Poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

Il Nunzio

Un murmure, un rombo...
Son solo: ho la testa
confusa di tetri
pensieri. Mi desta
quel murmure ai vetri.
Che brontoli, o bombo?
Che nuove mi porti?
E cadono l'ore
giù giù, con un lento
gocciare. Nel cuore
lontane risento
parole di morti...
Che brontoli, o bombo?
Che avviene nel mondo?
Silenzio infinito.
Ma insiste profondo,
solingo smarrito,
quel lugubre rombo.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Il Santuario

    Come un'arca d'aromi oltremarini,
    il santuario, a mezzo la scogliera,
    esala ancora l'inno e la preghiera
    tra i lunghi intercolunnii dè pini;
    e trema ancor dè palpiti divini
    che l'hanno scosso nella dolce sera,
    quando dalla grand'abside severa
    uscìa l'incenso in fiocchi cilestrini.
    S'incurva in una luminosa arcata
    il ciel sovr'esso: alle colline estreme
    il Carro è fermo e spia l'ombra che sale.
    Sale con l'ombra il suon d'una cascata
    che grave nel silenzio sacro geme
    con un sospiro eternamente uguale.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Nella macchia

      Errai nell'oblio della valle
      tra ciuffi di stipe fiorite,
      tra quercie rigonfie di galle;

      errai nella macchia più sola,
      per dove tra foglie marcite
      spuntava l'azzurra viola;

      errai per i botri solinghi:
      la cincia vedeva dai pini:
      sbuffava i suoi piccoli ringhi
      argentini.

      Io siedo invisibile e solo
      tra monti e foreste: la sera
      non freme d'un grido, d'un volo.

      Io siedo invisibile e fosco;
      ma un cantico di capinera
      si leva dal tacito bosco.

      E il cantico all'ombre segrete
      per dove invisibile io siedo,
      con voce di flauto ripete,
      Io ti vedo!
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Mezzogiorno

        L'osteria della pergola è in faccende:
        piena è di grida, di brusìo, di sordi
        tonfi; il camin fumante a tratti splende.
        Sulla soglia, tra il nembo degli odori
        pingui, un mendico brontola: Altri tordi
        c'era una volta, e altri cacciatori.
        Dice, e il cor s'è beato. Mezzogiorno
        dal villaggio a rintocchi lenti squilla;
        e dai remoti campanili intorno
        un'ondata di riso empie la villa.
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          Il lauro

          Nell'orto, a Massa — o blocchi di turchese,
          alpi Apuane! o lunghi intagli azzurri
          nel celestino, all'orlo del paese!

          un odorato e lucido verziere
          pieno di frulli, pieno di sussurri,
          pieno dè flauti delle capinere.

          Nell'aie acuta la magnolia odora,
          lustra l'arancio popolato d'oro —
          io, quando al Belvedere era l'aurora,
          venivo al piede d'uno snello alloro.

          Sorgeva presso il vecchio muro, presso
          il vecchio busto d'un imperatore,
          col tronco svelto come di cipresso.

          Slanciato avanti, sopra il muro, al sole
          dava la chioma. Intorno era un odore,
          sottil, di vecchio, e forse di viole.

          Io sognava: una corsa luna il puro
          Frigido, l'oro di capelli sparsi,
          una fanciulla... Ancora al vecchio muro,
          tremava il lauro che parea slanciarsi.

          Un'alba — si sentìa di due fringuelli
          chiaro il francesco mio: la capinera
          già desta squittinìa di tra i piselli —

          tu più non c'eri, o vergine fugace:
          netto il pedale era tagliato: v'era
          quel vecchio odore e quella vecchia pace;

          il lauro, no. Sarchiava li vicino
          Fiore, un ragazzo pieno di bontà.
          Gli domandai del lauro; e Fiore, chino
          sopra il sarchiello: Faceva ombra, sa!

          E m'accennavi un campo glauco, o Fiore,
          di cavolo cappuccio e cavolfiore.
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            Allora

            Allora... in un tempo assai lunge
            felice fui molto; non ora:
            ma quanta dolcezza mi giunge
            da tanta dolcezza d'allora!
            Quell'anno! Per anni che poi
            fuggirono, che fuggiranno,
            non puoi, mio pensiero, non puoi,
            portare con te, che quell'anno!
            Un giorno fu quello, ch'è senza
            compagno, ch'è senza ritorno;
            la vita fu vana parvenza
            sì prima sì dopo quel giorno!
            Un punto!... così passeggero,
            che in vero passò non raggiunto,
            ma bello così, che molto ero
            felice, felice, quel punto!
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              L'agrifoglio

              Sul, limitare, tra la casa e 1'orto
              dove son brulli gli alberi, te voglio,
              che vi verdeggi dopo ch'io sia morto,
              sempre, agrifoglio.

              Lauro spinoso t'ha chiamato il volgo,
              che sempre verde t'ammirò sul monte:
              oh! Cola il sangue se un tuo ramo avvolgo
              alla mia fronte!

              Tu devi, o lauro, cingere l'esangue
              fronte dei morti! E nella nebbia pigra
              alle tue bacche del color di sangue,
              venga chi migra,

              tordo, frosone, zigolo muciatto,
              presso la casa ove né suona il tardo
              passo del vecchio. E vengavi d'appiatto
              l'uomo lombardo,

              e del tuo duro legno, alla sua guisa
              foggi cucchiari e mestole; il cucchiare
              con cui la mamma imbocca il bimbo, assisa
              sul limitare.
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                Scalpitio

                Si sente un galoppo lontano
                (è la...? ),
                che viene, che corre nel piano
                con tremula rapidità.
                Un piano deserto, infinito;
                tutto ampio, tutt'arido, eguale:
                qualche ombra d'uccello smarrito,
                che scivola simile a strale:
                non altro. Essi fuggono via
                da qualche remoto sfacelo;
                ma quale, ma dove egli sia,
                non sa né la terra né il cielo.
                Si sente un galoppo lontano
                più forte,
                che viene, che corre nel piano:
                la Morte! La Morte! La Morte!
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                  Scritta da: Silvana Stremiz

                  Sera Festiva

                  O mamma, o mammina, hai stirato
                  la nuova camicia di lino?
                  Non c'era laggiù tra il bucato,
                  sul bossolo o sul biancospino.
                  Su gli occhi tu tieni le mani...
                  Perché? Non lo sai che domani...?
                  din don dan, din don dan.
                  Si parlano i bianchi villaggi
                  cantando in un lume di rosa:
                  dell'ombra dè monti selvaggi
                  si sente una romba festosa.
                  Tu tieni a gli orecchi le mani...
                  tu piangi; ed è festa domani...
                  din don dan, din don dan.
                  Tu pensi... Oh! Ricordo: la pieve...
                  quanti anni ora sono? Una sera...
                  il bimbo era freddo, di neve;
                  il bimbo era bianco, di cera:
                  allora sonò la campana
                  (perché non pareva lontana? )
                  din don dan, din don dan.
                  Sonavano a festa, come ora,
                  per l'angiolo; il nuovo angioletto
                  nel cielo volava a quell'ora;
                  ma tu lo volevi al tuo petto,
                  con noi, nella piccola zana:
                  gridavi; e lassù la campana...
                  din don dan, din don dan.
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                    Scritta da: Silvana Stremiz

                    La cucitrice

                    L'alba per la valle nera
                    sparpagliò le greggi bianche:
                    tornano ora nella sera
                    e s'arrampicano stanche;
                    una stella le conduce.
                    Torna via dalla maestra
                    la covata, e passa lenta:
                    c'è del biondo alla finestra
                    tra un basilico e una menta:
                    è Maria che cuce e cuce.
                    Per che cuci e per che cosa?
                    Un lenzuolo? Un bianco velo?
                    Tutto il cielo è color rosa,
                    rosa e oro, e tutto il cielo
                    sulla testa le riluce.
                    Alza gli occhi dal lavoro:
                    una lagrima? Un sorriso?
                    Sotto il cielo rosa e oro,
                    chini gli occhi, chino il viso,
                    ella cuce, cuce, cuce.
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