Scritta da: Anna R. Di Lollo
Cos'è la durata della vita di un uomo nell'universo, se non un isolato bagliore di lucciola nell'eternità?
Composta domenica 29 maggio 2016
Cos'è la durata della vita di un uomo nell'universo, se non un isolato bagliore di lucciola nell'eternità?
Laddove esiste purezza nell'amare, ci si educa sempre vicendevolmente, seppur inconsapevolmente, alla bellezza.
Lasciarsi attraversare, pervadere, assediare dal mondo circostante, capitolare sotto la foga del suo corso inarrestabile. È questa la propensione spiccata di tutti gli umani sensi: infatti abbiamo due occhi, due orecchie, due narici, due mani e la duplicità, a badar bene, si estende quasi all'intero organismo. Persino l'anima possiede un lato risolutamente maschile e uno deliziosamente femminile. In questo tripudio di duetti, la bocca resta figlia unica, sola, senza sostegno altro, senza complice, clone, doppione. Essa oltre a prendere dall'esterno può anche dare, tramite il potere della parola: può alleviare o appesantire, ingentilire o mortificare, creare o distruggere, donare il tiepido ristoro della serenità o letali brividi da scenari glaciali. La bocca è un'arma bianca potentissima, forse la più infallibile e micidiale che la storia umana abbia conosciuto.
La vita si apprende da chi insegna senza parlare, guida senza ordinare, protegge senza interferire e ama, ama, ama... ama senza mai nulla ottenere.
Ha un suo modo di guardare l'amore, un privilegio che non a tutti è dato provare.
Fra due persone realmente affezionate, la lontananza è sempre un tasto scordato, una corda spezzata, una nota sbagliata, una canzone incompiuta, una stonatura mai voluta.
Esistono promesse sussurrate e quasi dimenticate che, al sopraggiungere di tentativi verso nuove avventure e slanci in avanti, ci strattonano indietro come fossimo cuori imbrigliati, invischiati nell'invisibile trama ordita dal passato, ancora imprigionati nella ragnatela del solo amore sino a quel momento conosciuto.
Il sorriso è un'iperbole geometrica, ma soprattutto retorica. O nasce dalla totale estraneità al dolore o dalla completa immersione in esso.
Naturale come per i fiori stillare rugiada. Versare lacrime vuol dire disseppellire il canope dell'emozione e tornare ancora una volta ad essere centro nevralgico del proprio sentire, fibra viva e sensibile dell'universo.
Lo sussurra ogni singola notte la luna: "Non è lo starsene seduti da soli al centro dell'universo a spaventare, ma l'entrare in collisione con una solitudine altra e poi essere costretti nuovamente a scappare".