Senso di vita è godere, è ipocrita chi vuol far morali su tutto quel che può dare piacere. Viviamo di piccole cose e d'amore, se danno emozioni, poi siam pronti a buttarci in torbidi amplessi, ricercando piaceri mai avuti. E basta coi santi falsi e invidiosi anche loro invischiati in storie assai strane. Giudicare perciò è assai ingiusto, forse è invidia a non poterci provare, non avere coraggio, perché il senso di vita è osare.
Siamo artisti del niente, siamo il clou del banale, osannati da gente compiacente e ruffiana che adora l'inutile in noi. Siamo artisti di carta, con la faccia di gomma e le fruste non solcano il viso, non lascian ferite fanno solo un rimbalso e ritorna normale. Siamo artisti di sale che durano il tempo del sole, poi la pioggia battente discioglie i piccoli grani e alla fine tra polvere e pioggia non rimane che fango.
Da tanto sognavo quegli occhi e le mani e tutto quello che mi era proibito. Sempre in conflitto coscienza e passione curiosità di provare anche questa emozione. Ma niente mi frena; ora tutto il mio corpo la pelle protesi dinanzi al mio amore, a lungo desiderato, pronta e vogliosa di baci e carezze da tempo sognati... una frase vigliacca mi spegne gli ardori: ho bisogno di tempo, sai ho moglie e famiglia, non posso... ci devo pensare. Ma come dopo avermi circuito e fatto capire che tanto volevi, svegliate passioni e sensi assopiti... Come scema la voglia che spoglia e riveste la mia dignità, il mio orgoglio calpestato per te... che vigliacco!
Sono fiamma davanti ai tuoi occhi, che tremula cambia colore al tuo solo respiro. Poi consunta da baci e carezze mi sciolgo... e fiamma si spenge appagata.
Seppellitemi là dove onda si frange, polvere voglio essere, tra sabbia bianca confusa tra ricordi di conchiglie. Spargetemi al vento, oltre le nuvole sull'ali dei gabbiani, fatemi volar lontano, dove non ho mai visto terra. Non piantatemi croce, voglio una croce nel cuore di quelli che ho amato e ricordi di dolcezza donata. Soffiate le mie ceneri tra le onde voglio che mi cullino come quando ero bambina, tra spuma bianca che increspa l'acqua. Voglio raggiunger lidi mai visti. Ogni pulviscolo si spargerà nel mondo. Voglio morir così.
Al vento affido i miei desideri, ovunque si posano senza fare rumore, come foglie han cambiato colore e a volte brillano al sole. Poi terra li accoglie, li trasforma, diventano polvere in una sola stagione.
Arrivi co fatica in su la cima e poi t'accorgi che hai sbajato strada, la stella che seguivi più non era eppure da lontano te sembrava ormai la vista è bella che annebbiata, quanne le cose che nun hai visto prima. Mo sei arrivato e nun poi più scenne che nun ce la fai, è troppo tardi ormai, nun te mette in testa de ricomincià, quer che è fatto è fatto, te devi da stà.
Mo ve racconto na storia, storia vera che m'hanno raoontato quanno ch'ero bambina: Maria cor peso de li nove mesi, se trascinava sopra quer ciuchello, stanca, affamata pronta a partorire. Giuseppe suo sposo, preoccupato della moje, che ner frattempo avea anco le doje, cercava, camminando na casetta dove potesse ricoverà. Trovò na stalletta. Marì, je disse si pe te va bene, quà noi ce fermamo, anco perché, stanca comme sei, er bimbo preme, te devi partorì. Maria annuì e scese dar ciuchello. Doppo un po' nella Santa Stalluccia nacque er Bambinello. Bello era bello e pieno de salute " grazie A Dio" Un bue e n'asinello che staveno lì a magnà er fieno, cor loro fiato scardarono er Bambino. Era proprio carino e tutti li pastori passarono de là a rimirarlo, co pecorelle, capre e gallinelle. Era nato il re dei re, ma nessuno ar monno lo sapeva ancora. Na stella, proprio in mezzo ar cielo co na coda lunga e assai lucente, guidò Melchiorre, Gaspare e Baldassarre presso quer bimbo santo, era proprio un incanto e j occhi je brillaveno d'amore, tutto s'apriva er core, guardanno sto fagotto appena nato. La storia quì sarebbe ormai finita, e così vissero in gran felicità.
Invece er seguito ve vojo raccontà, perché pe quello che poi ho saputo, e che non ci ho capito è perché quer Bimbo che pe noi era nato pe sarvà tutta l'umanità sti stronzi l'hanno processato, condannato e flagellato crocifisso sopra quella croce... Bello era bello ma tutto martoriato. Maria co l'artre donne, straziate dar dolore avvorto l'hanno in un bianco lenzuolo e sepolto dietro a un grosso masso. Passarno i giorni, er sepolcro era voto, e nella roccia era rimasto un foro. È risorto, l'avemo visto, gridarno in coro, er padre l'è venuto a chiamà portandolo con lui su per il cielo. È da là che continua con grande pietà a perdonà benevolo le cattiverie dell'umanità.
Pazzia ben celata, normalità ostentata, vita irreprensibile di una mente labile. Come intervenire? Suoni soffocati terrore dentro gli occhi, paura della sera. La vita si fa nera non s'ode la paura e forza più non hanno. Confusi i sentimenti bambini o adolescenti, tra continui tormenti. Dove altri trovano tranquillità e protezione c'è morte... nell'anima distruzione. Parlano con gli occhi di chi vuol capire, la voce non la senti chiedono aiuto, come intervenire?
Pensavo esser roccia, dura, impenetrabile, che sta a guardare, fredda e impassibile, lo scorrer del tempo. E pioggia, gelo e tempesta Passano e non mi sfiorano, neanche semi portati dal vento su me si posano, scivolano via senza attecchire. Ma dopo un freddo inverno, il sole tornato nel cielo, fa scioglier la neve, e goccia fa solchi profondi e terra si posa e riempie gli anfratti, che dan vita a nuovi germogli. Col tompo anche roccia si cambia, e smussa i suoi spigoli duri, e le rughe profonde, esperienze e dolori, ridanno dolcezza al mio viso.