Vassi rapido il tempo, e al tempo il duolo Della cadente età tosto succede; Godiamo, amici: de' piacer lo stuolo Passa e non riede. Assisi a umili ma contenti deschi Colmiam le tazze di soave vino; Altri fra l'armi follemente treschi Col suo destino. Audace troppo dell'iniqua corte Nell'onde si scatena il nembo fosco; Da noi si cerchi più beata sorte In mezzo a un bosco. Se piange un infelice, il mesto pianto Tosto da noi si asciughi e si consoli; Chi non esulta delle Muso al canto A noi s'involi. Bell'è l'Amor, egli al piacer c'invita; Dunque Ninfa che agli occhi e all'alma piace Sia della nostra fuggitiva vita Conforto e pace. Vassi rapido il tempo, e al tempo il duolo Della cadente età tosto succede; Godiamo, amici: de' piacer lo stuolo Passa e non riede.
Irene candida, lascia le piume, T'affretta a cogliere leggiadri fiori Or ch'Alba fulgida spande il suo lume Co' nuovi albori. In mezzo agli alberi d'accanto il fonte Vedrai tu sorgere bei gelsomini; Li cogli, e adornati del vago fronte i vaghi crini. Mentre innoltravasi col gajo aprile Soave Zefiro là fur piantati, Da me alla morbida tua man gentile Poscia serbati. Il graziosissimo tuo cestellino Empi di mammole e di viole; Ma, bene badami, sfiora il giardino Prima del Sol Indi, sovvengati, Fanciulla mia, Che voglio un bacio al tuo ritorno, Nè vo' che al solito tu me lo dia Un altro giorno. Chè questo amabile giorno mai viene, E se anche in seguito così faremo, Gli anni andran rapidi, nè un giorno, o Irene, Goduto avremo.
Fra soavissimi fioretti un giorno Giaceano Amore e Venere, E mille Genii stavan d'intorno E mille Grazie tenere. Io con l'eburnea mia cetra al collo, Scarco di cure torbide, Passai con l'alma piena di Apollo Per quelle sedi morbide. A sè chiamatomi la gaja Diva, Con fiamma al labbro e al ciglio, Disse: Tua cetera canti giuliva La possa del mio figlio. Io pria con giubilo cantai d'Amore Su gli altri Dii le glorie; Soggiunsi poscia quai sul mio core Ei riportò vittorie. Si attente stavano le Grazie al canto, E que' Amorini amabili, Che s'obliarono d'essere accanto A' loro giochi instabili. Giuro per l'aurea chioma febea, Che più dell'onda livida Di Stigo io venero, vidi la Dea Farsi al cantar più vivida. E tu, o Licoride, non mai ti pieghi De' carmi al suon sensibile, Invan fra lagrime io canto e prieghi, Chè sempre so, inflessibile.
Gentile Nelae, tu al collo candido Lascia che scendano le chiome d'auro, E alle mie tempio adatta Sacro ad Apollo un lauro. Al suon armonico di nostre cetere Vengon su i Zefiri le Grazie tenere, Che per udir tua voce Abbandonano Venere. Esci dal semplice tetto pacifico, Dell'igneo Cintio s'ascose il raggio; E all'umid'ombra siedi Meco dell'ampio faggio. O bianca Nelae, non esser timida, In ore tacite fra bosco atrissimo Tu sai ch'io ti favello Sol d'un amor purissimo. Di noi la candida fia testimonio Luna che tacita irraggia l'aria; Nè la temer, ché anch'essa Amò il pastor di Caria. Ve' riscintillano nel viso garrulo Gli astri che fulgidi sembra che ridano, E perfin gli usignuoli Par che a noi soli arridano. Fanciulla amabile, canta i bei numeri. Ma qual per l'aere di velo a foggia Nube si stende? - ah certo Vicina è a noi la pioggia. Presto fuggiamoci dal negro turbine; Il tempo placido oh corno è instabile! Ah non vorrei che il fossi Tu pur, fanciulla amabile.
Vinsero gli anni: tu sperasti indarno Gloria fiammante pel guerriero brando: Vedila, langue di tuo nome in bando. E il volto ha scarno. Odio chi ammira di Filippo il germe Ch’ha morte al fianco devastando l'orbe, Fossa di polve col possente assorbe. Seco l'inerme. Tu cogli, amico, dal giardino umìle Frutta, ristoro d'indigente brama; Di gloria nostra degli eroi la fama Sarà più vile. E al mormorante serpeggiar di linfa, Al molle zirlo d'augellin su i rami Versi cantiamo che ripeter ami Tenera Ninfa.
Bella ch'osservi degli amanti i scherzi, E sorridendo, quando tutto dorme, Gli albi corsieri del tuo carro sferzi, Diva triforme; Spandi nel seno dei cantor pudico Candido raggio svegliator di modi, Ch'ei te mirando sopra un colle aprico Dirà tue lodi. Splendi tu dolce nel mio sen qual splende Della mia Clori la beante faccia, Che delle Grazie le virginee bende Al petto allaccia. Più di Ciprigna venerabil sei A me, o possente nel ferir le belve, Ch'offri riposo del pensieri miei Nelle tuo selve. Possa io mirarti fra le selve care Quando passeggia con tue ninfe Aprile; Ch'io ti prometto sul tuo casto altare Cerva gentile.
Le bionde Grazie schiusero Al ghirlandato aprile Le verdi porte, e mancavi De' fiori il più gentile? Con le sue mani ambrosie L'innamorata Aurora Dal Cielo umor freschissimo Per lui non sparse ancora? Tu, fior splendente e semplice Come la mia vezzosa, Tu fra le spine floride Ancor non spunti, o Rosa. Mentre vedeati sorgere Il gajo Anacreonte Inni t'ergea cingendosi Di te la calva fronte. E in mezzo a danze e giubilo L'altrui chiamava aita Onde cantar tua morbida Foglia agli Iddii gradita. Tu sei trofeo di tenere Grazie, sei giuoco, o Rosa, D'amor nei giorni floridi A Citerea scherzosa. E che fia mai d'amabile Senza il bel fiore? infine Le Ninfe han braccia rosee, L'Alba le dita e il crine. Così cantava il vecchio Tejo poeta; Amore Dettava i carmi, memore Di te suo caro fiore. E a noi sei caro: immagine Tu delle guance sei Di Lei che tien l'imperio Su tutti gli atti miei. Di Lei che bella e fulgida In sua bellezza or viene, Che con un sguardo sforzami Baciar le mie catene. Ma sorgi ormai, purpuree Bel fiorellino, sorgi; Tu alla mia dolce vergine Gaja ghirlanda porgi. Su le sue chiome d'auro Tanto sarà più vaga Quanto vicino al latteo Seno che gli occhi impiaga. Deh! sorgi, o fior! l'armonico Plettro ch'Amor risuona Da tuo fragranti foglie Gentile avrà corona. E a questo sen medesimo Io ti porrò, bel fiore, Come verace effigie D'un innocente core.
Or tra i romiti boschi Men vo, ma porto scolto Il tuo vezzoso volto In mezzo a questo sen. Fida ti serba: addio, Tenera Cloe, ben mio, Ah! D'un fedele amante, Cara, rammenta almen. Gorgheggeran gli augelli Fra l'inquïete frondi; O cara, ove t'ascondi? Io griderotti allor. Ah! mi parrà ogni cosa L'amica mia vezzosa, Ma tu rammenta almeno Il più fedele amor. Verrassi un venticello, E con pietosi giri Dirammi: Son sospiri Questi del fido ben. Ma fuggirà l'inganno, Sospiri non saranno; Chè forse non rammenti Il nome mio nemmen. Pastori e forosette Verran con faccia lieta, E al primo lor poeta Diran: Deh! Canta amor! Io mescerò frattanto À mesti versi il pianto, Ma tu rammenta almeno Un infelice ardor. Se nol rammenti, ah! Cloe, Rammentati ch'Amore È meco a tutte l'ore, E squarciami ogni vel; Dirà se tu sè amante, Dirà se sè incostante, E dir saprà se ognora Tu mi sarai fedel. Ma di te, dolce amica, Stolto, diffido invano, Chè benché in suol lontano Mi serberai nel sen. Cos'io ti serbo. Addio, Tenera Cloe, ben mio: Ah! Del più fido amante, O Cloe, rammenta almen.
Odi de' versi miei, O pastorella, il suono, E ti prometto in dono Un nastro porporin. Venne fra' boschi tuoi A soggiornar la bella? E lei, se a lei saltella Vicino un agnellin. Conoscer tu la puoi Dalle sue biondo chiome... Ma dir vorresti: E come Vestita qui sen va? Odi: qual te s'ammanta D'un gonnellin leggiero, Chè lascia il fasto altero All'invida città. Ha leggiadretto il labbro, Neri e focosi i lumi, Ha placidi i costumi E gli atti al par di te. Già la conosci: or vanno A lei correndo, e dille: Fille, vezzosa Fille, Elpin ti chiama a sè. Elpin? dirà... Sì Elpino, Tu le rispondi, e ascoso Là fra quel bosco ombroso Te sola attende Elpin. Vanne: già udisti quanto, O pastorella, aspetto, E in dono ti prometto Un nastro porporin.
Il Fratellin vezzoso, Sempre tu piangi, ei dice; Tenera età felice Che non conosco amor! Ma ben verran quegli anni, Che il Fratellin vezzoso Non troverà riposo Nel passionato cor. Quel roseo volto, i guardi Sì vivi e sì innocenti Li mirerò dolenti In atto di pietà. Allor dirò: i miei pianti, Quand'eri pargoletto, Eran d'amore effetto, Effetto di beltà.