Non de' cantati secoli Invidio i giorni aurati: Purché tu il voglia, vivere Potremo i dì beati. Tu m'ami, io t'amo; un docile Legame ambo ci annoda; Tu me non credi instabile, Da te non temo io froda. Così gioia con Melide Il Pastorello un giorno Clio per sentiero incognito La trasse a rio soggiorno. Ma deh! ch'il puoi, l'immagini Lascia di moda, e ognora Sol di piacer desidera A chi solo t'adora. Bella tu sei, più candida Non fin che tu sia mai, S'anco ti desse Cinzio I fulgidi suoi rai. D'Amor, di Fe, di Venere Antica è pur la face, Ma nuova è ancor che amabile, E nuovo è ciò che piace. Mentre, il cantor di Cintia Seco ad amar l'invita, Le dice.- Amor è semplice, Odia beltà mentita. Negletta è ver, ma lucida La chioma è di Nerea; Tu incolta sembri Pallade, Colta non sembri Dea. Cresce la rosa, e innostrasi Fresca da sè soltanto; Più dolce è senza artefice Degli augellini il canto. Pari alla Dive olimpie Elena ergea la chiome, Ma ognor fra gli uomin d'Elena Vive esecrato il nome. Non perch'io tema o tenera Amica, di tua fede: In sì bel volto ingenuo La purità risiede. Risiede sì; ma candida Di fregio altro non cura; Ed ha ragion, ché vendica I dritti suoi natura.
Ferma, che fai? l'incauto Piede ritira, e ascolto Porgi ad un labbro ingenuo Fino ch'il giogo hai sciolto. Non fremi ancor? Ahi misera! Il precipizio è aperto; Mira lo scritto ferreo: Alto infortunio e certo Già semi-spenta lampada Luce all'orror funèbre, E mostra assai più orribili L'orribili tenèbre. Romito è il duol; le lagrime Grondano ognor dirotte, E sol fra veglie scorrono L'ombre d'odiata notte. Di', che farai? Già echeggiano Le tombe, e i santi altari Sol di singulti flebili, Solo di voti amari. Regna il digiuno; ei stringere Aspro flagel tu vedi; Pur disperato e languido Geme dell'are ai piedi. Gemi tu pure; e il gemito Ch'a me su l'alma piomba, Ah! t'aprirà cinerea Troppo immatura tomba. Se or non ti penti, ahi misera! Fia il pentimento tardo; Odi, tel dice squallida L'amica d'Abelardo. Vedi Eloisa: assidesi Su scanno nero e scabro, E bevo le sue lagrime Collo sfiorito labro. Abbi rispetto, o infausto Amor, abbi rispetto A quel tetro silenzio Che mi dilania il petto: Ella sì grida; e tacita Prende la penna in mano, E alfine ardisce scrivere Ad amator profano. Ah scrivi! ah scrivi! un barbaro Non è dell'alme Dio, Te involontaria vittima L'altrui barbarie offrio. Sull'ara augusta e candida Arse l'incenso impuro; Tremàr i cerei e il tempio A quel tremendo giuro. Ma tu, Eloisa tenera, No, non temer; conosco D'un cor sforzato a piangere Dio le proterve angosce. Tema flagello vindice Chi sè spontaneo gli offre, E gli ermi dì funerei Con pago cor non soffre. Ecco il tuo fato; in braccio Per sempre a lui ti getta, Ma di'? vedrai tu intrepida L'affanno che t'aspetta? Riedi e ne godi: o il debile Tuo collo al giogo appresta; Ma trema; Iddio si vendica Del cor che lo calpesta
O tu, cui gli anni rosei Sono dai vezzi adorni, Cui dell'etade arridono I più beati giorni, Desii veder l'immagine Del tuo lontano amico? Odi i miei versi ingenui, Chè sempre il ver io dico. A me, gentile, amabile Volto non diè natura, Ma diemmi invece un'anima Tenera, fida e pura. E diemmi invece un fervido Cor, cui non sono ignoti D'amore e d'amicizia I più soavi moti. E diemmi un estro rapido Che carmi ai labbri inspira, Per cui non è tra l'ultime Quest'amorosa lira. Ma a te, fanciulla ainabile, Questo non basta, è vero, Non basta ai guardi cupidi L'animator pensiero. Sì, bella amica, a pingermi Destro verrà pittore, Ma potrà far che ispirino Dolce quest'occhi amore? E le mie guance giovani Da pelo ancor non tinte, D'amore con l'ingenuo Rossor saran distinte? Saprà ritrar l'effigie Viva del volto mio Allor che il seno m'agita Per te di Pafo il Dio? E saprà far che dicano, Tacendo, i labbri miei Che tu mi piaci, e ch'unica Dea del mio cor tu sei? Ah no, nol può! La rodia Arte à miei carmi cede; Che amor l'agguaglia e supera Ella medesma il vede. Te pinsi, o bella; e il candido Volto ognor stammi al fianco; Nè mai, qual te, l'immagine Mai di mirar son stanco. Te pinsi; e i labbri, e i lucidi Lumi, e le trecce bionde; Lor parlo; e tosto il turgido Bel labbro tuo risponde. Di Tejo il vate pingere Volle la bella amica, Commise a industre artefice Sì genïal fatica; Ma che? Conobbe ei subito Lei nel dipinto aspetto, Ma udir non fu possibile Dai finti labbri un detto.
E te, leggiadra Venere, Te canteremo ancora, O Dea, più fresca e rosea Della serena Aurora; Te, cui le Grazie morbide Sieguon coi biondi Amori, Te, che tra Giuno e Pallade Avesti i primi onori. Ma non avrai di giubilo Canti, vezzosa Dea; Suoni giocosi ed ilari La cetra un dì spargea; Or già non più: ché scorsero Què sì beati giorni, Sacri ad amor purissimo, Da mutua pace adorni. Me di fanciulla instabile Arde l'incerta fede; Mal possono le lagrime Di cui le bagno il piede. A te ricorro io supplice, O tra la belle bella; Almen tu, piega l'anima Della mia rea donzella. Te di Neera il tenero Cantor chiamar solea, Quando fra voti flebili All'are tue sedea; E con fragranti aromati, Con fiori al suol, dispersi Su la gemente cetera A te innalzava i versi. L'aitasti, o Dea? Le lagrime Tergesti a lui pietosa? Tornò per te a quel misero La ninfa sua ritrosa? Ah no! Tu, Diva idalia, Che in ogni dove imperi Su l'infelice giovane Giravi i lumi alteri. Né Adon membrasti, e i gemiti, E il ripercosso petto, Allor che in sé porgeati Dè mali suoi l'aspetto, Te pure Amor con l'aureo Dardo, te pur ferìo; Lo sa il tuo cor medesimo Quanto è tiran quel Dio. Pianti d'amor sgorgarono Dal tuo beante ciglio; Eppur, ch'il crede? Piacquero Quei pianti al crudo figlio Pietà, gran Dea: d'un misero aleggia i tristi affanni, Che di sua, età più florida Consacra a te i begli anni. Pietà! - La mesta effigie Del volto mio tu mostra, Tra le sognate immagini A la fanciulla nostra. Fà che il suo cor le palpiti Con moto non più inteso; Fà che di fiamma ingenua Sentasi il core acceso. Ah! se da quel di porpora Labbro suonar io sento, T'amo, per me nettareo Per me beato accento; Sacerdotessa, o Venere, Sempre farò che sia Attenta ai tuoi misterii Questa fanciulla mia.
O tu, cui dolce imperio Sa i cor natura diede, Bionda beltà, cui servono Tenero Amore e Fede, De' versi miei spontanei Accetta ingenuo dono, Se a te i miei versi piacciono Anch'io poeta or sono. D'un tuo sorriso roseo Irraggia i canti miei, Che i tuoi sorrisi beano Fin su l'Olimpo i Dei. Tu di leggiadra vergine Splendi negli occhi vaghi, Donde con dardi amabili Soavemente impiaghi; E tu sul labbro armonico, O Dea, vi stai scolpita, Che mentre accenti modula A sospirare invita. Ancelle tue ti sieguono Le linde Grazie, e stanno TuttE su un braccio latteo Con cui tu tessi inganno; Inganno tessi; e all'anima D'un giovanetto amante Rendi più dolce e tenero Il vezzo più incostante. Ma, o bionda Dea, se furono A te miei spirti avvinti, Se i miei versi cantarono Da' tuoi color dipinti; Pietà d'un Vate: al misero Gli arde fanciulla il seno; Fa' ch'ella sia più stabile, O men vezzosa almeno. Vola ne' dì purpurei Il garzoncel di Flora; Vieni, ella dice, o Zefiro, In braccio a chi t'adora; Vieni.... Ma sordo e celere Ei fugge, e non l'ascolta; Quando a lui piace è libero, E la catena ha sciolta. Ahi che pur scioglie il laccio Questa tiranna mia; Ama; ma impune fuggesi D'amor s'ella il desia. Lasso! ch'io pur desidero Fuggir da' lacci suoi, Ma tu, Beltade amabile, Tu consentir non vuoi
Dell'uom la prima inobbedienza e il frutto Dell'arbore vietata, onde l'assaggio Diede noi tutti a morte e all'infinite Miserie, lungo dal perduto Edenne, Finché l'uomo divino alle beate Perdute sedi redentor ne assunse, Canta, o Musa celeste! E tu in Orebbo, E tu del Sinai sul secreto giro Già spiravi il pastori che...
Chi medita fra 'l tacito Saggio orrore di grotte, E di Giob su le pagine Tragge vigile nette, E chi in ribrezzo fugge Donde la colpa rugge?
Guai guai! d'ira e giustizia Il Lione passeggia, Le zampe e i labbri insanguina Entro splendida reggia, 10 E all'universo folle Un regicidio estolle.
Tutto imperversa: ingemina Il nitrir de' cavalli, Mentre fra bronzi orrisoni Rimbombano i timballi, E infuriata guerra Cittadi sfianca e atterra
Ma qual candida Vergine In puro ammanto ascosa Fra gli orrori dell'eremo In grembo a Dio riposa, E il volto ingenuo copre Rimpetto a orribil opre!
Vien meco, o Eletta, a piangere Il soqquadrato mondo, Ch'ode gli eterei fulmini, E corre furibondo A trar suoi giorni eterni Ne' spalancati averni:
Vieni; e stringendo in lagrime L'insanguinata Croce, A Dio manda fra 'l gemito Pietosa innocua voce, Mentr'io per l'erbe intanto Di terror spargo un canto.
Vedilo! È Dio che l'aere Sol con un braccio occupa, Ed accigliato spazia Entro tuonante e cupa Carca di piaghe nube, Mentre ai fulmini jube.
Forse avverrà che al flebile Suono di tue parole A noi s'apra più splendido Di sua pietade il sole, E dall'olimpio trono Spanda mite perdono.
Già di sterminio l'Angelo Su Morte accavalcato Punìa dell'empia Ninive Il delitto ostinato; Già vibrava furente Su lei brando rovete;
Ma al suol sparsa di cenere Penitenza prostrosse, E squallida di Jehova L'augusta ira rimosse, Ed arrestò la mano Al feritor sovrano.