Poiché l'alba si accende, ed ecco l'aurora, poiché, dopo avermi a lungo fuggito, la speranza consente a ritornare a me che la chiamo e l'imploro, poiché questa felicità consente ad esser mia,
facciamola finita coi pensieri funesti, basta con i cattivi sogni, ah! Soprattutto basta con l'ironia e le labbra strette e parole in cui uno spirito senz'anima trionfava.
E basta con quei pugni serrati e la collera per i malvagi e gli sciocchi che s'incontrano; basta con l'abominevole rancore! Basta con l'oblìo ricercato in esecrate bevande!
Perché io voglio, ora che un Essere di luce nella mia notte fonda ha portato il chiarore di un amore immortale che è anche il primo per la grazia, il sorriso e la bontà,
io voglio, da voi guidato, begli occhi dalle dolci fiamme, da voi condotto, o mano nella quale tremerà la mia, camminare diritto, sia per sentieri di muschio sia che ciottoli e pietre ingombrino il cammino;
sì, voglio incedere dritto e calmo nella Vita verso la meta a cui mi spingerà il destino, senza violenza, né rimorsi, né invidia: sarà questo il felice dovere in gaie lotte.
E poiché, per cullare le lentezze della via, canterò arie ingenue, io mi dico che lei certo mi ascolterà senza fastidio; e non chiedo, davvero, altro Paradiso.
Ito, aure dolci, a Cloe Che le delizie or godo Dei boschi, e i lai lion ode D'un tenero amatori La troverete al margo Forse d'un rio cannoso, O al rozzo d'odoroso Arbore in grembo ai fior. Ite, aure dolci, a Cloe, E con scherzosi giri Recate i miei sospiri, Le rammentate amor. Una vezzeggi il crine, L'altra, ogni incenso accolto, Lambisca il roseo volto, Soave scenda al cor. Torna, gentil donzella, Con flebil suon le dica, Torna, vezzosa amica, Al tuo poeta in sen. Le grazïose aurette Passano ad una ad una, E mi prometto ognuna Chieder pietà al mio ben. Chinano il capo i gigli, Scuoton le frondi i rami, Sembrano dirmi: Ed ami Con tanta fedeltà? Se son pietosi i fiori, So son pietosi i venti, A' pianti ed a' lamenti, Non avrà Cloe pietà?
Partita è Cloe: ah! volino Le Grazie a lei d'intorno, E lieta l'accompagnino Al rustico soggiorno. Or forse è giunta, e tacita Trascorre il campo aprico: Deh! fra soavi palpiti Rammenti il fido amico. Ruscel che scorri limpido, Se ascolti il nome mio, Più dolcemente mormora, Dille che l'amo anch'io. Auretta solitaria, Se intorno a lei t'aggiri, Con flebil suono annunziale I mesti miei sospiri. Vispi augellini teneri, Ito dov'ella siede, E con gorgheggio querulo Le rammentato fede. Voi pure amate, e il giubilo È a voi compagno: io solo Amo, ma spargo lagrime, Amo, ma in mezzo al duolo. Pur mi son dolci i gemiti Per questo amor pudico; Ah! fra soavi palpiti Rammenti il fido amico.
Pomo ch'io colsi, e Cloe, Da un arbuscel gentile, Che a quei dei verde aprile Non può invidiare i fior, Pomo ch'effigia e mostra Del volto tuo la rosa, Ti dona, o Cloe vezzosa, Con la mia mano il cor. Mel chiese or or con Clori La bruna Nice e Irene; Ma il pomo sol conviene, Mia bionda amica, a te. Così fra Tirai e Dafni Da te ottenessi io fede... Ma tu ti sdegni; ahi chiede Un cuor quel che ti diè.
Cogliete, o pastorelli, Cogliete vaghi fiori, Chè deggio per gli albori A Fille un serto far. Farlo vorrei sol io, Ma nol permetto l'ora, Chè in Cielo già l'Aurora Comincia rosseggiar. E le dirò che il serto Tessuto è di mia mano. Ma che? Così profano Il labbro mio sarà? Mai menzogner non fui, E s'anche il fossi, ah! Fille Fra mille fiori e mille i miei distinguerà.
Febbre le vene accende, O Cloe, del tuo poeta, E tu frattanto lieta Passi cantando i dì. Serbi così l'affetto Che tu giurasti a lui, I fidi merti sui Compensi, o Cloe, così? Misero giovanetto, Che ad un'ingrata credi, Cessa d'amar; non vedi Ch'ella t'inganna ognor? Cruda!... Ma dir vorresti: Nol seppi, il giuro ai Dei: Taci, spergiura sei, Chè te lo disse Amor.
Io non invidio ai vati Le lodi e i sacri allori, Nè curo i pregi e gli ori D'un duce o d'un sovran. Saran miei dì beati Se avrò il mio crine cinto Di serto vario-pinto Tessuto di tua man. Saran miei dì beati Se in mezzo a bosco ombroso Il volto tuo vezzoso Godrommi a contemplar. Che bel vederci allora Mille cambiar sembianti, E direi: O cori amanti, Cessate il palpitar!
Scrivo che tu sei bella, Scrivo che tutto è accolto Sul grazïoso volto De' vezzi il roseo stuol. Scrivo che i tuoi dolci occhi Vibran soave foco, Scrivo.... Ma questo è poco Per sì gentil beltà. Chi mai potria le grazie Spiegar di quei colori, Ove si stan gli Amori Come sul loro altar? Dir altro io mai non seppi So non che tanto sei Vezzosa agli occhi miei Ch'altra non sanno amar.
Quello a me sembra pari a un dio, quello, se è lecito dirlo, superiore agli dèi, che, seduto di fronte a te a te, senza interruzione ti guarda e t'ascolta mentre sorridi dolcemente,e ciò sottrae a me infelice ogni sensazione: perché non appena, Lesbia, ti guardo, non mi restano più parole; ma la lingua s'intorpidisce, una fiamma sottile s'insinua nelle mie membra, di un suono interno mi ronzano le orecchie, una duplice notte sui miei occhi si stende. L'ozio, Catullo, è per te dannoso: per l'ozio ti esalti e sei troppo eccitato; l'ozio ha mandato in rovina un tempo re e città fiorenti.
L'anima verso la tua fronte, o calma sorella, dove sogna un autunno sparso di macchie di porpora e verso il cielo errabondo delle tue iridi angeliche, sale, come in un malinconico giardino, fedele un bianco zampillo sospira verso l'Azzurro! - Verso l'Azzurro raddolcito d'Ottobre pallido e puro che specchia il suo languore infinito ai grandi bacini e lascia, sull'acqua morta dov'erra col vento la fulva agonia delle foglie scavando un gelido solco, trascinarsi il sole giallo con obliquo raggio.