Caro Signor Schopenhauer,
sono da sempre un suo ammiratore ed è proprio per questo che credo di potermi permettere di dissentire lievemente dagli assunti del suo aforisma (o aforismo per i dotati di palato sopraffino ed orecchie corazzate).
Trovo infatti che la modestia delle persone di scarse virtù sia invece segno distintivo di capacità di comprendere il mondo circostante ed i propri limiti. E chi conosce i propri limiti, purché dotato di buona volontà, in genere fa qualcosa o molto per superarli evolvendo così dal suo stato "primordiale".
Aggiungo poi che si trattasse anche solo di onestà direi che il fatto non sarebbe di poco conto, vista l'oggettiva penuria di questa grande qualità facilmente riscontrabile anche dai più disattenti osservatori.
Su tutto il resto, Egregio Signore, sono d'accordo.
A proposito cos'era il resto? Mi sono perso...
5 anni e 10 mesi fa
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Andrebbe forse spiegata un po' perché di interpretazioni se ne potrebbero dare diverse.
E' vero anche che spesso la migliore spiegazione è il silenzio della riflessione.
Tuttavia in altri casi (non questo) si può rischiare di ricercare l'effetto senza che dietro vi sia vero e sentito significato.
Io mi sono fatto un'idea: vivere la propria vita intensamente giorno per giorno, con passione, speranza, ottimismo, voglia di rinnovarsi, come se ogni giorno fosse l'ultimo cosicché, giunti alla fine del nostro cammino terreno, non ci si debba rimproverare nulla e serenamente si possa dire di aver fatto tutto ciò che era nelle nostre possibilità per il bene di chi ci sta vicino, senza necessariamente la pretesa di aver fatto chissà cosa di straordinario per la collettività o addirittura l'umanità intera.
Se così fosse la morte avrebbe forse un senso e sarebbe più facile da accettare.
Una vita "sprecata" invece non merita nemmeno la morte che è però ineluttabile.
Diversamente, e paradossalmente, non avrebbe nemmeno senso la sua fine e questo tipo di vita insensata vagherebbe per sempre come in un eterno limbo.
Una vita "bella" invece deve finire nello stesso modo con cui è stata vissuta e cioè con grande serenità dando l'opportunità ad una nuova vita di nascere e prendere il suo posto nella speranza di proseguire il medesimo virtuoso cammino.
Quanto emerge dalla lettura die vari commenti è, a mio modo di vedere, proprio la conferma che il problema principale risieda nel fare le cose giuste.
E ciò sebbene con gradi di difficoltà diversi vale in qualunque ambito.
Nel mondo del lavoro e nelle organizzazioni fare le scelte giuste può essere complesso ma, malgrado il permanere di ineliminabili residue alee di incertezza, non impossibile. Di metodi e metriche consolidate per valutare progetti da avviare ve ne sono e conducono quasi sempre a soluzioni affidabili.
Negli altri ambiti fare la cosa giusta può essere maledettamente più complicato in quanto sono i riferimenti "assoluti" a mancare e non di rado fare la cosa giusta può voler dire prendere una via NUOVA in tutto dissimile da quella già tracciata e apparentemente più sicura.
Per cui, in senso lato, giusto non significa "certo" o "consolidato" ma giusto perché tale finisce con rivelarsi a posteriori.
Il che porta a pensare che, non potendo sempre capire a priori quale via debba intraprendersi, conviene forse imboccare strade inesplorate perché, a patto che non portino a conseguenze nefaste per gli individui e la natura, condurranno molto probabilmente a qualcosa di diverso.
E questo mi pare in fondo il cammino percorso dall'umanità nella sua evoluzione.
Se poi questa "diversità" si riveli non essere la cosa più giusta che si dovesse fare i suoi esiti potranno sempre essere scartati avendo in ogni caso fornito un quid di conoscenza in più.
Il problema nasce quando gli esiti negativi di siffatte scelte non siano riconosciuti come tali dall'Uomo il quale, trascurando i principi cardine dell'effetto su individui e natura, li adotta illudendosi di avere conquistato qualcosa.
E anche di questi fatti, di queste cattive interpretazioni purtroppo la Storia del mondo è ricca.
L'Uomo quindi e la sua capacità di discernere ciò che è buono da ciò che è deleterio o disdicevole, per sé e la collettività, è al centro di tutto.
E tutti noi, volenti o nolenti, dipendiamo da questo strano ed irripetibile ESSERE.
5 anni e 10 mesi fa
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Schopenhauer è da sempre il mio preferito.
In linea di principio condivido questo aforisma anche se lo trovo un tantino estremo e, forse volutamente, provocatorio.
Non sempre ciò che è stimato non ha alcun valore.
E' vero però che questa massima trova spesso (troppo spesso) grande applicazione nella vita reale.
sono da sempre un suo ammiratore ed è proprio per questo che credo di potermi permettere di dissentire lievemente dagli assunti del suo aforisma (o aforismo per i dotati di palato sopraffino ed orecchie corazzate).
Trovo infatti che la modestia delle persone di scarse virtù sia invece segno distintivo di capacità di comprendere il mondo circostante ed i propri limiti. E chi conosce i propri limiti, purché dotato di buona volontà, in genere fa qualcosa o molto per superarli evolvendo così dal suo stato "primordiale".
Aggiungo poi che si trattasse anche solo di onestà direi che il fatto non sarebbe di poco conto, vista l'oggettiva penuria di questa grande qualità facilmente riscontrabile anche dai più disattenti osservatori.
Su tutto il resto, Egregio Signore, sono d'accordo.
A proposito cos'era il resto? Mi sono perso...
Andrebbe forse spiegata un po' perché di interpretazioni se ne potrebbero dare diverse.
E' vero anche che spesso la migliore spiegazione è il silenzio della riflessione.
Tuttavia in altri casi (non questo) si può rischiare di ricercare l'effetto senza che dietro vi sia vero e sentito significato.
Io mi sono fatto un'idea: vivere la propria vita intensamente giorno per giorno, con passione, speranza, ottimismo, voglia di rinnovarsi, come se ogni giorno fosse l'ultimo cosicché, giunti alla fine del nostro cammino terreno, non ci si debba rimproverare nulla e serenamente si possa dire di aver fatto tutto ciò che era nelle nostre possibilità per il bene di chi ci sta vicino, senza necessariamente la pretesa di aver fatto chissà cosa di straordinario per la collettività o addirittura l'umanità intera.
Se così fosse la morte avrebbe forse un senso e sarebbe più facile da accettare.
Una vita "sprecata" invece non merita nemmeno la morte che è però ineluttabile.
Diversamente, e paradossalmente, non avrebbe nemmeno senso la sua fine e questo tipo di vita insensata vagherebbe per sempre come in un eterno limbo.
Una vita "bella" invece deve finire nello stesso modo con cui è stata vissuta e cioè con grande serenità dando l'opportunità ad una nuova vita di nascere e prendere il suo posto nella speranza di proseguire il medesimo virtuoso cammino.
E ciò sebbene con gradi di difficoltà diversi vale in qualunque ambito.
Nel mondo del lavoro e nelle organizzazioni fare le scelte giuste può essere complesso ma, malgrado il permanere di ineliminabili residue alee di incertezza, non impossibile. Di metodi e metriche consolidate per valutare progetti da avviare ve ne sono e conducono quasi sempre a soluzioni affidabili.
Negli altri ambiti fare la cosa giusta può essere maledettamente più complicato in quanto sono i riferimenti "assoluti" a mancare e non di rado fare la cosa giusta può voler dire prendere una via NUOVA in tutto dissimile da quella già tracciata e apparentemente più sicura.
Per cui, in senso lato, giusto non significa "certo" o "consolidato" ma giusto perché tale finisce con rivelarsi a posteriori.
Il che porta a pensare che, non potendo sempre capire a priori quale via debba intraprendersi, conviene forse imboccare strade inesplorate perché, a patto che non portino a conseguenze nefaste per gli individui e la natura, condurranno molto probabilmente a qualcosa di diverso.
E questo mi pare in fondo il cammino percorso dall'umanità nella sua evoluzione.
Se poi questa "diversità" si riveli non essere la cosa più giusta che si dovesse fare i suoi esiti potranno sempre essere scartati avendo in ogni caso fornito un quid di conoscenza in più.
Il problema nasce quando gli esiti negativi di siffatte scelte non siano riconosciuti come tali dall'Uomo il quale, trascurando i principi cardine dell'effetto su individui e natura, li adotta illudendosi di avere conquistato qualcosa.
E anche di questi fatti, di queste cattive interpretazioni purtroppo la Storia del mondo è ricca.
L'Uomo quindi e la sua capacità di discernere ciò che è buono da ciò che è deleterio o disdicevole, per sé e la collettività, è al centro di tutto.
E tutti noi, volenti o nolenti, dipendiamo da questo strano ed irripetibile ESSERE.
In linea di principio condivido questo aforisma anche se lo trovo un tantino estremo e, forse volutamente, provocatorio.
Non sempre ciò che è stimato non ha alcun valore.
E' vero però che questa massima trova spesso (troppo spesso) grande applicazione nella vita reale.