Coronati di gel gli elvezj monti; Or che del vero illuminar l'aspetto Non è delitto, or io te, diva, invoco: Scendi, e la lingua e il petto Mi snoda e 'infiamma di tuo santo foco.
Ombre dè Bruti, ai secoli mostrando Alteramente il brando Del padre tinto e dei figliuol nel sangue; Te, o Libertà, se per le gelid'onde Del Danubio e del Reno Gisti fra genti indomite guerriere; Te se raccolse nel sanguineo seno Brittannia, e t'ascondea mortifer angue; Te se al furor di mercenarie spade De l'Oceàno da le ignote sponde T'invitàr meste, e del tuo nome altero Le americane libere contrade; O le batave fonti, O ti furo ricetto.
Dove tu, diva, da l'antica e forte Dominatrice libera del mondo Felice a l'ombra di tue sacre penne, Dove fuggivi, quando ferreo pondo Di dittatoria tirannia le tenne Umìl la testa fra servaggio e morte? Te seguìr le risorte
E questa è l'ora! mormorar io sento Co' miei sospiri in suon pietoso e basso Tra fronda e fronda il solitario vento. E scorgo il caro nome; e veggo il sasso Ove Laura s'assise, e scorro i prati Ch'ella meco trascorse a passo a passo. Quest'è la pianta che le diè i beati Fior ch'ella colse, e con le molli dita Vaga si fe, ghirlanda ai crini aurati. E questo è il conscio speco, e la romita Sponda cui mesto lambe un fonte e plora, E i ben perduti a piangere m'invita Qui de’ più gai colori ornossi Flora, Qui danzaro le Grazie, e qui ridente A mirar la mia donna uscì l'Aurora. 15 E qui la Luna cheta e risplendente Guatocci, e rise; e irradïò quel ramo Ove ha nido usignol dolce-gemente; E scosso l'augellin, mentre ch'io: " T'Amo " A Laura replicava, uscir s'udia Ne' suoi dolci gorgheggi: " Io t'amo io t'amo ". O sacra rimembranza, o della mia Prima felicità tenera immago, Cui Laura forse a consolarmi invia; Vieni: tu vedi solitario e vago Il giovin vate, che piangendo porta Ahi! d'affanni più gravi il cor presago. Già s'avanza la Sera, e la ritorta Conca tien alla destra, e di rugiade Le languid'erbe, e i fiori arsi conforta. E il Sol che all'Oeeàn fiammeo ricade, Vario-tinge le nubi, e lascia il mondo All'atra Notte che muta lo invade. E tutto è mesto: e dal cimmerio fondo S'alzan con l'Ore negre e taciturne Oscuritate e Silenzio profondo. Era l'istante che su squallide urne Scapigliata la misera Eloisa Invocava le afflitte ombre notturne; E su1 libro del duolo u' stava incisa ETERNITADE E MORTE, a lamentarsi Veniasi Young sul corpo di Narcisa: Ch'io smarrito in sembiante, e aperti ed arsi I labbri, e incerto i detti, e gli occhi in pianto, Coi crin sul fronte impallidito sparsi, Addio diceva a Laura, e Laura intanto Fise in me avea le luci, ed agli addio Ed ai singulti rispondea col pianto E mi stringea la man: - tutto fuggìo Della notte l'orrore, e radïante Io vidi in cielo a contemplarci Iddio, E petto unito a petto palpitante, E sospiro a sospir, e riso a riso, La bocca le baciai tutto tremante. E quanto io vidi allor sembrommi un riso Dell'universo, e le candide porte Disserrarsi vid'io del Paradiso.... Deh! a che non venne, e l'invocai, la morte?
Alfin tu splendi, o Sole, o del creato Anima e vita, immagine sublime Di Dio, che sparse la tua faccia immensa Di sua luce infinita! Ore e Stagioni, Tinte a vari color danzano belle Per l'aureo lume tuo misuratore De' secoli, e de' secoli scorrenti, Alfin tu splendi! tempestoso e freddo Copria nembo la terra; a gran volute Gravide nubi accavallate il cielo Empian di negre liete, e brontolando Per l'ampiezza dell'aere tremendi Rotolavano i tuoni, e lampi lampi Rompeano il bujo orribile. - Tacea Spaventata natura; il ruscelletto Timido e lamentevole fra l'erbe Volgeva il corso, nè stormian le frondi Per la foresta, nè dall'atre tane Sporgean le belve l'atterrita fronte. - Ulularono i venti, e ruinando Fra grandini, fra folgori, fra piove La bufera lanciosse, e riottoso Diffuse il fiume le gonfie e spumose Onde per le campagne, e svelti i tronchi Striderono volando, e da’ scommossi Ciglion dell'ondeggianti audaci rupi Piombàr torrenti, che spiccati massi Coll'acque strascinarono. Dal fondo D'una caverna i fremiti e la guerra Degli elementi udii; Morte su l'antro Mi s'affacciò gigante; ed io la vidi Ritta: crollò la testa e di natura L'esterminio additommi. - In ciel spiegasti, O Sol, tua fronte, e la procella orrenda Ti vide e si nascose, e i paurosi Irti fantasmi sparvero.... ma quanti Segni di lutto su i vedovi campi, Oimè, il nembo lasciò! Spogli di frutta, Aridi, e mesti sono i pria sì vaghi Alberi gravi, e le acerbette e colme Promettitrici di liquor giocondo Uve giacciono al suol; passa 1'armento E le calpesta; e istupidito e muto L'agricoltore le contempla e geme.
Intanto scompigliata, irta e piangente Te, o Sol, ripriega la Natura, e il tuo Di pianto asciugator raggio saluta; E tu la accendi, e si rallegra e nuovi Prometto frutti e fior. Tutto si cangia, Tutto père quaggiù! Ma tu giammai, Eterna lampa, non ti cangi? mai? Pur verrà dì che nell'antiquo vòto Cadrai del nulla, allor che Dio suo sguardo Ritirerà da te: non più le nubi Corteggeranno a sera, i tuoi cadenti Raggi su l'Oceàno; e non più l'Alba Cinta di un raggio tuo, verrà su l'Orto Ad annunziar che sorgi. Intanto godi Di tua carriera: oimè! ch'io sol non godo De' miei giovani giorni: io sol rimiro Gloria e piacere, ma lugubri e muti Sono per me, che dolorosa ho l'alma. Sul mattin della vita io non mirai Pur anco il Sole; e omai son giunto a sera Affaticato; e sol la notte aspetto Che mi copra di tenebre e di morte
Quando la terra è d'ombre ricoverta, E soffia 'l vento, e in su le arene estreme L'onda va e vien che mormorando geme, E appar la luna tra le nubi incerta;
Torno dove la spiaggia è più deserta Solingo a ragionar con la mia speme, E del mio cor che sanguinando geme Ad or ad or palpo la piaga aperta.
Lasso! me stesso in me più non discerno, E languono i miei dì come viola Nascente ch'abbia tempestata il verno;
Chè va lungi da me colei che sola Far potea sul mio labbro il riso eterno: Luce degli occhi miei, chi mi t'invola
ELEGIA Qui sorge un'urna, e qui in funereo manto Erran le Grazie, e qui echeggiar s'ascolta Flebili versi, fioche voci, e pianto. E di cipressi sotto oscura volta Cupa Malinconia muta s'aggira Coi crin su gli occhi, e nel suo duol raccolta. Qui gemebondo a lagrimar si mira Vate canuto su la sorda pietra, E ora ammuta, ora geme, ed or sospira: Giace da un lato al suol mesta la cetra, Che con le dolci fila tremolando Manda intorno armonia confusa e tetra; E i primi affanni suoi più rammentando Al tetro suon Filomela risponde Suoi lai soavemente modulando. Al duol che il Vate misero diffonde Tutto sospira, tutto s'accompagna Tutto a piangere seco si confonde. Trista è così de' morti la campagna Allor che Young fra l'ombre de la notte Sul fato di Narcisa egro si lagna. E al suon di sue querele alte interrotte Silenzio, Oscurità s'alzan turbati Dal ferreo sonno di lor ampie grotte. Qui pur regna tristezza! E al colle, ai prati Agli alberi, alle fonti, ed agli augei Narra il buon Veglio d'Amaritte i fati. Anch'io, dolce Poeta, anch'io perdei Tenera, amica, onde confondo or mesto A' tuoi dirotti pianti i pianti miei. Erano gli occhi suoi caro e modesto Raggio di Luna, era il parlar gentile Giojoso cardellino appena desto. Ah! la Ninfa più amabile d'aprile Che inghirlanda di rose i crini a Flora Tanto non era a sua beltà simìle. Ma come il Sol de la vezzosa Aurora Le chiome arde e le vesti, e co' suoi dardi Spegne i fioretti, e di Favonio l'òra; Così Morte accigliata i dolci sguardi Della tenera amica d'improvviso Chiuse, ché i voti miei furono tardi. Pallido e smorto io vidi il vago viso, Udii gli estremi accenti, e l'fiato estremo Esalare fra un languido sorriso. È un anno intanto che coi pianti io spremo Dell'affannato cor l'immensa doglia, Che sol trovo conforto allor ch'io gemo. Cinta di bianca radïante spoglia Scende talora la pietosa amante A consolarmi da l'empirea soglia. E poco fa Ella apparve a me dinnante A mano d'Amaritte, a cui conforme Fu l'età, fu il costume, e fu l'sembiante. A le fiorite placide lor orme Io le conobbi, ed al sereno riso, E le conobbi a le beato forme, Sparpagliavano gigli, e dolce, e fiso Aveano in me quel raggio, che d'intorno Il piacer diffondea del Paradiso. Poscia su rosea nube a lor soggiorno Corteggiato dai Spiriti innocenti Balenando beltà facean ritorno. Ma tu, dolce Poeta, a' tuoi lamenti Pon modo alfine, e fa' che un lieto canto S'unisca ai loro angelici concenti. Or che siedi su l'urna, e un serto intanto Di cipresso lor tessi, Elle dal Cielo Ti guardan coronato d'amaranto. Oh! se avvolta talora in niveo volo La gentil Coppia a raddolcir discendo La piaga che a te fe' di morte il telo; Deh! tu ravvisa alle Virginee bende Al crin biondo alle cerule pupille La mia Angioletta, e sospirando dille: Odi che il tuo Fedel piange e t'attende.
Che or lagrima spargeva ed or sospiro. Poi tutto sparve, ché tremenda voce Rintuonò intorno, e da' lor cupi abissi Tornàr la notte e il turbine feroce, E ancor tremando quel che vidi io scrissi.
Il maggior Cherubino allor fe' segno Ai sette Spirti, e rapidi il seguiro Del firmamento vèr lo schiuso regno: E in estasi di gioja e di martiro Lasciàr quell'Angioletta su la Croce