Il paese che non c'è più
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La testata del letto di belle assi di faggio urtava contro la parete piano piano e io contavo i secondi, 1, 2, 3, 4 respirando a ogni colpo con i pugni stretti per la paura. La notte che Sant’Andrea aveva tremato insieme al centro della terra io ero nella mia casa a Roma e stavo sognando. Quando un dondolio lieve era arrivato sotto la mia pancia, dopo molti chilometri di devastazione, lasciandomi senz’aria e con gli occhi aperti, rossastri, di chi viene scacciato via dai sogni. Sapevo che Roma non sarebbe cascata giù quella notte protetta nell’abbraccio dei suoi colli e sostenuta dal peso delle sue rovine. Eppure anch’io, insieme a mille altre luci che si accendevano e a altrettante sagome che comparivano, guardai fuori dalla finestra per assicurarmi che nulla fosse cambiato. I sismografi avevano registrato una magnitudo di 6.0. Ancora una volta le montagne dell’Appennino centrale avevano riversato la loro energia sulla crosta terrestre, sulle loro stesse pietre posate male dagli uomini nelle case dei vecchi paesi.
Odore di piombo e di cardamomo agrodolce, profumo di riso al curry e di burro fuso si diffondono, mescolandosi sotto il cielo della Tangenziale Est su via Prenestina, dove si ... [segue »]
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