
                e alla fine dimenticare la tomba
                dei vecchi eroi?
                Quante primavere gli uomini fuggitivi
                abbandonano alle giovani ali che
                arrivano portate dal garbino?
                Si può considerare l'opportunità
                di non rassegnarsi
                bruciare il carro del vincitore
                anche le nostre bandiere.
                Per favore.
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