Rivolgete talor pietoso gli occhi da le vostre bellezze a le mie pene, sì che quant'alterezza indi vi viene, tanta quindi pietate il cor vi tocchi. Vedrete qual martìr indi mi fiocchi, vedrete vòte le faretre e piene, che preste a' danni miei sempre Amor tiene, quando avien che ver' me l'arco suo scocchi. E forse la pietà del mio tormento vi moverà, dov'or ne gite altero, non lo vedendo voi, qual io lo sento; così pensosa io meno, e men voi fiero ritornerete, e cento volte e cento benedirete i ciel che mi vi diêro
Che meraviglia fu, s'al primo assalto, giovane e sola, io restai presa al varco, stando Amor quindi con gli strali e l'arco, e ferendo per mezzo, or basso or alto, indi 'l signor che 'n rime orno ed essalto quanto più posso, e 'l mio dir resta parco, con due occhi, anzi strai, che spesso incarco han fatto al sole e con un cor di smalto? Ed essendo da lato anche imboscate, sì ch'a modo nessun fess'io difesa, alla virtute e chiara nobiltate? Da tanti e ta' nemici restai presa; né mi duol, pur che l'alma mia beltate, or che m'ha vinta, non faccia altra impresa
Vieni, Amor, a veder la gloria mia, e poi la tua; ché l'opra de' tuoi strali ha fatto ambeduo noi chiari, immortali, ovunque per Amor s'ama e disia. Chiara fe' me, perché non fui restia ad accettar i tuoi colpi mortali, essendo gli occhi, onde fui presa, quali natura non fe' mai poscia, né pria; chiaro fe' te, perché a lodarti vegno quanto più posso in rime ed in parole con quella, che m'hai dato, vena e ingegno. Or a te si convien far che quel sole, che mi desti per guida e per sostegno, non lasci oscure queste luci e sole.
Come chi mira in ciel fisso le stelle, sempre qualcuna nuova ve ne scorge, che non più vista pria, fra tanti sorge chiari lumi del mondo, alme, fiammelle; mirando fisso l'alte doti e belle vostre, signor, di qualcuna s'accorge l'occhio mio nova, che materia porge, unde di lei si scriva e si favelle. Ma, sì come non può gli occhi del cielo tutti, perch'occhio vegga, raccontare lingua mortal e chiusa in uman velo, io posso ben i vostri onor mirare, ma la più parte d'essi ascondo e celo, perché la lingua a l'opra non è pare.
-Trami - dico ad Amor talora omai fuor de le man di questo crudo ed empio, che vive del mio danno e del mio scempio, per chi arsi ed ardo ancor, canto e cantai. Poi che con tanti miei tormenti e guai sua fiera voglia ancor non pago od empio, o di Diana avaro e crudo tempio, quando del sangue mio sazio sarai? Poi torno a me, e del mio dir mi pento: sì l'ira, il rimembrar pur lui, mi smorza, che dè miei non vorrei meno un tormento. Con sì nov'arte e con sì nova forza la bellezza ch'io amo, e ch'io pavento, ogni senso m'intrica, offusca e sforza.
Il bel, che fuor per gli occhi appare, e 'l vago del mio signor e del suo dolce viso, è tanto e tal, che fa restar conquiso ognun che 'l mira, di gran lunga, e pago. Ma, se qual è un cervier occhio e mago, potesse altri mirar intento e fiso quel che fuor non si mostra, un paradiso di meraviglie vi vedrebbe, un lago. E le donne non pur, ma gli animali, l'erbe, le piante, l'onde, i venti e i sassi farian arder d'amor gli occhi fatali. Quest'una grazia agli occhi miei sol dassi in guiderdon di tanti e tanti mali, per onde a tanto ben poggiando vassi.
Dura è la stella mia, maggior durezza è quella del mio conte: egli mi fugge, ì seguo lui; altri per me si strugge, ì non posso mirar altra bellezza. Odio chi m'ama, ed amo chi mi sprezza: verso chi m'è umìle il mio cor rugge, e son umìl con chi mia speme adugge; a così stranio cibo ho l'alma avezza. Egli ognor dà cagione a novo sdegno, essi mi cercan dar conforto e pace; ì lasso questi, ed a quell'un m'attegno. Così ne la tua scola, Amor, si face sempre il contrario di quel ch'egli è degno: l'umìl si sprezza, e l'empio si compiace.
Quando fu prima il mio signor concetto, tutti i pianeti in ciel, tutte le stelle gli dier le grazie, e queste doti e quelle, perch'ei fosse tra noi solo perfetto. Saturno diègli altezza d'intelletto; Giove il cercar le cose degne e belle; Marte appo lui fece ogn'altr'uomo imbelle; Febo gli empì di stile e senno il petto; Vener gli dié bellezza e leggiadria; eloquenza Mercurio; ma la luna lo fè gelato più ch'io non vorria. Di queste tante e rare grazie ognuna m'infiammò de la chiara fiamma mia, e per agghiacciar lui restò quell'una.
Voi, ch'ascoltate in queste meste rime, in questi mesti, in questi oscuri accenti il suon degli amorosi miei lamenti e de le pene mie tra l'altre prime, ove fia chi valor apprezzi e stime, gloria, non che perdon, dè miei lamenti spero trovar fra le ben nate genti, poi che la lor cagione è sì sublime. E spero ancor che debba dir qualcuna: - Felicissima lei, da che sostenne per sì chiara cagion danno sì chiaro! Deh, perché tant'amor, tanta fortuna per sì nobil signor a me non venne, ch'anch'io n'andrei con tanta donna a paro?
Era vicino il dì che 'l Creatore, che ne l'altezza sua potea restarsi, in forma umana venne a dimostrarsi, dal ventre virginal uscendo fore, quando degnò l'illustre mio signore, per cui ho tanti poi lamenti sparsi, potendo in luogo più alto annidarsi, farsi nido e ricetto del mio core. Ond'io sì rara e sì alta ventura accolsi lieta; e duolmi sol che tardi mi fè degna di lei l'eterna cura. Da indi in qua pensieri e speme e sguardi volsi a lui tutti, fuor d'ogni misura chiaro e gentil, quanto 'l sol giri e guardi.