Scritta da: Simone Sabbatini
in Poesie (Poesie personali)
Partito già
Cosa voglio? Non so:
mai saputo
e mai lo saprò.
Composta giovedì 1 dicembre 2005
Cosa voglio? Non so:
mai saputo
e mai lo saprò.
Non chiamare la neve:
la risposta
pallido silenzio che ti avvolge
e
non sentiresti
che i tuoi dubbi
le crisi
le mute grida sotto un sole che non scalda
la salda morsa che ti serra alla vita la vita
ma non ti uccide,
le risa dei fantasmi mascherati
attimi tremendi rubati alla tua mente
chiasso assordante.
Non chiamarla. Semplicemente aspettala
e poi amala, bramala,
sentitela scendere dentro la schiena
come un brivido vivo
come un attimo eterno,
un viaggio intestino via dall'inferno.
Ma non chiamarla
o
sentiresti soltanto
freddo.
Come se mi fossi perso, ma non proprio così;
non ho bisogno di trovarmi, so di essere qui.
Come fossi rimasto indietro, nascosto dietro un sasso
divertente gioco stupido, dove sono rimasto solo.
Si aggiunge un'altra croce a questo nuovo cimitero:
non c'è d'aver paura, la mia morte
è vita nuova, aria pulita e buona
brezza sottile dall'odore libero
che spazza via discreta e quasi sempre inavvertita
nubicelle,
piccole fatiche.
Scansa la foglia dal vestito,
la sabbia dalle nocche che s'asciuga
come una lacrima lontana,
la rabbia scema dalle bocche.
Ti svegli presto e non ricordi più
chi aveva pianto.
Non l'ho ancora costruito, c'è bisogno d'un ossario.
Sembra una notte giusta per ritornare a scrivere
prima degli esami, la solita nostalgia
(quali?)
Ma vivo un altro tempo, ho in mente solo altre parole;
che più non vedo un centro, un'attrazione,
un chiodo fisso. Me.
Anche stanotte passerà, portando via quest'astrazione
dolce e preziosa,
pesante e silenziosa.
Le sarò grato.
Nella notte a primavera
come neve vai scomparendo.
E adesso che usciranno video libri e forse due canzoni
- mai più il tuo nome come autore -
lasciami pensare a due parole
pure a me
da fissare sulla carta.
Tutti intorno a te e anche Sposini a mezzo giorno alla tv.
Sei arrivato alla tua mèta, stai entrando con la Pace
al traguardo del tuo Pellegrinaggio.
Ci hai amati tutti e tanto. Tutti quanti, ognuno
col proprio peccato.
Hai scherzato coi tuoi mali che adesso ti schiacciano in un letto
incosciente.
Adesso, solo adesso: trasformando e mai spegnendo quel sorriso
che era vita e gioventù, e lo sarà sempre.
Un Papa deficiente
non distrutto del tutto,
adesso meno di sempre
perché hai vinto: non possono farti più niente.
Ma nell'attesa tutti si prega e tutti sentiamo dentro
un'inquietudine di non saperlo fare, di non capire.
Ma come faresti tu?
Se potessi parlare...
Ci diresti forse di pensare a tutti quelli
che non stanno pregando
che stanno gioendo – loro almeno non alla tv.
Ci diresti di pensare
a chi
sta morendo solo
a chi
basterebbe una puntura
un tozzo di pane duro
una lacrima dolce
un sorriso un bacio.
A chi sta morendo fuori dai riflettori
persone come te
eppure conosciute a nessuno.
Un esempio nei tuoi sorrisi
nei tuoi dolori
nelle lacrime dei tuoi fallimenti
nella tua forza:
che ha taciuto chi ti voleva morto già da alcuni anni
- e forse anche me, troppa paura -
che ti ha fatto superare le più dolorose angosce
che anche adesso ti farà resistere
nell'agonia
durare fino all'ultimo
goccio di quella vita che amavi tanto.
Ciao amico
mai conosciuto davvero.
Non sono le parole che ci rendono razzisti
si può essere sinceri senza dire una bugia?
Non i numeri a far troppi mali guai e insicurezze
si può essere codardi senza un poco di coraggio?
Non si può cullare sogni senza prima rinunciarvi,
non si può desiderare e non sentirsi deficienti.
È possibile sfuggire ai paragoni, ai pregiudizi
su noi stessi? Sentirsi o no coglioni
senza dire parolacce? Aprire gli occhi
finalmente, e pur finendo abbacinati,
capire dove abita il problema? Nella luce?
Nella mente? O sta dopo, solo nei troppi
attimi che veloci si rincorrono, e noi fermi
incapaci di seguirne il divenire, un po' incantati,
noi impauriti di vedere.
Ancor non finisce il suo corso la goccia
che già da una nube traspare una luce:
colpisce un germoglio bagnato di pioggia,
scompare veloce ma resta una traccia.
Si macchia d'azzurro la coltre grigiastra,
si scuce e ricuce, si squarcia ed è persa:
la terra si scalda di raggi distratti,
a ondate ritornano a destra, a sinistra.
Quel cielo abbuiato di nuvole nere
non è che un maestoso ricordo di gioia
portato da un vento frizzante e leggero.
E adesso una nuova allegria si respira!
Non ho chiamato questo vento di sale
ad asciugare la fiamma dal fuoco.
Non l'ho chiesto, ma è giunto. E non ricordo
gli anni impegnati per non accarezzarlo.
Forse era l'estate, o che speravo
d'abituarmi come un gatto a questa notte...
Raccolgo la legna ma mi manca l'accendino,
faccio tagli a punta quando viene il temporale,
e anche quando mi va bene,
e non è forte l'acquazzone
la luce è fuggita dal bosco.
Non c'è niente, credo, in tutto l'universo
tanto perfetto e assoluto come la ragione
che hai in questo momento.
E allora perché
piango, mentre non mi vedi?
Perché guardo perché rimango
i piedi sul cruscotto, le mani
maledettamente inermi
i denti fermi, le dita rotte
a chiedermi la notte intera questi
perché?