Poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

Terzo ricordo

Ancora i valzer del cielo non avevano sposato il gelsomino e la neve,
né i venti riflettuto la possibile musica dei tuoi capelli,
né decretato il re che la violetta fosse sepolta in un libro.

No.

Era l'età nella quale viaggiava la rondine
senza le nostre iniziali nel becco.
Quando convolvoli e campanule
morivano senza balconi da scalare né stelle.

L'età
nella quale sull'omero di un uccello non c'era fiore che posasse il capo.

Allora, dietro al tuo ventaglio, la nostra prima luna.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Secondo ricordo

    Anche prima,
    molto prima della rivolta delle ombre,
    e che nel mondo cadessero piume incendiate
    e un uccello potesse essere ucciso da un giglio.

    Prima,
    prima che tu mi domandassi
    il numero e il sito del mio corpo.

    Assai prima del corpo.

    Nell'epoca dell'anima.

    Quando tu apristi nella fronte non coronata, del cielo,
    la prima dinastia del sogno.

    Allorché,
    contemplandomi nel nulla,
    inventasti la prima parola.

    Allora,
    il nostro incontro.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Prologo (Tre ricordi dal cielo)

      Non aveva la rosa compleanni o l'arcangelo.
      Tutto, anteriore al pianto e al belato.
      Quando ancora la luce non sapeva
      se il mare nascerebbe maschio o femmina.
      Quando il vento sognava chiome da pettinare
      e garofani il fuoco e gote da infiammare
      e l'acqua, delle labbra ferme a cui abbeverarsi.
      Tutto, anteriore al corpo, al nome e al tempo.

      Allora io ricordo che una volta nel cielo...
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Primo ricordo

        "Passeggiava con l'abbandono di giglio che mediti,
        o quasi d'uccello che sappia di dover nascere.
        Senza vedersi si guardava in una luna a cui il sogno faceva da specchio,
        in un silenzio di neve che innalzava i passi.
        Affacciata a un silenzio.
        Era anteriore all'arpa, alle parole, alla pioggia.
        Non sapeva.
        Bianca alunna dell'aria,
        tremava con le stelle, con il fiore e con gli alberi.
        Il suo stelo, la verde sua cintura.
        Con le mie stelle
        che, di tutto ignoranti,
        per scavar nei suoi occhi due lagune
        lei in due mari annegarono.

        E ricordo...

        niente più: morta, sparire. "
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          Amaranta

          Biondi, lucidi seni di Amaranta,
          limati da una lingua di levriero.
          Portico di limoni, dal sentiero
          disviati che alla tua gola monta.

          Rosso, un ponte di riccioli sormonta
          il volto e incendia i tuoi ondulati avorii.
          Morde e ferisce dei denti il biancore,
          curvo, per aria, ti innalza nel vento.

          Solitudine dorme in ombratura,
          calza il suo piede di zeffiro e scende
          dall'alto olmo al mar della pianura.

          E il corpo in ombra, oscuro, le si accende,
          e gladiatrice, come brace impura,
          tra Amaranta e il suo amante si distende.
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            L'angelo buono

            Venne quello che amavo,
            quello che invocavo.
            Non quello che spazza cieli senza difese,
            astri senza capanne,
            lune senza patria,
            nevi.
            Nevi di quelle cadute da una mano,
            un nome,
            un sogno,
            una fronte.
            Non quello che alla sua chioma
            legò la morte.
            Quello che io amavo.
            Senza graffiare i venti,
            senza foglia ferire né smuovere cristalli.
            Quello che alla sua chioma
            legò il silenzio.
            Senza farmi del male,
            per scavarmi un argine di dolce luce nel petto
            e rendermi l'anima navigabile.
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              La neve cade

              La neve cade, la neve cade
              Alle bianche stelline in tempesta
              Si protendono i fiori del geranio
              Dallo stipite della finestra:
              La neve cade e ogni cosa è in subbuglio,
              ogni cosa si lancia in un volo,
              i gradini della nera scala,
              la svolta del crocicchio.
              La neve cade, la neve cade,
              come se non cadessero i fiocchi,
              ma in un mantello rattoppato
              scendesse a terra la volta celeste.
              Come se con l'aspetto di un bislacco
              Dal pianerottolo in cima alle scale,
              di soppiatto, giocando a rimpiattino,
              scendesse il cielo dalla soffitta.
              Perché la vita stringe. Non fai a tempo
              A girarti dattorno, ed è Natale.
              Solo un breve intervallo:
              guardi, ed è l'Anno Nuovo.
              Densa, densissima la neve cade.
              E chi sa che il tempo non trascorra
              Per le stesse orme, nello stesso ritmo,
              con la stessa rapidità o pigrizia,
              tenendo il passo con lei?
              Chi sa che gli anni, l'uno dietro l'altro,
              non si succedano come la neve,
              o come le parole d'un poema?
              La neve cade, la neve cade,
              la neve cade e ogni cosa è in subbuglio:
              il pedone imbiancato,
              le piante sorprese,
              la svolta del crocicchio.
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                La stella di Natale

                Era pieno inverno.
                Soffiava il vento della steppa.
                E aveva freddo il neonato nella grotta
                Sul pendio della collina.

                L'alito del bue lo riscaldava.
                Animali domestici
                stavano nella grotta,
                sulla culla vagava un tiepido vapore.

                Scossi dalle pelli le paglie del giaciglio
                e i grani di miglio,
                dalle rupi guardavano
                assonnati i pastori gli spazi della mezzanotte.

                Lontano, la pianura sotto la neve, e il cimitero
                e recinti e pietre tombali
                e stanghe di carri confitte nella neve,
                e sul cimitero il cielo tutto stellato.

                E lì accanto, mai vista sino allora,
                più modesta d'un lucignolo
                alla finestrella d'un capanno,
                traluceva una stella sulla strada di Betlemme.



                Per quella stessa via, per le stesse contrade
                degli angeli andavano, mescolati alla folla.
                L'incorporeità li rendeva invisibili,
                ma a ogni passo lasciavano l'impronta d'un piede.

                Una folla di popolo si accalcava presso la rupe.
                Albeggiava. Apparivano i tronchi dei cedri.
                E a loro, "chi siete? " domandò Maria.
                "Noi, stirpe di pastori e inviati del cielo,
                siamo venuti a cantare lodi a voi due".
                "Non si può, tutti insieme. Aspettate alla soglia".

                Nella foschia di cenere, che precede il mattino,
                battevano i piedi mulattieri e allevatori.
                Gli appiedati imprecavano contro quelli a cavallo;
                e accanto al tronco cavo dell'abbeverata
                mugliavano i cammelli, scalciavano gli asini.

                Albeggiava. Dalla volta celeste l'alba spazzava,
                come granelli di cenere, le ultime stelle.
                E della innumerevole folla solo i Magi
                Maria lasciò entrare nell'apertura rocciosa.

                Lui dormiva, splendente, in una mangiatoia di quercia,
                come un raggio di luna dentro un albero cavo.
                Invece di calde pelli di pecora,
                le labbra d'un asino e le nari d'un bue.

                I Magi, nell'ombra, in quel buio di stalla
                Sussurravano, trovando a stento le parole.
                A un tratto qualcuno, nell'oscurità,
                con una mano scostò un poco a sinistra
                dalla mangiatoia uno dei tre Magi;
                e quello si voltò: dalla soglia, come in visita,
                alla Vergine guardava la stella di Natale.
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                  Scritta da: Silvana Stremiz

                  Dichiarazione

                  Essere donna è un gran passo,
                  fare impazzire, eroismo.

                  E io dinnanzi al miracolo di mani,
                  schiena, spalle e di un collo di donna
                  con devozione di servo
                  la vita tutta riverisco.

                  Ma per quanto la notte m'incateni
                  con un anello d'angoscia,
                  più forte è al mondo l'aspirazione ad evadere
                  e la passione attira alle rotture.
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