Poesie d'Autore migliori


Scritta da: Elisa Iacobellis
in Poesie (Poesie d'Autore)

Il sogno

Per nessun altro, amore, avrei spezzato
questo beato sogno.
Buon tema per la ragione,
troppo forte per la fantasia.
Sei stata saggia a svegliarmi. E tuttavia
tu non spezzi il mio sogno, lo prolunghi.
Tu così vera che pensarti basta
per fare veri i sogni e storia le favole.
Entra tra queste braccia. Se ti sembrò
più giusto per me non sognare tutto il sogno,
ora viviamo il resto.

Come un lampo o un bagliore di candela
i tuoi occhi, non già il rumore, mi destarono.
Così (poiché tu ami il vero)
io ti credetti sulle prime un angelo.
Ma quando vidi che mi vedevi in cuore,
che conoscevi i miei pensieri meglio di un angelo,
quando interpretasti il sogno, sapendo
che la troppa gioia mi avrebbe destato
e venisti, devo confessare
che sarebbe stato sacrilegio crederti altro da te.

Il venire, il restare ti rivelò: tu sola.
Ma ora che ti allontani
dubito che tu non sia più tu.
Debole quell'amore di cui più forte è la paura,
e non è tutto spirito limpido e valoroso
se è misto di timore, di pudore, di onore.
Forse, come le torce
sono prima accese e poi spente, così tu fai con me.
Venisti per accendermi, vai per venire. E io
sognerò nuovamente
quella speranza, ma per non morire.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Il corvo

    Era una cupa mezzanotte e mentre stanco meditavo

    Su bizzarri volumi di un sapere remoto,

    Mentre, il capo reclino, mi ero quasi assopito,

    D'improvviso udii bussare leggermente alla porta.

    "C'è qualcuno" mi dissi " che bussa alla mia porta

    Solo questo e nulla più. "

    Ah, ricordo chiaramente quel dicembre desolato,

    Dalle braci morenti scorgevo i fantasmi al suolo.

    Bramavo il giorno e invano domandavo ai miei libri

    Un sollievo al dolore per la perduta Lenore,

    La rara radiosa fanciulla che gli angeli chiamano Lenore

    E che nessuno, qui, chiamerà mai più.

    E al serico, triste, incerto fruscio delle purpuree tende

    Rabbrividivo, colmo di assurdi tenori inauditi,

    Ebbene ripetessi, per acquietare i battiti del cuore:

    "È qualcuno alla porta, che chiede di entrare,

    Qualcuno attardato, che mi chiede di entrare.

    Ecco: è questo e nulla più"

    Poi mi feci coraggio e senza più esitare

    "Signore, " dissi "o Signora, vi prego, perdonatemi,

    Ma ero un po' assopito ed il vostro lieve tocco,

    Il vostro così debole bussare mi ha fatto dubitare

    Di avervi veramente udito". Qui spalancai la porta:

    C'erano solo tenebre e nulla più. "

    Nelle tenebre a lungo, gli occhi fissi in profondo,

    Stupefatto, impaurito sognai sogni che mai

    Si era osato sognare: ma nessuno violò

    Quel silenzio e soltanto una voce, la mia,

    Bisbigliò la parola "Lenore" e un eco rispose:

    "Lenore". Solo quello e nulla più.

    Rientrai nella mia stanza, l'anima che bruciava.

    Ma ben presto, di nuovo, si udì battere fuori,

    E più forte di prima. "Certo" dissi "è qualcosa

    Proprio alla mia finestra: esplorerò il mistero,

    Renderò pace al cuore, esplorerò il mistero.

    Ma è solo il vento, nulla più. "

    Allora spalancai le imposte e sbattendo le ali

    Entrò un Corvo maestoso dei santi tempi antichi

    Che non fece un inchino, né si fermò un istante.

    E con aria di dame o di gran gentiluomo

    Si appollaiò su un busto di Palladie sulla porta

    Si posò, si sedette, e nulla più.

    Poi quell'uccello d'ebano, col suo austero decoro,

    Indusse ad un sorriso le mie fantasie meste,

    "Perché" dissi "rasata sia la tua cresta, un vile

    Non sei, orrido, antico Corvo venuto da notturne rive.

    Qual è il tuo nome nobile sulle plutonie rive? "

    Disse il Corvo: "Mai più".

    Ma quel corvo posato solitario sul placido busto,

    Come se tutta l'anima versasse in quelle parole,

    Altro non disse, immobile, senza agitare piuma,

    Finché non mormorai: "Altri amici di già sono volati via:

    Lui se ne andrà domani, volando con le mie speranze"

    Allora disse il Corvo: "Mai più".

    Trasalii al silenzio interrotto da un dire tanto esatto,

    "Parole" mi dissi "che sono la sua scorta sottratta

    A un padrone braccato dal Disastro, perseguitato

    Finché un solo ritornello non ebbe i suoi canti,

    Un ritornello cupo, i canti funebri della sua speranza:

    Mai, mai più".

    Rasserenando ancora il Corvo le mie fantasie,

    Sospinsi verso di lui, verso quel busto e la porta,

    Una poltrona dove affondai tra fantasie diverse,

    Pensando cosa mai l'infausto uccello del tempo antico.

    Cosa mai quel sinistro, infausto e torvo anomale antico

    Potesse voler dire gracchiando "Mai più".

    Sedevo in congetture senza dire parola

    All'uccello i cui occhi di fuoco mi ardevano in cuore;

    Cercavo di capire, chino il capo sul velluto

    Dei cuscini dove assidua la lampada occhieggiava,

    Sul viola del velluto dove la lampada luceva

    E che purtroppo Lei non premerà mai più.

    Parve più densa l'aria, profumata da un occulto

    Turibolo, oscillato da leggeri serafini

    Tintinnanti sul tappeto. "Infelice" esclamai "Dio ti manda

    Un nepente dagli angeli a lenire il ricordo di Lei,

    Dunque bevilo e dimentica la perduta tua Lenore! "

    Disse il Corvo "Mai più".

    "Profeta, figlio del male e tuttavia profeta, se uccello

    Tu sei o demonio, se il maligno" io dissi "ti manda

    O la tempesta, desolato ma indomito su una deserta landa

    Incantata, in questa casa inseguita dall'Onore,

    Io ti imploro, c'è un balsamo, dimmi, un balsamo in Galaad? "

    Disse il Corvo: "Mai più".

    "Profeta, figlio del male e tuttavia profeta, se uccello

    Tu sei o demonio, per il Cielo che si china su noi,

    Per il Dio che entrambi adoriamo, dì a quest'anima afflitta

    Se nell'Eden lontano riavrà quella santa fanciulla,

    La rara raggiante fanciulla che gli angeli chiamano Lenore".

    Disse il Corvo: "Mai più".

    "Siano queste parole d'addio" alzandomi gridai

    "uccello o creatura del male, ritorna alla tempesta,

    Alle plutonie rive e non lasciare una sola piuma in segno

    Della tua menzogna. Intatta lascia la mia solitudine,

    Togli il becco dal mio cuore e la tua figura dalla porta"

    Disse il Corvo: "Mai più".

    E quel Corvo senza un volo siede ancora, siede ancora

    Sul pallido busto di Pallade sulla mia porta.

    E sembrano i suoi occhi quelli di un diavolo sognante

    E la luce della lampada getta a terra la sua ombra.

    E l'anima mia dall'ombra che galleggia sul pavimento

    Non si solleverà "Mai più" mai più.
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      Scritta da: Edoardo Grimoldi
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Spleen

      Quando basso e pesante il cielo grava
      Come un coperchio al gemebondo spirito
      Preda di lunghe accidie, e a noi, abbracciando
      Tutto il cerchio dell'orizzonte, versa
      Un buio lume, più triste che notte;
      Quando la terra si trasforma in umido
      Carcere dove la Speranza, come
      Un pipistrello, se ne va sbattendo
      Contro i muri la sua timida ala,
      Urtando il capo a putridi soffitti;
      Quando la pioggia, stendendo le sue
      Immense strisce, imita le sbarre
      D'una vasta prigione, e un muto popolo
      Di ragni infami al fondo del cervello
      Viene a tenderci le sue reti, - a un tratto
      Campane erompono furiose e lanciano
      Verso il cielo uno spaventoso urlo,
      Come spiriti erranti e senza patria
      Che diano in gemiti, ostinatamente.
      E dei lunghi, funerei cortei
      Vanno sfilando nell'anima mia
      Senza tamburi né musica, lenti.
      È in lacrime, ormai vinta, la Speranza;
      L'atroce Angoscia mi pianta, dispotica,
      Sul cranio chino il suo vessillo nero.
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        in Poesie (Poesie d'Autore)

        Io non mi sento italiano

        L'Italia è una repubblica democratica fondata... sulla pasta!

        Io G. G. sono nato e vivo a Milano.
        Io non mi sento italiano
        ma per fortuna o purtroppo lo sono.

        Mi scusi Presidente
        non è per colpa mia
        ma questa nostra Patria
        non so che cosa sia.
        Può darsi che mi sbagli
        che sia una bella idea
        ma temo che diventi
        una brutta poesia.
        Mi scusi Presidente
        non sento un gran bisogno
        dell'inno nazionale
        di cui un po' mi vergogno.
        In quanto ai calciatori
        non voglio giudicare
        i nostri non lo sanno
        o hanno più pudore.

        Io non mi sento italiano
        ma per fortuna o purtroppo lo sono.

        Mi scusi Presidente
        se arrivo all'impudenza
        di dire che non sento
        alcuna appartenenza.
        E tranne Garibaldi
        e altri eroi gloriosi
        non vedo alcun motivo
        per essere orgogliosi.
        Mi scusi Presidente
        ma ho in mente il fanatismo
        delle camicie nere
        al tempo del fascismo.
        Da cui un bel giorno nacque
        questa democrazia
        che a farle i complimenti
        ci vuole fantasia.

        Io non mi sento italiano
        ma per fortuna o purtroppo lo sono.

        Questo bel Paese
        pieno di poesia
        ha tante pretese
        ma nel nostro mondo occidentale
        è la periferia.

        Mi scusi Presidente
        ma questo nostro Stato
        che voi rappresentate
        mi sembra un po' sfasciato.
        È anche troppo chiaro
        agli occhi della gente
        che tutto è calcolato
        e non funziona niente.
        Sarà che gli italiani
        per lunga tradizione
        son troppo appassionati
        di ogni discussione.
        Persino in parlamento
        c'è un'aria incandescente
        si scannano su tutto
        e poi non cambia niente.

        Io non mi sento italiano
        ma per fortuna o purtroppo lo sono.

        Mi scusi Presidente
        dovete convenire
        che i limiti che abbiamo
        ce li dobbiamo dire.
        Ma a parte il disfattismo
        noi siamo quel che siamo
        e abbiamo anche un passato
        che non dimentichiamo.
        Mi scusi Presidente
        ma forse noi italiani
        per gli altri siamo solo
        spaghetti e mandolini.
        Allora qui mi incazzo
        son fiero e me ne vanto
        gli sbatto sulla faccia
        cos'è il Rinascimento.

        Io non mi sento italiano
        ma per fortuna o purtroppo lo sono.

        Questo bel Paese
        forse è poco saggio
        ha le idee confuse
        ma se fossi nato in altri luoghi
        poteva andarmi peggio.

        Mi scusi Presidente
        ormai ne ho dette tante
        c'è un'altra osservazione
        che credo sia importante.
        Rispetto agli stranieri
        noi ci crediamo meno
        ma forse abbiam capito
        che il mondo è un teatrino.
        Mi scusi Presidente
        lo so che non gioite
        se il grido "Italia, Italia"
        c'è solo alle partite.
        Ma un po' per non morire
        o forse un po' per celia
        abbiam fatto l'Europa
        facciamo anche l'Italia.

        Io non mi sento italiano
        ma per fortuna o purtroppo lo sono.

        Io non mi sento italiano
        ma per fortuna o purtroppo
        per fortuna o purtroppo
        per fortuna
        per fortuna lo sono.
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          Scritta da: Gaetano Toffali
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Sognando la religione

          Signore
          non credo non credo
          eppure sono qui
          davanti inginocchiato
          Ah se sapessi
          mi piacciono le contraddizioni
          per poter restare me stesso
          Sono uno stupido
          non occorre che te lo dica
          il meno riuscito
          dei tuoi figli
          Sono brutto sono un fallito
          eppure non ho nulla da chiederti,
          non voglio miracoli per me,
          mi accontento che il sole
          mi dica buongiorno.
          Signore, non sono qui
          per fare la ruota come un pavone
          ma neanche per battermi il petto
          domandando perdono.
          Io sono solo un bambino
          che piange e arranca e fatica.
          Io muoio su una croce diversa
          mordendo i chiodi
          e spingendo i piedi
          verso il basso a sentire
          l'erba che cresce.
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            Scritta da: Andrea De Candia
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Del non leggere

            In libreria con l'opera di Proust
            non ti danno un telecomando,
            non puoi cambiare
            sulla partita di calcio
            o sul telequiz con in premio una Volvo.

            Viviamo più a lungo,
            ma con minor esattezza
            e con frasi più brevi.

            Viaggiamo più veloci, più spesso, più lontano
            e torniamo con foto invece di ricordi.
            Qui sono io con uno.
            Là, credo, è il mio ex.
            Qui sono tutti nudi,
            quindi di certo in spiaggia.

            Sette volumi - pietà.
            Non si potrebbe riassumerli, abbreviarli
            o meglio ancora mostrarli in immagini?
            Una volta hanno trasmesso un serial, La bambola,
            ma per mia cognata è di un altro che inizia con la P.

            E poi tra parentesi, chi mai era costui.
            Scriveva, dicono, a letto, per interi anni.
            Un foglio dopo l'altro,
            a velocità ridotta.
            Noi invece andiamo in quinta
            e - toccando ferro - stiamo bene.
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              Scritta da: Alessandro Rossini
              in Poesie (Poesie d'Autore)

              Le cose che fanno la domenica

              L'odore caldo del pane che si cuoce dentro il forno.
              Il canto del gallo nel pollaio.
              Il gorgheggio dei canarini alle finestre.
              L'urto dei secchi contro il pozzo e il cigolìo della puleggia.
              La biancheria distesa nel prato.
              Il sole sulle soglie.
              La tovaglia nuova nella tavola.
              Gli specchi nelle camere.
              I fiori nei bicchieri.
              Il girovago che fa piangere la sua armonica.
              Il grido dello spazzacamino.
              L'elemosina.
              La neve.
              Il canale gelato.
              Il suono delle campane.
              Le donne vestite di nero.
              Le comunicanti.
              Il suono bianco e nero del pianoforte.
              Le suore bianche bendate come ferite.
              I preti neri.
              I ricoverati grigi.
              L'azzurro del cielo sereno.
              Le passeggiate degli amanti.
              Le passeggiate dei malati.
              Lo stormire degli alberi.
              I gatti bianchi contro i vetri.
              Il prillare delle rosse ventarole.
              Lo sbattere delle finestre e delle porte.
              Le bucce d'oro degli aranci sul selciato.
              I bambini che giuocano nei viali al cerchio.
              Le fontane aperte nei giardini.
              Gli aquiloni librati sulle case.
              I soldati che fanno la manovra azzurra.
              I cavalli che scalpitano sulle pietre.
              Le fanciulle che vendono le viole.
              Il pavone che apre la ruota sopra la scalèa rossa.
              Le colombe che tubano sul tetto.
              I mandorli fioriti nel convento.
              Gli oleandri rosei nei vestibuli.
              Le tendine bianche che si muovono al vento.
              Composta domenica 18 ottobre 2015
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