È difficile amare in primavere come questa che a Brera i contatori Geiger denunciano carica di pioggia radioattiva perché le hacca esplodono nel Nevada in Siberia sul Pacifico e angoscia collettiva sulla terra non esplode in giustizia. Potrò amarti dell'amore virile che mi tocca, e riempirti se minaccia l'uomo sé nel suo genere?
O trasferisco in pubblico stridore che è solo nostro, anzi tuo e mio?
Abbiamo viaggiato molto il tuo corpo ed io Abbiamo immaginato tutto ciò che un corpo e un io possono immaginare. Il mio corpo ed io abbiamo sognato il tuo corpo in posizioni che mai avevi immaginato. E ora non c'è posto per te che cosa pretendi tra me e il tuo corpo.
Quando la bufera incipria il porto, quando i pini, frusciando, lasciano nell'aria una scia che delle lamine di una slitta è più fonda, quale grado di azzurrità può raggiungere un occhio? Quale segno il linguaggio può far germogliare da un cauto contegno? Nascondendosi alla vista, il mondo esterno prende in ostaggio un volto: bloccato dalla neve, pallido, inerme. Così un mollusco rimane fosforescente sul fondo dell'oceano e così il selenzio assorbe l'intera velocità del suono. Così un fiammifero basta per accendere un fuoco; così l'orologio di un nonno, fratello del battito cardiaco, essendosi fermato da questo lato del mare, per mostrare il tempo all'altro, continua a ticchettare.
A nera, E bianca, I rossa, U verde, O blu: vocali, Dirò un giorno le vostre origini latenti: A nero busto irsuto delle mosche lucenti Che ronzano vicino a fetori crudeli,
Golfi bui; E, candori di vapori e di tende, Lance di ghiacciai, bianchi re, brividi d'umbelle; I, sangue e sputi, porpore, riso di labbra belle Nella collera o nelle ebbrezze penitenti;
U, fremiti divini di verdi mari, cicli, Pace di bestie al pascolo, pace di quelle rughe Che imprime alchìmia all'ampia fronte dello studioso;
O, la superna Tromba piena di strani stridi, Silenzi visitati dagli Angeli e dai Mondi: - O, l'Omega, violetto raggio di quei Suoi Occhi!
Sbagliando strada, lentamente (come accade a chi, smarritosi, non vuole andare brancolando, e scrupoloso consulta la carta, eppure va dove lo portano le gambe),
guidato non dal pilota automatico, ma da un organo che si fonde con il ritmo, ad ogni svolta compi la tua scelta, come un baco intrufolatosi in un labirinto.
Quando ai capricci più bislacchi fa da complice un passo incerto, a condurti non è il senso dell'orientamento, né la guida, ma il destino.
Vi son città dove le carte stesse si confondono, dove, riflesso nell'eterno vis-à-vis, ti rendi conto irrimediabilmente di quanto fragile ed effimero tu sia.
[…]
E lo studioso locale con lo storico pignolo, ignorando che vi sia voltato l'angolo, vanno a finire in un cortile di colombi, dove il leone muove l'ala di pietra –
accanto a un coccodrillo mezzo morto (più che un drago, pare un merluzzo), che, infilzato dalla lesina del santo, crepa, poveretto, di malinconia
e di curiosità. Quanto al santo, qui è messo alla pari con la bestia da lui trafitta – il principio è lo stesso. Entrambi anelano a sprofondare nel limo,
cosa che, peraltro, non sarà presto (benché il fondo continui a scendere): quanto più cedevole è il basamento, tanto meno è soggetto al potere del tempo.
[…]
Vivere sull'acqua porta a dubitare della finitezza, e fa perdere il gusto di balbettare "fermati" a un istante –, come un bimbo privo di giudizio…
[…]
Il rovescio delle isole è consunto. L'acqua pare insondabile, ma non è profonda. Più bianche della panna su una torta, le nuvole s'appiccicano alla mia guancia irsuta.
Da un palazzo all'altro, dondolando sul vaporetto, guardando la ruggine spenta di un colore bruciato, sotto la pioggia di vetro dell'Adriatico, made in Murano, e nella scia della tranquilla carovana mi aprivo un varco da San Marco a Rialto per un pertugio di legno marcio e di basalto. E i pilastri, i balconi, i frontoni, le palafitte intagliate, le imposte, e i gradini nell'acqua bassa, le trine, e gli altri arabeschi di pietra s'increspavano nel canale, e i fianchi del vaporetto respingevano i frantumi. Nell'umido crepuscolo l'imbarcadero s'avanzava coi lampioni colorati, e sull'orlo il tavolato irrequieto mandava bagliori di perla, la città s'offuscava e lampeggiava, nell'aere torbido della sera, d'increspatura veneziana, e gravava con una ciocca tinta scompigliata; come scostando dalla fronte un capello spezzato, Venezia diceva, modulando la voce: "Lasciatevi guardare, voi che accanto mi passate, di faccia e di profilo, e di tutto il visibile, nella luce che si spegne prima della vera notte, lasciatevi guardare da vicino, coi miei occhi. Voi girate con la giostra del Tempo, dall'ombra uscite nella festa del mattino, avanzando assieme all'acqua del canale verso la barriera con cui m'incorniciò la storia, moltiplicata per la pietra. Punto e basta. E dico: Amen! Voglio dire nella lingua del clamore dalle feritoie del vecchio bastione, dalle piazze, dai mercati, dalle torri campanarie, che la legge veramente sta alla vostra volontà. Io rimango. Voi passate. Così dev'essere, non sono ancora un colonnato in rovina, sono tutta intera e giungerò in capo al mondo, come un mortaio che spara nell'eternità. Passerete, ma San Marco resterà, una barca deserta se ne andrà per il canale, nessuno sui ponti, sul litorale, e allora leverò lo sguardo al cielo e – O Dio! – lassù, nella confusa lontananza, dove sfreccia un asteroide, il mio ultimo spettatore socchiuderà gli occhi".