Due domande a J

Mi viene da fare un conto strano
uno di quelli che non tornano mai,
pur dando mille risultati.
Io mi domando ogni quanto ti penso
e il risultato è "sempre".
E se non ti penso
basta un nulla,
una parola sentita,
una cosa anche appena notata
o una ribellione della testa
per ricordarmi che ti devo pensare.
E tu quanto mi penserai?
Quando?
Una volta l'anno,
magari il giorno che ti ricorda
quando sono nato,
o sotto le feste
quando se non si è pazzi di allegria
dobbiamo impazzire di tristezza.
O quando devi tirare fuori l'odio?
Oppure mai.
Alexandre Cuissardes
Composta mercoledì 10 febbraio 2016
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    All' amico G, andato

    Il tuo orgoglio,
    il racconto di quanto avevi fatto nella vita.
    La caduta e la riscossa.
    La visita a quel cantiere che sarebbe diventato la casa per tua figlia.
    Ed il parlare di lei
    di una ambiguità accettata
    e da difendere dagli altri
    e da una parte di te.
    Gli ulivi piantati da poco
    e lo stradello fra bosco e muri di sassi.
    La casa in cima al colle.
    Quella dei figli del ferroviere,
    diventati eredi alla morte di lui.
    L'acqua del vivaio
    coperta dalle foglie.
    Le mie foto fatte con gli occhi.
    Solo mie.
    Il ritorno alla piccola città.
    E quel darsi un appuntamento a poi
    che non avresti potuto rispettare.
    Fu l'ultima volta che vedemmo.
    Ciao.
    Alexandre Cuissardes
    Composta venerdì 5 febbraio 2016
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      George & Dragon

      In mezzo a tante voci che non sento
      scambiamo in due quattro parole.
      Io
      con quello che per puro caso mi sta seduto accanto
      con il suo bicchiere.
      Anzi
      è lui che parla a me,
      almeno mi sembra di sentire.
      Giusto così,
      perché succede qualche sera.
      Poi ci rifletto
      e mi viene da pensare:
      "Che cazzo dice, e proprio a me".
      E magari
      anche se da un po' non fa parola.
      Penso
      che forse è meglio sentire un signor qualcuno conosciuto in treno
      e visto scendere dopo mezz'ora.
      E a volte è pure troppo.
      Qui
      se parla solo uno
      certo è per criticare,
      se l'altro tace è solo perché non sente
      o non vuol sentire.
      Io sono sempre l'altro.
      Ma gli basta poco per accontentarsi
      al criticone,
      giusto ogni tanto un cenno,
      così per cortesia.
      Io di certo so che non serve a niente criticare
      e neppure l'ascoltare.
      Gli anni insegnano come assentarsi dagli altri
      e da te stesso,
      e fare degli orecchi una barriera.
      Così,
      con lo sconosciuto il giorno in treno
      e con l'ubriaco al pub di sera.
      Alexandre Cuissardes
      Composta martedì 2 febbraio 2016
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        Io non lascio il posto

        Non ci sono più le parole di una volta.
        E la tv più in là me lo conferma.
        Non ci sono più neppure i sughi di una volta.
        Guardo il piatto di pasta
        che ho davanti.
        Il suo odore me lo conferma.
        E come me tutti lo dicono
        anche quelli ai tavoli vicini.
        Loro si,
        loro sono quelli di una volta.
        Io penso di non avere più le orecchie di una volta
        di due,
        tre volte fa.
        "Fra mezz'ora in piazza".
        Passa l'attivista in trattoria:
        "Tutti presenti, è tassativo".
        Lo dice il dito minaccioso.
        Io non ci sarò
        né col corpo né col pensiero.
        Neppure col dito sfoderato.
        Mi fingerò un inutile ubriaco
        col vino in pancia a fare da zavorra.
        Quanto all'inutile
        non è che debba fingere.
        Resterò qui,
        da solo a sonnecchiare
        mentre sorbisco quello che passa alla tv il solito canale nazionale.
        Le urla e i "bravo" ragliati fuori
        mi disturberanno,
        ma dovrò subire.
        Saranno in tanti.
        La parola per loro ancora tira.
        Li riconosco tutti dal loro vociare.
        È come quando giocano alle carte.
        Solo che adesso urlano compatti,
        sono un coro.
        Tutti per uno,
        che raramente è il migliore
        ma sa parlare.
        Come sempre illusi
        per poi
        dopo votato tornare fra i delusi.
        E come da destino
        e da esperienze del passato
        passeranno sempre per l'essere una massa di coglioni
        che non sa che cosa vuole
        davanti a chi sa esattamente cosa promettere,
        tutto,
        e cosa dopo dare,
        niente.
        Li aspetto qui
        tanto prima o poi verranno,
        dopo la piazza,
        a farsi uno spaghetto e molto vino,
        magari offerti dall'applaudito fuori.
        Di nuovo a urlare,
        ma ognuno per se.
        Allora lascerò la panca vuota,
        andrò io a fare il giro della piazza,
        in mezzo alle cartacce e alle bandiere
        diventate spazzatura.
        E potrò far sentire il mio di urlo.
        Quello dell'uomo solo,
        ma non al comando.
        Alexandre Cuissardes
        Composta martedì 2 febbraio 2016
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          Passione e pensione, entrambe a ore

          Dopo una notte fatta di promesse,
          parole di troppo
          mai pensate,
          profumo di pelle nuova
          corpi sudati
          carezze e baci,
          al primo mattino
          lei va di corsa in bagno per rifarsi bella,
          se bella era,
          corpo e viso nascosti nel lenzuolo,
          forse
          perché io non la veda come è da struccata,
          Io già vestito
          e con la fretta da fuga addosso
          è dalla porta che le dico ciao
          ma con in testa la parola "addio".
          E per finire lascio giù al portiere
          quanto dovevo per la stanza
          e i soldi per il taxi da chiamare
          quando scenderà giù da sola
          per tornare a casa e dimenticare.
          Alexandre Cuissardes
          Composta martedì 2 febbraio 2016
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            La lama, l'inchiostro, la carta

            Ho scritto una fiaba per quando mi sento solo.
            Una fiaba
            per ascoltarmi raccontare.
            Ho scritto una fiaba
            da leggere a gocce,
            una parola alla volta.
            Da far prendere a piccole dosi
            come pillole amare,
            inutili cure
            per chi non voglio guarire.
            Ho scritto una fiaba
            da leggere ai figli di madri cattive,
            una fiaba che finisce male.
            Per le loro madri.
            Una fiaba da leggere ai padri cattivi,
            che finisce con i loro figli finiti male.
            Ed i padri che non reggono per il rimorso.
            Una fiaba di cuore ferito
            che comincia con errore
            e finisce con orrore.
            Perché non sia affatto fiaba
            per chi deve imparare.
            Ho scritto una fiaba
            che solo io chiamo fiaba,
            ma per trarre in inganno,
            per attirare
            chi la deve per forza sentire.
            Per non farli scappare.
            Per non farli sfuggire.
            Alexandre Cuissardes
            Composta martedì 2 febbraio 2016
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              Una situazione spiacevole fin da subito

              Eri troppo bella per poter avere bisogno di me,
              e troppo curiosa della vita perché io ti potessi bastare.
              Eri troppo buona per dirmelo
              ma troppo intelligente per non farmelo capire.
              Io ero troppo consapevole di questo
              per potermi attaccare a te,
              ma troppo preso perché mi potessi staccare.
              Avrei voluto che non potessi vivere senza la mia presenza,
              ma mi rendevo conto che erano tanti quelli candidati a riempire la mia assenza.
              Come sono stato male con te
              sto male senza te.
              E non basta a consolarmi
              il fatto di sapere che non sto più male come ieri.
              Oggi,
              rispetto a ieri
              provo solo un male diverso.
              Alexandre Cuissardes
              Composta martedì 2 febbraio 2016
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                Dall'altro lato del viale di sempre

                Chi non vedo più da tempo
                mi si fa folla intorno.
                Uno,
                pochi,
                molti.
                Dipende da quanto apro gli occhi.
                In strade piene.
                In un posto dove siamo solo noi due.
                Io,
                e te che non vedo.
                Oppure in quei tanti posti dove sono solo.
                Nei visi di fretta
                del mattino presto,
                ed in quelli curiosi
                delle ore di sera,
                le ore da cerca.
                Faccio la strada intera
                per rivedere le sue mille età,
                e le mie.
                Dagli asili alle scuole,
                dai negozi per bimbi
                ai locali da vita di notte.
                Prigioniero della mia unica età sentita.
                Quella dall'altro lato di quella strada.
                Alexandre Cuissardes
                Composta lunedì 18 gennaio 2016
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                  Nella parte alta d'Europa

                  È il mattino dopo.
                  Non so di che giorno.
                  E non è presto,
                  almeno per essere ancora buio.
                  Fa freddo,
                  come deve essere in novembre.
                  Scendo per le strade ferite.
                  Negozi chiusi.
                  Fermè
                  fermè
                  fermè.
                  Baguette listate a lutto
                  nelle vetrine con i vetri ammazzati.
                  Un verre de vin rouge
                  al banco del bistrot che apre per primo al mattino,
                  quello che si trova dopo la casa di qualcuno.
                  Il vino per abbattermi un po'.
                  Qualcosa di operaio e salato,
                  per tenermi su.
                  Colazione da inverno a nord,
                  da freddo in corpo.
                  La mano è rossa,
                  la veste il bicchiere.
                  Ricorda il sangue,
                  riporta alla notte di lampi e di fughe,
                  alla notte dei corpi distesi
                  delle vite fermate.
                  Alla notte purtroppo famosa.
                  Il qualcosa di operaio e salato
                  giace morto in fondo al cestino di plastica cinese.
                  Mi si è chiuso lo stomaco.
                  Bevo un altro bicchiere,
                  in fretta,
                  senza guardarmi la mano,
                  ed esco.
                  Non so chi c'è intorno a me
                  e non voglio sapere.
                  "Io non so, non so niente".
                  Tengo la testa bassa
                  e vado incontro alle strade ferite che sono dentro di me,
                  sporche di vin rouge e di sangue.
                  Alexandre Cuissardes
                  Composta lunedì 18 gennaio 2016
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                    Il cimitero delle piccole grandi cose

                    Un regalo mai aperto
                    per non essere deluso.
                    Un biglietto mai inviato
                    per mancanza di coraggio.
                    Quella foto mai voltata
                    per vedere chi ci fosse.
                    Quell'odore da cucina
                    che non è solo mangiare.
                    Il profumo del mancato appuntamento.
                    Il rumore registrato
                    di un lontano batticuore.
                    E l'orecchio che rubò.
                    Una ciocca di capelli
                    con un pettine attaccato,
                    e la mano del barbiere
                    che non doveva osare tanto.
                    Tutto quanto seppellito
                    nel cassetto delle cose
                    rese inutili per forza.
                    E la chiave del cassetto
                    chiusa dentro con le cose.
                    Alexandre Cuissardes
                    Composta domenica 27 dicembre 2015
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