Poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

Il cuore del cipresso

O cipresso, che solo e nero stacchi
dal vitreo cielo, sopra lo sterpeto
irto di cardi e stridulo di biacchi:

in te sovente, al tempo delle more,
odono i bimbi un pispillìo secreto,
come d'un nido che ti sogni in cuore.

L'ultima cova. Tu canti sommesso
mentre s'allunga l'ombra taciturna
nel tristo campo: quasi, ermo cipresso,
ella ricerchi tra què bronchi un'urna.

Più brevi i giorni,
e l'ombra ogni dì meno
s'indugia e cerca, irrequieta, al sole;
e il sole è freddo e pallido il sereno.

L'ombra, ogni sera prima, entra nell'ombra:
nell'ombra ove le stelle errano sole.
E il rovo arrossa e con le spine ingombra

tutti i sentieri, e cadono già roggie
le foglie intorno (indifferente oscilla
l'ermo cipresso), e già le prime pioggie
fischiano, ed il libeccio ulula e squilla.

E il tuo nido? Il tuo nido?... Ulula forte
il vento e t'urta e ti percuote a lungo:
tu sorgi, e resti; simile alla Morte.

E il tuo cuore? Il tuo cuore?... Orrida trebbia
l'acqua i miei vetri, e là ti vedo lungo,
di nebbia nera tra la grigia nebbia.

E il tuo sogno? La terra ecco scompare:
la neve, muta a guisa del pensiero,
cade. Tra il bianco e tacito franare
tu stai, gigante immobilmente nero.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Il Pesco

    Penso a Livorno, a un vecchio cimitero
    di vecchi morti; ove a dormir con essi
    niuno più scende; sempre chiuso; nero
    d'alti cipressi.
    Tra i loro tronchi che mai niuno vede,
    di là dell'erto muro e delle porte
    ch'hanno obliato i cardini, si crede
    morta la Morte,
    anch'essa. Eppure, in un bel dì d'Aprile,
    sopra quel nero vidi, roseo, fresco,
    vivo, dal muro sporgere un sottile
    ramo di pesco.
    Figlio d'ignoto nòcciolo, d'allora
    sei tu cresciuto tra gli ignoti morti?
    Ed ora invidii i mandorli che indora
    l'alba negli orti?
    Od i cipressi, gracile e selvaggio,
    dimenticàti, col tuo riso allieti,
    tu trovatello in un eremitaggio
    d'anacoreti?
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Lavandare

      Nel campo mezzo grigio e mezzo nero
      resta un aratro senza buoi, che pare
      dimenticato, tra il vapor leggero.
      E cadenzato dalla gora viene
      lo sciabordare delle lavandare
      con tonfi spessi e lunghe cantilene:
      Il vento soffia e nevica la frasca,
      e tu non torni ancora al tuo paese!
      Quando partisti, come son rimasta!
      Come l'aratro in mezzo alla maggese.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Viole d'inverno

        - Donde, o vecchina, queste violette
        serene come un lontanar di monti
        nel puro occaso? Poi che il gelo ha strette
        tutte le fonti;
        il gelo brucia dalle stelle, o nonna,
        ogni foglia, ogni radica, ogni zolla. -
        - Tiepida, sappi, lungo la Corsonna
        geme una polla.
        Là noi sciacquiamo il candido bucato
        nell'onda calda in mezzo a nevi e brine;
        e il poggio è pieno di viole, e il prato
        di pratelline. -
        Ah!... ma, poeta, non ancor nel pio
        tuo cuore è l'onda che discioglie il gelo?
        Non è la polla, calda nell'oblio
        freddo del cielo?
        Ché sempre, se ti agghiaccia la sventura,
        se l'odio altrui ti spoglia e ti desola,
        spunta, al tepor dell'anima tua pura,
        qualche viola.
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          Il Bosco

          O vecchio bosco pieno d'albatrelli,
          che sai di funghi e spiri la malìa,
          cui tutto io già scampanellare udìa
          di cicale invisibili e d'uccelli:
          in te vivono i fauni ridarelli
          ch'hanno le sussurranti aure in balìa;
          vive la ninfa, e i passi lenti spia,
          bionda tra le interrotte ombre i capelli.
          Di ninfe albeggia in mezzo alla ramaglia
          or sì or no, che se il desìo le vinca,
          l'occhio alcuna ne attinge, e il sol le bacia.
          Dileguano; e pur viva è la boscaglia,
          viva sempre nè fior della pervinca
          e nelle grandi ciocche dell'acacia.
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            Alba

            Odoravano i fior di vitalba
            per via, le ginestre nel greto;
            aliavano prima dell'alba
            le rondini nell'uliveto.
            Aliavano mute con volo
            nero, agile, di pipistrello;
            e tuttora gemea l'assiolo,
            che già spincionava il fringuello.
            Tra i pinastri era l'alba che i rivi
            mirava discendere giù:
            guizzò un raggio, soffiò su gli ulivi;
            virb... disse una rondine; e fu
            giorno: un giorno di pace e lavoro,
            che l'uomo mieteva il suo grano,
            e per tutto nel cielo sonoro
            saliva un cantare lontano.
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              Benedizione

              È la sera: piano piano
              passa il prete paziente,
              salutando della mano
              ciò che vede e ciò che sente.
              Tutti e tutto il buon piovano
              benedice santamente:
              anche il loglio, là, nel grano;
              qua, nè fiori, anche il serpente.
              Ogni ramo, ogni uccellino
              sì del bosco e sì del tetto,
              nel passare ha benedetto:
              anche il falco, anche il falchetto
              nero in mezzo al ciel turchino,
              anche il corvo, anche il becchino,
              poverino,
              che lassù nel cimitero
              raspa raspa il giorno intiero.
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                In viaggio

                Si ferma, e già fischia, ed insieme,
                tra il ferreo strepito del treno,
                si sente una squilla che geme,
                là da un paesello sereno,
                paesello lungo la via:
                Ave Maria...
                Un poco, tra l'ansia crescente
                della nera vaporiera,
                l'addio della sera si sente
                seguire come una preghiera,
                seguire il treno che s'avvia:
                Ave Maria...
                E, come se voglia e non voglia,
                il treno nel partir vacilla:
                quel suono ci chiama alla soglia
                e alla lampada che brilla,
                nella casa, ch'è una badia:
                Ave Maria...
                Il padre a quel suono rincasa
                facendo un passo ad ogni tocco;
                e subito all'uscio di casa
                trova il visino del suo cocco,
                del più piccino che ci sia...
                Ave Maria...
                Si chiude, la casa; e s'appanna
                d'un tratto il vocerìo che c'è;
                si chiude, ristringe, accapanna,
                per parlare tra sé e sé;
                e saluta la compagnia...
                Ave Maria...
                O, tinta d'un lieve rossore,
                casina che sorridi al sole!
                Per noi c'è la notte con l'ore
                lunghe lunghe, con l'ore sole,
                con l'ore di malinconia...
                Ave Maria...
                Il treno già vola e ci porta
                sbuffando l'alito di fuoco;
                e ancora nell'aria più smorta
                ci giunge quell'addio più fioco,
                dal paese che fugge via:
                Ave Maria...
                E cessa. Ma uno che vuole
                velar gli occhi, pensar lontano,
                tra gemiti e strilli e parole,
                tra il frastuono or tremolo or piano,
                ode il suono che non s'oblia:
                Ave Maria...
                Con l'uomo che va nella notte,
                tra gli aspri urli, i lunghi racconti
                del treno che corre per grotte
                di monti, sopra lenti ponti,
                vien nell'ombrìa la voce pia:
                Ave Maria...
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