I giorni son sempre più brevi le piogge cominceranno. La mia porta, spalancata, ti ha atteso. Perché hai tardato tanto?
Sul mio tavolo, dei peperoni verdi, del sale, del pane. Il vino che avevo conservato nella brocca l'ho bevuto a metà, da solo, aspettando. Perché hai tardato tanto?
Ma ecco sui rami, maturi, profondi dei frutti carichi di miele. Stavano per cadere senz'essere colti se tu avessi tardato ancora un poco.
Ti svegli. Dove sei? A casa. Non hai potuto ancora abituarti: al tuo risveglio trovarti a casa. Ecco quel che ti lasciano tredici anni di carcere.
Chi c'è nel letto, accanto a te? Non è la solitudine, è tua moglie. Dorme coi pugni chiusi, come un angelo. Le dona, essere incinta. Che ore sono? Le otto. Possiamo dunque star tranquilli fino a sera. È l'uso, la polizia non fa irruzione in pieno giorno.
Finché ancora tempo, mio amore e prima che bruci Parigi finché ancora tempo, mio amore finché il mio cuore è sul suo ramo vorrei una notte di maggio una di queste notti sul lungosenna Voltaire baciarti sulla bocca e andando poi a Notre-Dame contempleremmo il suo rosone e a un tratto serrandoti a me di gioia paura stupore piangeresti silenziosamente e le stelle piangerebbero mischiate alla pioggia fine.
Finché ancora tempo, mio amore e prima che bruci Parigi finché ancora tempo, mio amore finché il mio cuore è sul suo ramo in questa notte di maggio sul lungosenna sotto i salici, mia rosa, con te sotto i salici piangenti molli di pioggia ti direi due parole le più ripetute a Parigi le più ripetute, le più sincere scoppierei di felicità fischietterei una canzone e crederemmo negli uomini.
In alto, le case di pietra senza incavi né gobbe appiccicate coi loro muri al chiar di luna e le loro finestre diritte che dormono in piedi e sulla riva di fronte il Louvre illuminato dai proiettori illuminato da noi due il nostro splendido palazzo di cristallo.
Finché ancora tempo, mio amore e prima che bruci Parigi finché ancora tempo, mio amore finché il mio cuore è sul suo ramo in questa notte di maggio, lungo la Senna, nei depositi ci siederemmo sui barili rossi di fronte al fiume scuro nella notte per salutare la chiatta dalla cabina gialla che passa - verso il Belgio o verso l'Olanda? - davanti alla cabina una donna con un grembiule bianco sorride dolcemente.
Finché ancora tempo, mio amore e prima che bruci Parigi finché ancora tempo, mio amore.
Entrate, amici miei, accomodatevi siate i benvenuti mi date molta gioia. Lo so, siete entrati per la finestra della mia cella mentre dormivo. Non avete rovesciato la brocca nè la scatola rossa delle medicine. I visi nella luce delle stelle state mano in mano al mio capezzale.
Com'è strano vi credevo morti e siccome non credo nè in Dio nè all'aldilà mi rammaricavo di non aver potuto offrirvi ancora un pizzico di tabacco.
Com'è strano vi credevo morti e voi siete venuti per la finestra della mia cella entrate, amici miei, sedetevi siate i benvenuti mi date molta gioia.
Hascìm, figlio di Osmàn, perché mi guardi a quel modo? Hascìm figlio di Osmàn è strano non eri morto, fratello, a Istanbul, nel porto caricando il carbone su una nave straniera? Eri caduto col secchio in fondo alla stiva la gru ti ha tirato su e prima di andare a riposare definitivamente il tuo sangue rosso aveva lavato la tua testa nera. Chi sa quanto avevi sofferto.
Non restate in piedi, sedetevi. Vi credevo morti. Siete entrati per la finestra della mia cella i visi nella luce delle stelle siate i benvenuti mi date molta gioia.
Yakùp, del villaggio di Kayalar salve, caro compagno, non eri morto anche tu? Non eri andato nel cimitero senz'alberi lasciando ai tuoi bambini la malaria e la fame? Faceva terribilmente caldo, quel giorno e allora, non eri morto?
E tu, Ahmet Gemìl, lo scrittore? Ho visto coi miei occhi la tua bara scendere nella fossa. Credo anche di ricordarmi che la tua bara fosse un po' corta per la tua statura.
Lascia stare, Gemìl vedo che ce l'hai sempre, la vecchia abitudine ma è una bottiglia di medicina, non di rakì. Ne bevevi tanto per poter guadagnare cinquanta piastre al giorno e dimenticare il mondo nella tua solitudine.
Vi credevo morti, amici miei state al mio capezzale la mano in mano sedete, amici miei, accomodatevi. Benvenuti, mi date molta gioia.
La morte è giusta, dice un poeta persiano, ha la stessa maestà colpendo il povero e lo scià. Hascìm, perché ti stupisci? Non hai mai sentito parlare di uno scià morto in una stiva con un secchio di carbone? La morte è giusta, dice un poeta persiano.
Yakùp mi piaci quando ridi, caro compagno non ti ho mai visto ridere così quando eri vivo ... Ma lasciatemi finire la morte è giusta dice un poeta persiano ...
Lascia quella bottiglia, Ahmer Gemìl, non t'arrabbiare, so quel che vuol dire affinché la morte sia giusta bisogna che la vita sia giusta.
Il poeta persiano ... Amici miei, perché mi lasciate solo?
Una cotonata a quadretti blu copre il tavolo e sopra, senza menzogne, sorridenti, arditi stanno i nostri libri. Sono un prigioniero, madre mia, che ritorna al paese da una fortezza nemica. È l'una di notte la lampada è ancora accesa. Al mio fianco è coricata mia moglie mia moglie incinta di cinque mesi. Quando la mia carne tocca la sua quando le poso la mano sul ventre il bimbo si muove un poco. Sul ramo la foglia nell'acqua il pesce nella matrice il piccolo dell'uomo. Mio piccolo. La camiciola di lana rosa per il mio bambino l'ha sferruzata sua madre è grande come la mia mano con le maniche appena così. Mio piccolo. Se sarà femmina voglio che sia sua madre dalla testa ai piedi, s'è maschio, che sia della mia statura. S'è femmina, che abbia gli occhi verde dorato s'è maschio, azzurri. Mio piccolo. Non voglio che a vent'anni t'ammazzino se sei maschio, al fronte se sei femmina, dentro qualche rifugio, di notte. Mio piccolo. Femmina o maschio a qualsiasi età non voglio che tu conosca il carcere per essere stato dalla parte del giusto del bello, della pace. Ma so bene figlia mia o figlio mio che se il sole tarderà molto a sorgere dalle acque dovrai combattere e anche... Insomma oggi, da noi, è un ben duro mestiere essere padre.
È l'una di notte. La lampada non l'abbiamo ancora spenta. Tra mezz'ora forse, forse verso il mattino la mia casa conoscerà ancora un'altra irruzione della polizia e mi porteranno via, prenderò con me qualche libro. I questurini della politica mi prenderanno in mezzo e io mi volterò indietro a guardare: mia moglie sarà sulla soglia davanti alla porta il vento del mattino gonfierà la sua gonna e nel suo ventre pesante il bambino si muoverà un poco.
Apriamo le porte chiudiamo le porte passiamo le porte e alla mèta dell'unico viaggio né città né porto. Il treno deraglia la nave naufraga l'aereo s'abbatte un biglietto è stampato sul ghiaccio. Se potessi ricominciare o no questo viaggio ricomincerei.
Me ne vado per le strade strette oscure e misteriose vedo dietro le vetrate affacciarsi Gemme e Rose. Dalle scale misteriose c'è chi scende brancolando dietro i vetri rilucenti stan le ciane commentando. ... ... La stradina è solitaria non c'è un cane; qualche stella nella notte sopra i tetti: e la notte mi par bella. E cammino poveretto nella notte fantasiosa pur mi sento nella bocca la saliva disgustosa. Via dal tanfo via dal tanfo e per le strade e cammina e via cammina, già le case son più rade. Trovo l'erba: mi ci stendo a conciarmi come un cane: Da lontano un ubriaco canta amore alle persiane.