Offre scampo ai tiranni, e il bel Sebeto Irriga mansueto Le al Vesuvio soggette auree campagne E ricche aduna a usurpator le messi; Abbevera il Ticino Ungari armenti, e l'ospitali arene Non saluta il Panaro in suo cammino; T'ode gridar oltre le sue montagne La subalpina donna e l'elmo allaccia E s'alza e terge i rai nel duol dimessi, Ma le gravano il piè sardo catene, Onde ricade e copresi la faccia; E le a te care un giorno Città nettunie, or fatte Son di mille Dionisj empio soggiorno: Liguria avara contro sè combatte; E l'inerme leon prostrato avventa Nè suoi le zampe e la coda dibatte E gli ammolliti abitator spaventa.
Passeggian truci, e 'l diadema e il manto Dè boreali Vandali ai nepoti Vestendo, al scettro sposano la croce; Onde il Tevere e l'Arno a te devoti, Libertà santa dea, cercan la foce Sdegnosamente in suon quasi di pianto; E la turrita Manto.
Vendendo il cielo, ai popoli rapite; Sgabello al seggio fanno e fondamento Cataste di frementi Capi co gli occhi ne le trecce involti, E tepidi cadaveri innocenti, Cui sospiran nel fianco alte ferite Pel fulminar di pontificio labbro; E misti in pianto e in sangue, atro cemento, Calcati busti e cranj dissepolti Fanvi; e lo Inganno di tal soglio è fabbro: Quindi, al Solopossente La folgore strappata, Eran d'Orto terrore e d'Occidente, E si pascean di regni e di peccata. Non più: - Dio disse: e lor possa disparve; Pur ne l'Ausonia ancor egra e acciecata Passeggian truci le adorate larve.
E depor le corone in Campidoglio, E i re in trionfo tributari e schiavi Roma già vide, e rovesciati i troni: Re-sacerdoti or con mentite chiavi Di oro ingordi e di sangue, altri Neroni, Grandeggiar mira in usurpato soglio: Siede a destra l'Orgoglio Cinto di stola, e ferri e nappi accoglie Sotto le ricche spoglie,.
Di mille e mille che vittoria, o morte Da l'italiche porte Giuran brandendo la terribil asta; E guerrier veggo di fiorente alloro Cinto le bionde chiome Su cui purpuree tremolando vanno Candide azzurre piume; egli al tuo nome Suo brando snuda e abbatte, arde, devasta; Senno dè suoi corsier governa il morso, Ardir li 'ncalza, e dè marziali il coro Genj lo irraggia, e dietro lui si stanno In aer librate con perpetuo corso Sorte, Vittoria, e Fama. Or che fia dunque, o diva? Onde tal'ira? E qual fato te chiama A trar tant'armi da straniera riva Su questa un dì reina, or nuda e schiava Italia, ahi! Solo al vituperio viva, Al vituperio che piangendo lava!
Ma tu de l'alpi da l'aërie cime, Al rintronar di trombe e di timballi, Ausonia guati e giù piombi col volo Anelanti ti sieguono i cavalli Che Palla sferza, e sul latino suolo Marte furente orme di foco imprime: Odo canto sublime.
Coronati di gel gli elvezj monti; Or che del vero illuminar l'aspetto Non è delitto, or io te, diva, invoco: Scendi, e la lingua e il petto Mi snoda e 'infiamma di tuo santo foco.
Ombre dè Bruti, ai secoli mostrando Alteramente il brando Del padre tinto e dei figliuol nel sangue; Te, o Libertà, se per le gelid'onde Del Danubio e del Reno Gisti fra genti indomite guerriere; Te se raccolse nel sanguineo seno Brittannia, e t'ascondea mortifer angue; Te se al furor di mercenarie spade De l'Oceàno da le ignote sponde T'invitàr meste, e del tuo nome altero Le americane libere contrade; O le batave fonti, O ti furo ricetto.
Dove tu, diva, da l'antica e forte Dominatrice libera del mondo Felice a l'ombra di tue sacre penne, Dove fuggivi, quando ferreo pondo Di dittatoria tirannia le tenne Umìl la testa fra servaggio e morte? Te seguìr le risorte