Mamma. Nessuna parola è più bella. La prima che si impara, la prima che si capisce e che s'ama. La prima di una lunga serie di parole con cui s'è risposto alle infinite, alle amorose, timorose domande della maternità. E anche se diventassimo vecchi, come chiameremmo la mamma più vecchia di noi? Mamma. Non c'è un altro nome.
Madre che ho fatto soffrire (cantava un merlo alla finestra, il giorno abbassava, sì acuta era la pena che morte a entrambi io m'invocavo) madre ieri in tomba obliata, oggi rinata presenza, che dal fondo dilaga quasi vena d'acqua, cui dura forza reprimeva, e una mano le toglie abile o incauta l'impedimento; presaga gioia io sento il tuo ritorno, madre mia che ho fatto, come un buon figlio amoroso, soffrire. Pacificata in me ripeti antichi moniti vani. E il tuo soggiorno un verde giardino io penso, ove con te riprendere può a conversare l'anima fanciulla, inebriarsi del tuo mesto viso sì che l'ali vi perda come al lume una farfalla. È un sogno, un mesto sogno; ed io lo so. Ma giungere vorrei dove sei giunta, entrare dove tu sei entrata ho tanta gioia e tanta stanchezza! farmi, o madre, come una macchia dalla terra nata, che in sé la terra riassorbe ed annulla.
Mamma, c'è un tedio oggi, una sottile malinconia, che dalle cose in ogni vita s'insinua, e fa umili i sogni dell'uomo che il suo mondo ha nel cuore. Mamma, ritornerà oggi all'amore tuo, che un dì l'ebbe a vile? Chi è solo con il suo solo dolore?
Mamma, il tempo che fugge t'ansia; e l'ansia che impera nel tuo cuore c'è, forse anche nel mio; c'è, pur latente, il male che ti strugge; son le tue cure in me domenicali malinconie. Lente lente ora sfollano le vie nella sera di festa e verdi e rossi accendono fanali le osterie di campagna. È una strana sera, mamma, una che certo affanna i cuori come il tuo soli ed amanti, sugli ultimi mari i naviganti, dentro l'orride celle i prigionieri. Canterellando scendono i sentieri del borgo i cittadini, torna dolce al fanciullo la sua casa; ed il mistero ond'è la vita invasa tu con preghiere esprimi.
Mamma, il tempo che fugge cure con cure alterna; ma in chi sugge il latte e in chi denuda la mammella c'è un sangue solo per la vita bella.
Con i tuoi occhi di russa, con i tuoi occhi di senza quattrini, con i tuoi occhi di falsa porcellana con i tuoi occhi di India affamata con i tuoi occhi di aborto, con i tuoi occhi di trauma con i tuoi occhi di lobotomia. Con i tuoi occhi. Soli.
La mamma non è più giovane e ha già molti capelli grigi: ma la sua voce è squillante di ragazzetta e tutto in lei è chiaro ed energico: il passo, il movimento, lo sguardo, la parola.
Da dove sono venuto? Dove mi hai trovato? Domandò il bambino a sua madre. Ed ella pianse e rise allo stesso tempo e stringendolo al petto gli rispose: tu eri nascosto nel mio cuore, bambino mio, tu eri il suo desiderio.
Tu eri nelle bambole della mia infanzia, in tutte le mie speranze, in tutti i miei amori, nella mia vita, nella vita di mia madre, tu hai vissuto.
Lo Spirito immortale che presiede nella nostra casa ti ha cullato nel Suo seno in ogni tempo, e mentre contemplo il tuo viso, l'onda del mistero mi sommerge perché tu che appartieni a tutti, tu mi sei stato donato.
E per paura che tu fugga via ti tengo stretto nel mio cuore. Quale magia ha dunque affidato il tesoro del mondo nelle mie esili braccia?
Il sonno che scende sugli occhi di un bimbo, sa, qualcuno, di dove venga? Sì, dal villaggio delle fate, all'ombra di foreste illuminate dal chiarore delle lucciole... Da lì viene a baciare gli occhi del mio bambino.