C'è nebbia, di colore bianco nascosto, come polvere all'aria, e io sono qui, al mio posto, come sempre, dall'alba dei giorni, alle porte della città d'oro.
Ho il presentimento che appartiene al guardiano, quello di dover suonare il gjallarhorn, per l'ultima volta, annunciando la fine, per primo, primo attore di pagine scritte, sono al mio posto.
È una nebbia che non ha faccia dei soliti giorni, cresce, per nascondere l'inganno, ogni attimo rubato alla mia pur penetrante vista, è un momento in meno, sottratto agli ultimi sospiri. Come al gatto, cui han rubato il rumore dei passi, o il respiro assente nei pesci, questa nebbia avanza, verso la città splendente.
È questa la battaglia! Quella per cui, guerrieri come me, come i miei fratelli, hanno conosciuto i nove mondi, attraverso i propri occhi, al contatto della pelle. Il cuore mi si spacca, ho nel fiato il primo suono della guerra, comincerà da quel momento, comincerà da adesso.
Gjallarhorn suona. Il suo alito d'allarme, disperde ogni dubbio, nella nebbia si trasformano mostri e giganti, una distesa immensa, orda di distruzione. L'unico intento è travolgere la vita.
Ho ascoltato il nascere del primo suono, flebile, come niente possa assomigliare, sento crescere perfino l'erba, che al confronto, è come l'esplodere di un vulcano ardente, mi accorgo dell'ammantarsi di ogni gregge, della propria lana, ed il paragone fa sembrare come mille cascate infuriate. Ma con tutta la sua sottigliezza, quel primo suono, ha avuto lo stesso fragore della luce che disperde il buio, improvvisa.
Fin da quell'istante conosco il momento dell'ultimo gjallarhorn. Ed è adesso.
Venite avanti, demoni d'inganno! Ho la mia spada in pugno, e questo è quanto basta!
vivono nella mia mente, facce della stessa gente, niente d'importante.
Luce nei discorsi di oscure verità, regole e pretesti di false libertà, quante condizioni spacciate per progresso, sordida egemonia, sogni e convinzioni vendute per successo, candida malattia, sogni e convinzioni vendute per successo, perdute per successo rimescolati.
Maschere sulle facce della gente, maschere sulle facce della gente, maschere sulle facce della gente, maschere sulle facce della gente, vivono nella mia mente diverse facce della stessa gente, diverse facce della stessa gente che continua a recitare.
Io sono il cuore di un arcobaleno, goccia nascosta tra colori e nero, io sono un soffio di vento già perso, in un respiro di tempo diverso,
io sono nato da un'unica stella che di riflessi di luce non brilla, io sono un mondo di mente lontana, che viaggia al suono di mille pensieri.
Io, perso in ogni istante, nelle increspature che testimonianza rendono esistenza, io, punto di confine, tra un'assenza d'anima, e un sogno che non vive, io, vicino a Dio, nascita d'essenza, piume decadenti verità.
Io sono il cuore di un arcobaleno, roccia d'immagine il mio mistero, io sono un battito di cortesia, volontà d'altro, confusa bugia,
io sono vivo da una mattina fatta di cielo colore di notte, io sono segno lasciato su muro, che prima d'essere è già cancellato.
Io, fuoco di bestemmia, arso dal sapere d'essere soltanto maschera di nulla, io, lacrima di male, trasformata d'arte, per poter cadere, io, reclamo Dio, libero d'amore, ali per volare via.
Vi entusiasmerò con mille gocce di follia, prese da istanti soffocati d'insana armonia, dove trasformo essenza, dove ogni battito si nutre a immagini dipinte d'anima, ma non chiedete di più, per ogni lacrima discesa in fantasie d'oscurità, pagherò, che se un vecchio cuore porta estratte solo ali infette d'immortali sogni, a non poter capire, che ad ognuno infranto, nasce melodia modellata d'inferno, dove scendo per essere a ragione di esistenza, e trascino forme di putrida speranza, fino a trovare un Dio, che tutti quelli in cui ho creduto, ne stringo in petto solo immagini riflesse da lucente falsità, che se a volare fino ai limiti del cielo, il cielo finirà.
Vi entusiasmerò della mia stanca verità, frammenti catturati da ogni nuova identità, dove nascondo pugni chiusi, dove ho seppellito la mia vera maschera, lasciatemi cadere ancora, in fondo a ciò che non esiste, forse sarà, forse stelle colorate d'acqua piangeranno per me, che riconosco solo riflessi, e vivo come Dio.
Danza su nuvole di circostanza, questo incantesimo che oscura il mondo, pioggia di un'anima che sta nascendo, risveglio che ci distrugge i sogni.
E fingerai di passarci affianco, fotografia di un istante eterno, veglia continua di profumi intensi, vestaglia di una rinascita.
Cosa vive fuori, al di là degli occhi, solo un passo oltre, dorme nella mente, costruisce immagini, castelli fragili, domande inutili, altrove istante.
Echi lontani disturbano il cielo, campi sommersi di inutili ali, rabbia, dolore, paura di urlare, veli di cenere sulla vita.
Ricordi rimodellati dal tempo, menzogne rese più vere del sangue, sabbia ci resta da stringere in mano, stanche rovine di divinità.
Sopravvive ancora, al di là del senso, resta nell'attesa, immortale evento, sia la luce o tenebra, sia falso o verità, esiste nel nulla, se nulla esisterà.
È una dònna che accènde di biànco i suoi bàttiti scùri, che si sfiòra i capèlli, a cercàre disègni di spàzi nascòsti, nei cui pàssi puoi lèggere i sègni del tèmpo, tòccano il pètto.
Donne prèse dal sènso costànte del vìvere il giòrno, a cercàre quel pàsso più avànti di cùi c'è bisògno, spèsso si guàrdano intòrno, altre vòlte non guàrdano dòve finìsce lo sguàrdo degli òcchi.
Hanno dèntro un respìro divèrso, ogni fiàto potrébbe sembràre che aspètti sperànza, coi sospìri buttàti nel vènto, o con àttimi in viàggi di sògni duràti un secòndo.
Pòssono chiùdere un cuòre in cristàllo dai rìflessi ròssi, sanguinàrlo fin dòve anche il sògno si pèrde, o lasciàrlo cadère, sanno strìngerti fòrte, o svanìscono còme una nèbbia che rèsta fin dèntro le òssa.
Un bicchière di vètro che gràffia, coi colòri ridòtti in frantùmi, così fràgili quàndo il rifùgio del cuòre scompàre, lasciàndole nùde, un diamànte di pùra emoziòne, mille fàcce di stèssa brillànte invenziòne, tanto fòrti da sàper trovàre risòrse, quàndo anche al diàvolo né manca ùna.
Fanno chièdere còsa le pòrti a vedère le lòro ragiòni, il mistèro è quel dòno di cùi troppo spèsso le fànno regàlo, "che riuscìre a capìrti è impossìbile, dònna", Sì, sorrìdono, e pùre a se stèsse lo ammèttono,
ma di dèntro c'è un pìccolo "vèrbo" che dà sempre è scrìtto, dice sèmplicemènte, che fòrse, a comprèndere lòro non cì vuole mòlto Basterèbbe guardàrle negli òcchi.
È cominciata, posso sentirlo, come un legame, antico, o forse appena nato, posso capire che è tempo di indossare le mie vesti, nuove, per un motivo che è quello a cui han marchiato la mia essenza.
Avverto queste nuove vibrazioni, da tempo ormai infinito, esistono al momento stesso dell'inizio, e sembrano voler invadere, comprendere ogni altro suono, per zittirlo, nell'assordante silenzio del nulla.
È insito nel genere mortale, concepire in se, la fine. L'infinito ha posto in ogni sua parte, ciò che ne motivi l'esistenza, La morte dell'essere. Per chi come noi, è preposto a perdurare, l'unica via, resta l'inganno.
Ispiro i miei sogni, nel fuoco che arde dentro, lo stesso che è un richiamo dalla gente, inconsapevole della propria condanna, al soffrire di speranze, fino a far sentire un tiepido tepore di banali circostanze, come una ricerca motivante. Quel fuoco ha l'ardire di non volersi spegnere, per continuare a consumare ogni nota che ne anima la musica.
Tu, di tutti, sei l'unico che avrà il sangue per piangere delle mie scelte, esisto perché amore così forte si distingue da se stesso, e non ha scampo ne dal compiacersi, ne dal disperarsi. Se di questo amore immenso, se ne fa cornice su di un muro a parte, nascerà un dipinto dai colori tenebri e nutriti di rancore, e a voler ritrarre quel che è condannato ad osservare, mostrerà il suo amore, quel che odio ha trasformato.
Non posso che trasporre sentimenti in suoni, vibrerò le corde, dal peccato alla bestemmia, fino al senso del perdono. Ma di me, tutto è quello che ho il bisogno di cantare, La tristezza avvolgerà i miei sensi, e potrò farne musica. Ho la pena e la fortuna, di chi ascolta i gemiti dell'anima, attraverso il canto, io li sento appartenermi, e saranno quel che per me sono.
Ali di un calore candido, per cieli di cui la bellezza ho solo un ricordo, che sfuma nel mio petto, come mille lacrime di sangue. Quel che ascolta la mia essenza, è quest'unico tormento. Le lacrime dell'amore, tutte, mi appartengono, sono il dono, puro, di ogni figlio dal cielo, ed io conservo quel momento, in cui l'amore ha perso.
Non conosco che di riflesso quel che vivi del passato, per me è guerra, sfida, motivo di costringersi a migliorare, ricerca della sinfonia finale, della fantasia reale, Ho due ali che conoscono caverne ed antri scuri, e che se in cielo son vibrate, è per soffiare al nero più totale della notte. Non avrò posto nel tuo ritorno, se non dalla parte di chi scompare.
Per questo dovrò essere capace di tradire, ancora, per non rimpiangere l'amore del soffrire, il giusto del peccato, la convinzione che seppure ti indichino come per l'avverso, è questa la mia strada. Forse, sarà poter tornare a confondermi con quanto ho amato, tornare ad esistere nel bianco, quel bianco che cancella altri colori, che nella sua luce, non conosce impurità, e nella sua essenza, non ne ha bisogno, per mostrare qualunque cosa esista, e niente.
Anche il nero, anche il nero mostra tutto, e niente, ma ha la sfortuna di sprofondarsi all'interno, di aprirsi per avvolgere i pensieri.
Il nero, con il nero ho concepito la morte, ... oppure è solo quel che penso.
La morte... vibra, come fosse per far nascere un Dio.
Per noi, che di lei ce ne serviamo, è il passaggio alla rinascita, ed io tornerò alle mie ali. E tradirò, ancora.
La ragazza con le ali prese i suoi tre passi prima di volare, li percorse con respiri profondi come brividi.
L'uomo col cappello, dimenticò finalmente la pioggia, e guardò il cielo, oltre la striscia davanti agli occhi.
L'uomo dagli occhi di ghiaccio, si accorse del fascino rosso del fuoco, e cadde assieme alle sue lacrime.
La donna vestita di bianco, trafisse l'anima coi colori del sangue, tutti, tranne il rosso, tinsero la sua pelle.
La bambina scalza, contò i piccoli sassi sulla strada, avevano lo stesso numero dei suoi passi, scheggiati.
Tutti, in un solo momento, si accorsero che oltre le loro porte chiuse, non c'erano strade già battute, ma percorsi da inventare, da costruire, con l'essenza dei propri inganni, col sapore dei propri peccati, coi frammenti dei propri errori.
Niente risultava inutile, di quella nuova sensazione, ogni goccia, era per se, appartenente ad un'identità, finalmente.
Identità.
Nemmeno gli eroi avrebbero più fatto finta di tenerla nascosta. Non c'erano più parole a penetrare i nervi, se non per rafforzarli, tesi, come il vento.
Una forza nuova.
Senza nessun pregiudizio, scevro da considerazioni scadute come codici vecchi, striscianti.
Pugni chiusi.
A stringere quel nulla di cui s'intesse il desiderio ardente, il motivo a continuare.
L'uomo col bastone si chinò per batterlo per terra. Tre volte.