Poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

Sera di Gavinana

Ecco la sera e spiove
sul toscano Appennino.

Con lo scender che fa le nubi a valle,
prese a lembi qua e là
come ragne fra gli alberi intricate,
si colorano i monti di viola.
Dolce vagare allora
per chi s'affanna il giorno
ed in se stesso, incredulo, si torce.
Viene dai borghi, qui sotto, in faccende,
un vociar lieto e folto in cui si sente
il giorno che declina
e il riposo imminente.
Vi si mischia il pulsare, il batter secco
ed alto del camion sullo stradone
bianco che varca i monti.
E tutto quanto a sera,
grilli, campane, fonti,
fa concerto e preghiera,
trema nell'aria sgombra.
Ma come più rifulge,
nell'ora che non ha un'altra luce,
il manto dei tuoi fianchi ampi, Appennino.
Sui tuoi prati che salgono a gironi,
questo liquido verde, che rispunta
fra gl'inganni del sole ad ogni acquata,
al vento trascolora, e mi rapisce,
per l'inquieto cammino,
sì che teneramente fa star muta
l'anima vagabonda.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Alla morte

    Morire sì,
    non essere aggrediti dalla morte.
    Morire persuasi
    che un siffatto viaggio sia il migliore.
    E in quell'ultimo istante essere allegri
    come quando si contano i minuti
    dell'orologio della stazione
    e ognuno vale un secolo.
    Poi che la morte è la sposa fedele
    che subentra all'amante traditrice,
    non vogliamo riceverla da intrusa,
    né fuggire con lei.
    Troppo volte partimmo
    senza commiato!
    Sul punto di varcare
    in un attimo il tempo,
    quando pur la memoria
    di noi s'involerà,
    lasciaci, o Morte, dire al mondo addio,
    concedici ancora un indugio.
    L'immane passo non sia
    precipitoso.
    Al pensier della morte repentina
    il sangue mi si gela.
    Morte non mi ghermire
    ma da lontano annunciati
    e da amica mi prendi
    come l'estrema delle mie abitudini.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Autunno

      Autunno. Già lo sentimmo venire
      nel vento d'agosto,
      nelle pioggie di settembre
      torrenziali e piangenti
      e un brivido percorse la terra
      che ora, nuda e triste,
      accoglie un sole smarrito.
      Ora passa e declina,
      in quest'autunno che incede
      con lentezza indicibile,
      il miglior tempo della nostra vita
      e lungamente ci dice addio.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Viaggio a Montevideo

        Io vidi dal ponte della nave
        I colli di Spagna
        Svanire, nel verde
        Dentro il crepuscolo d'oro la bruna terra celando
        Come una melodia:
        D'ignota scena fanciulla sola
        Come una melodia
        Blu, su la riva dei colli ancora tremare una viola...
        Illanguidiva la sera celeste sul mare:
        Pure i dorati silenzii ad ora ad ora dell'ale
        Varcaron lentamente in un azzurreggiare:...
        Lontani tinti dei varii colori
        Dai più lontani silenzii
        Ne la ceste sera varcaron gli uccelli d'oro: la nave
        Già cieca varcando battendo la tenebra
        Coi nostri naufraghi cuori
        Battendo la tenebra l'ale celeste sul mare.
        Ma un giorno
        Salirono sopra la nave le gravi matrone di Spagna
        Da gli occhi torbidi e angelici
        Dai seni gravidi di vertigine. Quando
        In una baia profonda di un'isola equatoriale
        In una baia tranquilla e profonda assai più del cielo notturno
        Noi vedemmo sorgere nella luce incantata
        Una bianca città addormentata
        Ai piedi dei picchi altissimi dei vulcani spenti
        Nel soffio torbido dell'equatore: finché
        Dopo molte grida e molte ombre di un paese ignoto,
        Dopo molto cigolìo di catene e molto acceso fervore
        Noi lasciammo la città equatoriale
        Verso l'inquieto mare notturno.
        Andavamo andavamo, per giorni e per giorni: le navi
        gravi di vele molli di caldi soffi incontro passavano lente:
        Sì presso di sul cassero a noi ne appariva bronzina
        Una fanciulla della razza nuova,
        Occhi lucenti e le vesti al vento! Ed ecco: selvaggia a la fine di un giorno che apparve
        La riva selvaggia là giù sopra la sconfinata marina:
        E vidi come cavalle
        Vertiginose che si scioglievano le dune
        Verso la prateria senza fine
        Deserta senza le case umane
        E noi volgemmo fuggendo le dune che apparve
        Su un mare giallo de la portentosa dovizia del fiume,
        Del continente nuovo la capitale marina.
        Limpido fresco ed elettrico era il lume
        Della sera e là le alte case parevan deserte
        Laggiù sul mar del pirata
        De la città abbandonata
        Tra il mare giallo e le dune...
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          Ottobre

          Un tempo, era d'estate,
          era a quel fuoco, a quegli ardori,
          che si destava la mia fantasia.
          Inclino adesso all'autunno
          dal colore che inebria,
          amo la stanca stagione
          che ha già vendemmiato.
          Niente più mi somiglia,
          nulla più mi consola,
          di quest'aria che odora
          di mosto e di vino,
          di questo vecchio sole ottobrino
          che splende sulla vigne saccheggiate.

          Sole d'autunno inatteso,
          che splendi come in un di là,
          con tenera perdizione
          e vagabonda felicità,
          tu ci trovi fiaccati,
          vòlti al peggio e la morte nell'anima.
          Ecco perché ci piaci,
          vago sole superstite
          che non sai dirci addio,
          tornando ogni mattina
          come un nuovo miracolo,
          tanto più bello quanto più t'inoltri
          e sei lì per spirare.
          E di queste incredibili giornate
          vai componendo la tua stagione
          ch'è tutta una dolcissima agonia.
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            Passato

            I ricordi, queste ombre troppo lunghe
            del nostro breve corpo,
            questo strascico di morte
            che noi lasciamo vivendo
            i lugubri e durevoli ricordi,
            eccoli già apparire:
            melanconici e muti
            fantasmi agitati da un vento funebre.
            E tu non sei più che un ricordo.
            Sei trapassata nella mia memoria.
            Ora sì, posso dire che
            che m'appartieni
            e qualche cosa fra di noi è accaduto
            irrevocabilmente.
            Tutto finì, così rapito!
            Precipitoso e lieve
            il tempo ci raggiunse.
            Di fuggevoli istanti ordì una storia
            ben chiusa e triste.
            Dovevamo saperlo che l'amore
            brucia la vita e fa volare il tempo.
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              Adolescente

              Su te, vergine adolescente,
              sta come un'ombra sacra.
              Nulla è più misterioso
              e adorabile e proprio
              della tua carne spogliata.
              Ma ti recludi nell'attenta veste
              e abiti lontano
              con la tua grazia
              dove non sai chi ti raggiungerà.
              Certo non io. Se ti veggo passare
              a tanta regale distanza,
              con la chioma sciolta
              e tutta la persona astata,
              la vertigine mi si porta via.
              Sei l'imporosa e liscia creatura
              cui preme nel suo respiro
              l'oscuro gaudio della carne che appena
              sopporta la sua pienezza.
              Nel sangue, che ha diffusioni
              di fiamma sulla tua faccia,
              il cosmo fa le sue risa
              come nell'occhio nero della rondine.
              La tua pupilla è bruciata
              dal sole che dentro vi sta.
              La tua bocca è serrata.
              Non sanno le mani tue bianche
              il sudore umiliante dei contatti.
              E penso come il tuo corpo
              difficoltoso e vago
              fa disperare l'amore
              nel cuor dell'uomo!

              Pure qualcuno ti disfiorerà,
              bocca di sorgiva.
              Qualcuno che non lo saprà,
              un pescatore di spugne,
              avrà questa perla rara.
              Gli sarà grazia e fortuna
              il non averti cercata
              e non sapere chi sei
              e non poterti godere
              con la sottile coscienza
              che offende il geloso Iddio.
              Oh sì, l'animale sarà
              abbastanza ignaro
              per non morire prima di toccarti.
              E tutto è così.
              Tu anche non sai chi sei.
              E prendere ti lascerai,
              ma per vedere come il gioco è fatto,
              per ridere un poco insieme.
              Come fiamma si perde nella luce,
              al tocco della realtà
              i misteri che tu prometti
              si disciolgono in nulla.
              Inconsumata passerà
              tanta gioia!
              Tu ti darai, tu ti perderai,
              per il capriccio che non indovina
              mai, col primo che ti piacerà.
              Ama il tempo lo scherzo
              che lo seconda,
              non il cauto volere che indugia.
              Così la fanciullezza
              fa ruzzolare il mondo
              e il saggio non è che un fanciullo
              che si duole di essere cresciuto.
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                Non era notte, non era giorno

                Non era giorno,
                non era notte,
                erano "attimi" dove
                l'infinito era
                pieno di sentimento,
                dove l'amore
                stava riempiendo il nulla.

                Era l'attimo
                d'incontro tra comete,
                tra vite gemelle, ma lontane,
                vicine ma staccate.

                Era un giorno
                senza minuti,
                senza cielo,
                senza un avvenire
                da sognare,
                senza un passato
                da ricordare.

                Era un "istante",
                che mai penserà
                che esista un prossimo.

                Era una nascita,
                era una vita
                di luce al cielo.

                Era il "momento",
                non un momento.

                Non era notte,
                non era giorno.

                Era un attimo
                che non si fermava,
                un attimo, che viveva
                più della sua vita d'istante.

                Non voleva morire.

                Non era notte,
                non era giorno,
                era l'attimo di
                un amore eterno.
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                  Scritta da: Silvana Stremiz
                  Non sono nulla, non posso nulla,
                  non perseguo nulla.
                  Illuso, porto il mio essere con me.
                  Non so di comprendere,
                  né so se devo essere,
                  niente essendo, ciò che sarò.
                  A parte ciò, che è niente, un vacuo vento
                  del sud, sotto il vasto azzurro cielo
                  mi desta, rabbrividendo nel verde.
                  Aver ragione, vincere, possedere l'amore
                  marcisce sul morto tronco dell'illusione.
                  Sognare è niente e non sapere è vano.
                  Dormi nell'ombra, incerto cuore.
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