Poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

La casa dei doganieri

Tu non ricordi la casa dei doganieri
sul rialzo a strapiombo sulla scogliera:
desolata t'attende dalla sera
in cui v'entrò lo sciame dei tuoi pensieri
e vi sostò irrequieto.

Libeccio sferza da anni le vecchie mura
e il suono del tuo riso non è più lieto:
la bussola va impazzita all'avventura
e il calcolo dei dadi più non torna.

Tu non ricordi; altro tempo frastorna
la tua memoria; un filo s'addipana.

Ne tengo ancora un capo; ma s'allontana
la casa e in cima al tetto la banderuola
affumicata gira senza pietà.
Ne tengo un capo; ma tu resti sola
nè qui respiri nell'oscurità.

Oh l'orizzonte in fuga, dove s'accende
rara la luce della petroliera!
Il varco è qui? (ripullula il frangente
ancora sulla balza che scoscende... ).
Tu non ricordi la casa di questa
mia sera. Ed io non so chi va e chi resta.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Arsenio

    I turbini sollevano la polvere
    sui tetti, a mulinelli, e sugli spiazzi
    deserti, ove i cavalli incappucciati
    annusano la terra, fermi innanzi
    ai vetri luccicanti degli alberghi.
    Sul corso, in faccia al mare, tu discendi
    in questo giorno
    or piovorno ora acceso, in cui par scatti
    a sconvolgerne l'ore
    uguali, strette in trama, un ritornello
    di castagnette.
    È il segno d'un'altra orbita: tu seguilo.
    Discendi all'orizzonte che sovrasta
    una tromba di piombo, alta sui gorghi,
    più d'essi vagabonda: salso nembo
    vorticante, soffiato dal ribelle
    elemento alle nubi; fa che il passo
    su la ghiaia ti scricchioli e t'inciampi
    il viluppo dell'alghe: quell'istante
    è forse, molto atteso, che ti scampi
    dal finire il tuo viaggio, anello d'una
    catena, immoto andare, oh troppo noto
    delirio, Arsenio, d'immobilità...
    Ascolta tra i palmizi il getto tremulo
    dei violini, spento quando rotola
    il tuono con un fremer di lamiera
    percossa; la tempesta è dolce quando
    sgorga bianca la stella di Canicola
    nel cielo azzurro e lunge par la sera
    ch'è prossima: se il fulmine la incide
    dirama come un albero prezioso
    entro la luce che s'arrosa: e il timpano
    degli tzigani è il rombo silenzioso
    Discendi in mezzo al buio che precipita
    e muta il mezzogiorno in una notte
    di globi accesi, dondolanti a riva, -
    e fuori, dove un'ombra sola tiene
    mare e cielo, dai gozzi sparsi palpita
    l'acetilene -
    finché goccia trepido
    il cielo, fuma il suolo che t'abbevera,
    tutto d'accanto ti sciaborda, sbattono
    le tende molli, un fruscio immenso rade
    la terra, giù s'afflosciano stridendo
    le lanterne di carta sulle strade.
    Così sperso tra i vimini e le stuoie
    grondanti, giunco tu che le radici
    con sé trascina, viscide, non mai
    svelte, tremi di vita e ti protendi
    a un vuoto risonante di lamenti
    soffocati, la tesa ti ringhiotte
    dell'onda antica che ti volge; e ancora
    tutto che ti riprende, strada portico
    mura specchi ti figge in una sola
    ghiacciata moltitudine di morti,
    e se un gesto ti sfiora, una parola
    ti cade accanto, quello è forse, Arsenio,
    nell'ora che si scioglie, il cenno d'una
    vita strozzata per te sorta, e il vento
    la porta con la cenere degli astri.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Xenia I

      Avevamo studiato per l'aldilà
      un fischio, un segno di riconoscimento.
      Mi provo a modularlo nella speranza
      che tutti siamo già morti senza saperlo.
      Non ho mai capito se io fossi
      il tuo cane fedele e incimurrito
      o tu lo fossi per me.
      Per gli altri no, eri un insetto miope
      smarrito nel blabla
      dell'alta società. Erano ingenui
      quei furbi e non sapevano
      di essere loro il tuo zimbello:
      di esser visti anche al buio e smascherati
      da un tuo senso infallibile, dal tuo
      radar di pipistrello.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        La Storia

        La storia non si snoda
        come una catena
        di anelli ininterrotta.
        In ogni caso
        molti anelli non tengono.
        La storia non contiene
        il prima e il dopo,
        nulla che in lei borbotti
        a lento fuoco.
        La storia non è prodotta
        da chi la pensa e neppure
        da chi l'ignora. La storia
        non si fa strada, si ostina,
        detesta il poco a poco, non procede
        né recede, si sposta di binario
        e la sua direzione
        non è nell'orario.
        La storia non giustifica
        e non deplora,
        la storia non è intrinseca
        perché è fuori.
        La storia non somministra carezze o colpi di frusta.
        La storia non è magistra
        di niente che ci riguardi. Accorgersene non serve
        a farla più vera e più giusta.
        La storia non è poi
        la devastante ruspa che si dice.
        Lascia sottopassaggi, cripte, buche
        e nascondigli. C'è chi sopravvive.
        La storia è anche benevola: distrugge
        quanto più può: se esagerasse, certo
        sarebbe meglio, ma la storia è a corto
        di notizie, non compie tutte le sue vendette.
        La storia gratta il fondo
        come una rete a strascico
        con qualche strappo e più di un pesce sfugge.
        Qualche volta s'incontra l'ectoplasma
        d'uno scampato e non sembra particolarmente felice.
        Ignora di essere fuori, nessuno glie n'ha parlato.
        Gli altri, nel sacco, si credono
        più liberi di lui.
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          La Bufera

          La bufera che sgronda sulle foglie
          dure della magnolia i lunghi tuoni
          marzolini e la grandine,
          (i suoni di cristallo nel tuo nido
          notturno ti sorprendono, dell'oro
          che s'è spento sui mogani, sul taglio
          dei libri rilegati, brucia ancora
          una grana di zucchero nel guscio
          delle tue palpebre)
          il lampo che candisce
          alberi e muro e li sorprende in quella
          eternità d'istante - marmo manna
          e distruzione - ch'entro te scolpita
          porti per tua condanna e che ti lega
          più che l'amore a me, strana sorella, -
          e poi lo schianto rude, i sistri, il fremere
          dei tamburelli sulla fossa fuia,
          lo scalpicciare del fandango, e sopra
          qualche gesto che annaspa...
          Come quando
          ti rivolgesti e con la mano, sgombra
          la fronte dalla nube dei capelli,
          mi salutasti - per entrar nel buio.
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            La belle dame sans merci

            Certo i gabbiani cantonali hanno atteso invano
            le briciole di pane che io gettavo
            sul tuo balcone perché tu sentissi
            anche chiusa nel sonno le loro strida.

            Oggi manchiamo all'appuntamento tutti e due
            e il nostro breakfast gela fra cataste
            per me di libri inutili e per te di reliquie
            che non so: calendari, astucci, fiale e creme.

            Stupefacente il tuo volto s'ostina ancora, stagliato
            sui fondali di calce del mattino;
            ma una vita senz'ali non lo raggiunge e il suo fuoco
            soffocato è il bagliore dell'accendino.
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              Di un Natale metropolitano

              Un vischio, fin dall'infanzia sospeso grappolo
              di fede e di pruina sul tuo lavandino
              e sullo specchio ovale ch'ora adombrano
              i tuoi ricci bergére fra santini e ritratti
              di ragazzi infilati un po' alla svelta
              nella cornice, una caraffa vuota,
              bicchierini di cenere e di bucce,
              le luci di Mayfair, poi a un crocicchio
              le anime, le bottiglie che non seppero aprirsi,
              non più guerra né pace, il tardo frullo
              di un piccione incapace di seguirti
              sui gradini automatici che ti slittano in giù….
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                Meriggiare pallido e assorto

                Meriggiare pallido e assorto
                presso un rovente muro d'orto,
                ascoltare tra i pruni e gli sterpi
                schiocchi di merli, frusci di serpi.

                Nelle crepe del suolo o su la veccia
                spiar le file di rosse formiche
                ch'ora si rompono ed ora s'intrecciano
                a sommo di minuscole biche.

                Osservare tra frondi il palpitare
                lontano di scaglie di mare
                mentre si levano tremuli scricchi
                di cicale dai calvi picchi.

                E andando nel sole che abbaglia
                sentire con triste meraviglia
                com'è tutta la vita e il suo travaglio
                in questo seguitare una muraglia
                che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.
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                  Scritta da: Silvana Stremiz

                  I limoni

                  Ascoltami, i poeti laureati
                  si muovono soltanto fra le piante
                  dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
                  Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
                  fossi dove in pozzanghere
                  mezzo seccate agguantano i ragazzi
                  qualche sparuta anguilla:
                  le viuzze che seguono i ciglioni,
                  discendono tra i ciuffi delle canne
                  e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.

                  Meglio se le gazzarre degli uccelli
                  si spengono inghiottite dall'azzurro:
                  più chiaro si ascolta il susurro
                  dei rami amici nell'aria che quasi non si muove,
                  e i sensi di quest'odore
                  che non sa staccarsi da terra
                  e piove in petto una dolcezza inquieta.
                  Qui delle divertite passioni
                  per miracolo tace la guerra,
                  qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
                  ed è l'odore dei limoni.

                  Vedi, in questi silenzi in cui le cose
                  s'abbandonano e sembrano vicine
                  a tradire il loro ultimo segreto,
                  talora ci si aspetta
                  di scoprire uno sbaglio di Natura,
                  il punto morto del mondo, l'anello che non tiene,
                  il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
                  nel mezzo di una verità
                  Lo sguardo fruga d'intorno,
                  la mente indaga accorda disunisce
                  nel profumo che dilaga
                  quando il giorno più languisce.
                  Sono i silenzi in cui si vede
                  in ogni ombra umana che si allontana
                  qualche disturbata Divinità

                  Ma l'illusione manca e ci riporta il tempo
                  nelle città rumorose dove l'azzurro si mostra
                  soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
                  La pioggia stanca la terra, di poi; s'affolta
                  il tedio dell'inverno sulle case,
                  la luce si fa avara - amara l'anima.
                  Quando un giorno da un malchiuso portone
                  tra gli alberi di una corte
                  ci si mostrano i gialli dei limoni;
                  e il gelo del cuore si sfa,
                  e in petto ci scrosciano
                  le loro canzoni
                  le trombe d'oro della solarità.
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                    Scritta da: Silvana Stremiz

                    Al mare (o quasi)

                    L'ultima cicala stride
                    sulla scorza gialla dell'eucalipto
                    i bambini raccolgono pinòli
                    indispensabili per la galantina
                    un cane alano urla dall'inferriata
                    di una villa ormai disabitata
                    le ville furono costruite dai padri
                    ma i figli non le hanno volute
                    ci sarebbe spazio per centomila terremotati
                    di qui non si vede nemmeno la proda
                    se può chiamarsi cosí quell'ottanta per cento
                    ceduta in uso ai bagnini
                    e sarebbe eccessivo pretendervi
                    una pace alcionica
                    il mare è d'altronde infestato
                    mentre i rifiuti in totale
                    formano ondulate collinette plastiche
                    esaurite le siepi hanno avuto lo sfratto
                    i deliziosi figli della ruggine
                    gli scriccioli o reatini come spesso
                    li citano i poeti. E c'è anche qualche boccio
                    di magnolia l'etichetta di un pediatra
                    ma qui i bambini volano in bicicletta
                    e non hanno bisogno delle sue cure
                    Chi vuole respirare a grandi zaffate
                    la musa del nostro tempo la precarietà
                    può passare di qui senza affrettarsi
                    è il colpo secco quello che fa orrore
                    non già l'evanescenza il dolce afflato del nulla
                    Hic manebimus se vi piace non proprio
                    ottimamente ma il meglio sarebbe troppo simile
                    alla morte ( e questa piace solo ai giovani)
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