Poesie d'Autore


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)

Le rimembranze

E questa è l'ora! mormorar io sento
Co' miei sospiri in suon pietoso e basso
Tra fronda e fronda il solitario vento.
     E scorgo il caro nome; e veggo il sasso
Ove Laura s'assise, e scorro i prati
Ch'ella meco trascorse a passo a passo.
     Quest'è la pianta che le diè i beati
Fior ch'ella colse, e con le molli dita
Vaga si fe, ghirlanda ai crini aurati.
     E questo è il conscio speco, e la romita
Sponda cui mesto lambe un fonte e plora,
E i ben perduti a piangere m'invita
     Qui de’ più gai colori ornossi Flora,
Qui danzaro le Grazie, e qui ridente
A mirar la mia donna uscì l'Aurora. 15
     E qui la Luna cheta e risplendente
Guatocci, e rise; e irradïò quel ramo
Ove ha nido usignol dolce-gemente;
     E scosso l'augellin, mentre ch'io: " T'Amo "
A Laura replicava, uscir s'udia
Ne' suoi dolci gorgheggi: " Io t'amo io t'amo ".
     O sacra rimembranza, o della mia
Prima felicità tenera immago,
Cui Laura forse a consolarmi invia;
     Vieni: tu vedi solitario e vago
Il giovin vate, che piangendo porta
Ahi! d'affanni più gravi il cor presago.
     Già s'avanza la Sera, e la ritorta
Conca tien alla destra, e di rugiade
Le languid'erbe, e i fiori arsi conforta.
     E il Sol che all'Oeeàn fiammeo ricade,
Vario-tinge le nubi, e lascia il mondo
All'atra Notte che muta lo invade.
     E tutto è mesto: e dal cimmerio fondo
S'alzan con l'Ore negre e taciturne
Oscuritate e Silenzio profondo.
     Era l'istante che su squallide urne
Scapigliata la misera Eloisa
Invocava le afflitte ombre notturne;
     E su1 libro del duolo u' stava incisa
ETERNITADE E MORTE, a lamentarsi
Veniasi Young sul corpo di Narcisa:
     Ch'io smarrito in sembiante, e aperti ed arsi
I labbri, e incerto i detti, e gli occhi in pianto,
Coi crin sul fronte impallidito sparsi,
     Addio diceva a Laura, e Laura intanto
Fise in me avea le luci, ed agli addio
Ed ai singulti rispondea col pianto
     E mi stringea la man: - tutto fuggìo
Della notte l'orrore, e radïante
Io vidi in cielo a contemplarci Iddio,
     E petto unito a petto palpitante,
E sospiro a sospir, e riso a riso,
La bocca le baciai tutto tremante.
     E quanto io vidi allor sembrommi un riso
Dell'universo, e le candide porte
Disserrarsi vid'io del Paradiso....
     Deh! a che non venne, e l'invocai, la morte?
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Al sole

    Scritto e pubblicato nel 1797.

         Alfin tu splendi, o Sole, o del creato
    Anima e vita, immagine sublime
    Di Dio, che sparse la tua faccia immensa
    Di sua luce infinita! Ore e Stagioni,
    Tinte a vari color danzano belle
    Per l'aureo lume tuo misuratore
    De' secoli, e de' secoli scorrenti,
    Alfin tu splendi! tempestoso e freddo
    Copria nembo la terra; a gran volute
    Gravide nubi accavallate il cielo
    Empian di negre liete, e brontolando
    Per l'ampiezza dell'aere tremendi
    Rotolavano i tuoni, e lampi lampi
    Rompeano il bujo orribile. - Tacea
    Spaventata natura; il ruscelletto
    Timido e lamentevole fra l'erbe
    Volgeva il corso, nè stormian le frondi
    Per la foresta, nè dall'atre tane
    Sporgean le belve l'atterrita fronte. -
    Ulularono i venti, e ruinando
    Fra grandini, fra folgori, fra piove
    La bufera lanciosse, e riottoso
    Diffuse il fiume le gonfie e spumose
    Onde per le campagne, e svelti i tronchi
    Striderono volando, e da’ scommossi
    Ciglion dell'ondeggianti audaci rupi
    Piombàr torrenti, che spiccati massi
    Coll'acque strascinarono. Dal fondo
    D'una caverna i fremiti e la guerra
    Degli elementi udii; Morte su l'antro
    Mi s'affacciò gigante; ed io la vidi
    Ritta: crollò la testa e di natura
    L'esterminio additommi. - In ciel spiegasti,
    O Sol, tua fronte, e la procella orrenda
    Ti vide e si nascose, e i paurosi
    Irti fantasmi sparvero.... ma quanti
    Segni di lutto su i vedovi campi,
    Oimè, il nembo lasciò! Spogli di frutta,
    Aridi, e mesti sono i pria sì vaghi
    Alberi gravi, e le acerbette e colme
    Promettitrici di liquor giocondo
    Uve giacciono al suol; passa 1'armento
    E le calpesta; e istupidito e muto
    L'agricoltore le contempla e geme.

         Intanto scompigliata, irta e piangente
    Te, o Sol, ripriega la Natura, e il tuo
    Di pianto asciugator raggio saluta;
    E tu la accendi, e si rallegra e nuovi
    Prometto frutti e fior. Tutto si cangia,
    Tutto père quaggiù! Ma tu giammai,
    Eterna lampa, non ti cangi? mai?
    Pur verrà dì che nell'antiquo vòto
    Cadrai del nulla, allor che Dio suo sguardo
    Ritirerà da te: non più le nubi
    Corteggeranno a sera, i tuoi cadenti
    Raggi su l'Oceàno; e non più l'Alba
    Cinta di un raggio tuo, verrà su l'Orto
    Ad annunziar che sorgi. Intanto godi
    Di tua carriera: oimè! ch'io sol non godo
    De' miei giovani giorni: io sol rimiro
    Gloria e piacere, ma lugubri e muti
    Sono per me, che dolorosa ho l'alma.
    Sul mattin della vita io non mirai
    Pur anco il Sole; e omai son giunto a sera
    Affaticato; e sol la notte aspetto
    Che mi copra di tenebre e di morte
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)
      Quando la terra è d'ombre ricoverta,
      E soffia 'l vento, e in su le arene estreme
      L'onda va e vien che mormorando geme,
      E appar la luna tra le nubi incerta;

           Torno dove la spiaggia è più deserta
      Solingo a ragionar con la mia speme,
      E del mio cor che sanguinando geme
      Ad or ad or palpo la piaga aperta.

           Lasso! me stesso in me più non discerno,
      E languono i miei dì come viola
      Nascente ch'abbia tempestata il verno;

           Chè va lungi da me colei che sola
      Far potea sul mio labbro il riso eterno:
      Luce degli occhi miei, chi mi t'invola
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        In morte di Amaritte

        ELEGIA
         Qui sorge un'urna, e qui in funereo manto
        Erran le Grazie, e qui echeggiar s'ascolta
        Flebili versi, fioche voci, e pianto.
             E di cipressi sotto oscura volta
        Cupa Malinconia muta s'aggira
        Coi crin su gli occhi, e nel suo duol raccolta.
             Qui gemebondo a lagrimar si mira
        Vate canuto su la sorda pietra,
        E ora ammuta, ora geme, ed or sospira:
             Giace da un lato al suol mesta la cetra,
        Che con le dolci fila tremolando
        Manda intorno armonia confusa e tetra;
             E i primi affanni suoi più rammentando
        Al tetro suon Filomela risponde
        Suoi lai soavemente modulando.
             Al duol che il Vate misero diffonde
        Tutto sospira, tutto s'accompagna
        Tutto a piangere seco si confonde.
             Trista è così de' morti la campagna
        Allor che Young fra l'ombre de la notte
        Sul fato di Narcisa egro si lagna.
             E al suon di sue querele alte interrotte
        Silenzio, Oscurità s'alzan turbati
        Dal ferreo sonno di lor ampie grotte.
             Qui pur regna tristezza! E al colle, ai prati
        Agli alberi, alle fonti, ed agli augei
        Narra il buon Veglio d'Amaritte i fati.
             Anch'io, dolce Poeta, anch'io perdei
        Tenera, amica, onde confondo or mesto
        A' tuoi dirotti pianti i pianti miei.
             Erano gli occhi suoi caro e modesto
        Raggio di Luna, era il parlar gentile
        Giojoso cardellino appena desto.
             Ah! la Ninfa più amabile d'aprile
        Che inghirlanda di rose i crini a Flora
        Tanto non era a sua beltà simìle.
             Ma come il Sol de la vezzosa Aurora
        Le chiome arde e le vesti, e co' suoi dardi
        Spegne i fioretti, e di Favonio l'òra;
             Così Morte accigliata i dolci sguardi
        Della tenera amica d'improvviso
        Chiuse, ché i voti miei furono tardi.
             Pallido e smorto io vidi il vago viso,
        Udii gli estremi accenti, e l'fiato estremo
        Esalare fra un languido sorriso.
             È un anno intanto che coi pianti io spremo
        Dell'affannato cor l'immensa doglia,
        Che sol trovo conforto allor ch'io gemo.
             Cinta di bianca radïante spoglia
        Scende talora la pietosa amante
        A consolarmi da l'empirea soglia.
             E poco fa Ella apparve a me dinnante
        A mano d'Amaritte, a cui conforme
        Fu l'età, fu il costume, e fu l'sembiante.
             A le fiorite placide lor orme
        Io le conobbi, ed al sereno riso,
        E le conobbi a le beato forme,
             Sparpagliavano gigli, e dolce, e fiso
        Aveano in me quel raggio, che d'intorno
        Il piacer diffondea del Paradiso.
             Poscia su rosea nube a lor soggiorno
        Corteggiato dai Spiriti innocenti
        Balenando beltà facean ritorno.
             Ma tu, dolce Poeta, a' tuoi lamenti
        Pon modo alfine, e fa' che un lieto canto
        S'unisca ai loro angelici concenti.
             Or che siedi su l'urna, e un serto intanto
        Di cipresso lor tessi, Elle dal Cielo
        Ti guardan coronato d'amaranto.
             Oh! se avvolta talora in niveo volo
        La gentil Coppia a raddolcir discendo
        La piaga che a te fe' di morte il telo;
             Deh! tu ravvisa alle Virginee bende
        Al crin biondo alle cerule pupille
        La mia Angioletta, e sospirando dille:
             Odi che il tuo Fedel piange e t'attende.
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie d'Autore)
          Del Paradiso le beltà vedrai,
          Le disse; e tutta a un tratto si cosperse
          L'etra di gioja, di candor, di rai.
               Ma tosto d'atro orror si ricoverse,
          Brontolàr tuoni, serpeggiaro lampi
          Quando a morte e a terror la bocca aperse,
               E pinse come per i negri campi
          Nelle tempeste l'alto Dio passeggia,
          E qual di fiamme e di bufere avvampi
               Piena d'aspri lion l'empirea reggia,
          E qual su nubi negro e sanguinose
          Con igneo brando la Giustizia seggia.
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