Vieni, compiangiamoli quelli che stanno meglio di noi. Vieni, amica, e ricorda che i ricchi han maggiordomi e non amici, E noi abbiamo amici e non maggiordomi. Vieni, compiangiamo gli sposati e i non sposati. L'aurora entra a passettini come una dorata Pavlova, E io son presso al mio desiderio. Ne ha la vita in sé qualcosa di migliore Che quest'ora di chiara freschezza, l'ora di svegliarsi in amore.
Come posso ritrovare la mia pace se il ristoro del sonno mi è negato? Se l'affanno del giorno non riposa nella notte ma giorno da notte è oppresso e notte da giorno? Ed entrambi, anche se l'un l'altro ostili, d'accordo si dan mano solo per torturarmi l'uno con la fatica, l'altra con l'angoscia di esser da te lontano, sempre più lontano. Per cattivarmi il giorno gli dico che sei luce e lo abbellisci se nubi oscurano il suo cielo: così pur blandisco la cupa notte dicendo che tu inargenti la sera se non brillano stelle. Ma il giorno ogni giorno prolunga le mie pene e la notte ogni notte fa il mio dolor più greve.
Miei occhi e il cuore son venuti a patti (Sonetto 47)
I miei occhi e il cuore son venuti a patti ed or ciascuno all'altro il suo ben riversa: se i miei occhi son desiosi di uno sguardo, o il cuore innamorato si distrugge di sospiri, gli occhi allor festeggian l'effigie del mio amore e al fantastico banchetto invitano il mio cuore; un'altra volta gli occhi son ospiti del cuore che a lor partecipa il suo pensier d'amore. Così, per la tua immagine o per il mio amore, anche se lontano sei sempre in me presente; perché non puoi andare oltre i miei pensieri e sempre io son con loro ed essi son con te; o se essi dormono, in me la tua visione desta il cuore mio a delizia sua e degli occhi.
Per quel giorno, se mai verrà quel giorno (Sonetto 49)
Per quel giorno, se mai verrà quel giorno, in cui ti vedrò accigliare ad ogni mio difetto, e chiuderà il tuo amore il suo conto estremo spinto a tal giudizio da sagge riflessioni: per quel giorno in cui m'incontrerai da estraneo senza volgere al mio viso il sole dei tuoi occhi, e l'amor, mutato da quel era un tempo, troverà ragioni di una certa gravità: per quel giorno, dovrò cercare asilo dentro la coscienza dei miei soli meriti, e alzerò davanti a me questa mia mano per parare quanto addurrai a tua ragione. Per lasciar me miserabile tu hai la forza delle leggi mentre io d'esser amato non posso vantar diritti.
Dovrei paragonarti ad un giorno d'estate? (Sonetto 18)
Dovrei paragonarti ad un giorno d'estate? Tu sei ben più raggiante e mite: venti furiosi scuotono le tenere gemme di maggio e il corso dell'estate ha vita troppo breve: talvolta troppo cocente splende l'occhio del cielo e spesso il suo volto d'oro si rabbuia e ogni bello talvolta da beltà si stacca, spoglio dal caso o dal mutevol corso di natura. Ma la tua eterna estate non dovrà sfiorire nè perdere possesso del bello che tu hai; nè morte vantarsi che vaghi nella sua ombra, perché al tempo contrasterai la tua eternità: finché ci sarà un respiro od occhi per vedere questi versi avranno luce e ti daranno vita.
È Natale… Natale?… Notte: uno scampanio lontano…La mia penna, senza fede, sul foglio cade. I ricordi cantano: dilegua, ecco, l'orgoglio, e la tristezza permea tutto l'essere mio…
Ah, voci della notte; ricantano: "È Natale"; da laggiù, dalla chiesa che s'accende all'interno m'arriva come un dolce rimprovero materno, e il cuore mi si gonfia tanto da farmi male…
È notte. Ascolto a lungo quel suono di campane… O famiglia dei vivi, ecco, sono il tuo paria Nel cui stambugio a tratti giungono sopra l'aria Le voci d'una festa, commoventi e lontane….
Poi le luci girando al vicin colle, dov'era il cespo che ' bel piè trafisse, fermossi alquanto a rimirarlo, e volle il suo fior salutar pria che partisse; e vedutolo ancor stillante e molle quivi porporeggiar, così gli disse: "Sàlviti il Ciel da tutti oltraggi e danni, fatal cagion dei miei felici affanni: Rosa, riso d'Amor, del Ciel fattura, rosa del sangue mio fatta vermiglia, pregio del mondo e fregio di natura, de la Terra e del Sol vergine figlia, d'ogni ninfa e pastor delizia e cura, onor de l'odorifera famiglia, tu tien d'ogni beltà le palme prime, sovra il vulgo dè fior Donna sublime. Quasi in bel trono Imperatrice altera siedi colà su la nativa sponda. Turba d'aure vezzosa e lusinghiera ti corteggia d'intorno e ti seconda; e di guardie pungenti armata schiera ti difende per tutto, e ti circonda. E tu fastosa del tuo regio vanto porti d'or la corona e d'ostro il manto. Porpora dè giardin, pompa dè prati, gemma di primavera, occhio d'aprile, dite le Grazie e gli Amoretti alati fan ghirlanda a la chioma, al sen monile. Tu, qualor torna a gli alimenti usati ape leggiadra o zeffiro gentile, dài lor da bere in tazza di rubini rugiadosi licori e cristallini. Non superbisca ambizioso il Sole di trionfar fra le minori stelle, che ancor tu fra i ligustri e le viole scopri le pompe tue superbe e belle. Tu sei con tue bellezze uniche e sole splendor di queste piagge, egli di quelle. Egli nel cerchio suo, tu nel tuo stelo, tu Sole in terra, ed egli rosa in cielo. E ben saran tra voi conformi voglie: dite fia '1 Sole, e tu del Sole amante, ei de l'insegne tue, de le tue spoglie l'aurora vestirà nel suo levante. Tu spiegherai nè crini e ne le foglie la sua livrea dorata e fiammeggiante, e per ritrarlo ed imitarlo appieno porterai sempre un picciol Sole in seno. "
Fanciulle dal canto di miele, dalla voce sacra, non più le membra possono portarmi. Oh, fossi io un cerilo, che sul fiore dell'onda, insieme alle alcioni vola, con il cuore che non conosce paura, sacro uccello, colore della porpora marina.