Dalle valanghe d'oro del vecchio azzurro, il giorno Primevo e dalla neve immortale degli astri, Un tempo i grandi calici tu ritagliasti intorno, Per la terra ancor giovane, vergine di disastri,
Il gladiolo selvaggio, cigni dal collo fino, E quel divino lauro dell'anime esiliate Vermiglio come l'alluce puro del serafino Che colora un pudore d'aurore calpestate,
Il giacinto ed il mirto, adorato bagliore, E, - simile alla carne della donna, la rosa Crudele, del giardino chiaro Erodiade in fiore, Quella che uno splendente feroce sangue irrora!
Tu facesti il candore dei gigli singhiozzanti Che mari di sospiri sorvola dolcemente E per l'azzurro incenso dei pallidi orizzonti In sogno lento sale alla luna piangente!
Osanna sopra il sistro e dentro l'incensiere, Nostra Signora, osanna da questi nostri limbi! E si disperda l'eco nelle celesti sere, Estasi degli sguardi, scintillio dei nimbi!
O Madre, che creasti nel seno giusto e forte, Calici in sé cullanti una futura essenza, Grandi corolle con la balsamica Morte Per lo stanco poeta roso dall'esistenza.
Principessa! A invidiare d'un'Ebe la ventura Che ai labbri e al vostro bacio spunta sulla tazzina, Consumo gli occhi, ma la discreta figura Mia d'abate neppure starebbe sul piattino.
Poi ch'io non sono il tuo cagnolino barbuto, Né il dolce, né il rossetto, né giuochi birichini, E su di me il tuo sguardo chiuso io so caduto, Bionda cui acconciarono orefici divini!
Sceglieteci... tu cui le risa di lampone Si congiungono in gregge come agnellette buone Brucando in tutti i voti, belando paradisi;
Affinché Amore alato d'un ventaglio sottile Mi vi pinga col flauto mentre addormo l'ovile, Principessa, sceglieteci pastor dei tuoi sorrisi.
Intristiva la luna. Serafini in lacrime sognando, l'archetto alzato nella calma dei fiori vaporosi, rapivano da morbide viole bianchi singhiozzi, in un glissando sull'azzurro delle corolle. - Ed era quello il giorno benedetto del tuo primo bacio. Alla mia fantasia piacendo un martirio s'inebriava sapiente di quel profumo di tristezza che lascia anche senza disagio o rimpianto il cogliere un Sogno all'anima che l'ha colto. Dunque vagavo, l'occhio fitto al selciato consunto, quando col sole dentro i capelli, nella via, nella sera tu m'apparisti ridente e credetti vedere la fata dal cappello di luce che un tempo sui miei bei sonni di bimbo viziato passava, lasciando sempre dalle sue mani dischiuse fioccare bianchi mazzetti di stelle odorose.
Vede perfettamente onne salute chi la mia donna tra le donne vede; quelle che vanno con lei son tenute di bella grazia a Dio render merzede. E sua bieltate è di tanta vertute, che nulla invidia a l'altre ne procede, anzi le face andar seco vestute di gentilezza, d'amore e di fede. La vista sua fa onne cosa umile; e non fa sola sé parer piacente, ma ciascuna per lei riceve onore. Ed è ne li atti suoi tanto gentile, che nessun la si può recare a mente, che non sospiri in dolcezza d'amore.
Perché ti vedi giovinetta e bella, tanto che svegli ne la mente Amore, pres'hai orgoglio e durezza nel core. Orgogliosa sè fatta e per me dura, po' che d'ancider me, lasso, ti prove: credo che 'l facci per esser sicura se la vertù d'Amore a morte move. Ma perché preso più ch'altro mi trove, non hai respetto alcun del mì dolore. Possi tu spermentar lo suo valore.
Deh, Violetta, che in ombra d'Amore negli occhi miei sì subito apparisti, aggi pietà del cor che tu feristi, che spera in te e disiando more. Tu, Violetta, in forma più che umana, foco mettesti dentro in la mia mente col tuo piacer ch'io vidi; poi con atto di spirito cocente creasti speme, che in parte mi sana la dove tu mi ridi. Deh, non guardare perché a lei mi fidi, ma drizza li occhi al gran disio che m'arde, ché mille donne già per esser tarde sentiron pena de l'altrui dolore.
De gli occhi de la mia donna si move un lume sì gentil che, dove appare, si veggion cose ch'uom non po' ritrare per loro altezza e per lor esser nove: e dè suoi razzi sovra 'l meo cor piove tanta paura, che mi fa tremare e dicer: "Qui non voglio mai tornare"; ma poscia perdo tutte le mie prove: e tornomi colà dov'io son vinto, riconfortando gli occhi paurusi, che sentier prima questo gran valore. Quando son giunto, lasso!, ed è son chiusi; lo disio che li mena quivi è stinto: però proveggia a lo mio stato Amore.
Amore e 'l cor gentil sono una cosa, sì come il saggio in suo dittare pone, e così esser l'un sanza l'altro osa com'alma razional sanza ragione. Falli natura quand'è amorosa, Amor per sire e 'l cor per sua magione, dentro la qual dormendo si riposa talvolta poca e tal lunga stagione. Bieltate appare in saggia donna pui, che piace a li occhi sì, che dentro al core nasce un disio de la cosa piacente; e tanto dura talora in costui, che fa svegliar lo spirito d'Amore. E simil face in donna omo valente.