Poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

Alla Musa

Pur tu copia versavi alma di canto
su le mie labbra un tempo, Aonia Diva,
quando dè miei fiorenti anni fuggiva
la stagion prima, e dietro erale intanto

questa, che meco per la via del pianto
scende di Lete ver la muta riva:
non udito or t'invoco; ohimè! Soltanto
una favilla del tuo spirto è viva.

E tu fuggisti in compagnia dell'ore,
o Dea! Tu pur mi lasci alle pensose
membranze, e del futuro al timor cieco.

Però mi accorgo, e mel ridice amore,
che mal ponno sfogar rade, operose
rime il dolor che deve albergar meco.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Che stai?

    Che stai? Già il secol l'orma ultima lascia;
    dove del tempo son le leggi rotte
    precipita, portando entro la notte
    quattro tuoi lustri, e obblio freddo li fascia.

    Che se vita è l'error, l'ira, e l'ambascia,
    troppo hai del viver tuo l'ore prodotte;
    or meglio vivi, e con fatiche dotte
    a chi diratti antico esempi lascia.

    Figlio infelice, e disperato amante,
    e senza patria, a tutti aspro e a te stesso,
    giovine d'anni e rugoso in sembiante,

    che stai? Breve è la vita, e lunga è l'arte;
    a chi altamente oprar non è concesso
    fama tentino almen libere carte.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      A Zacinto

      Né più mai toccherò le sacre sponde
      ove il mio corpo fanciulletto giacque,
      Zacinto mia, che te specchi nell'onde
      del greco mar da cui vergine nacque

      Venere, e fea quelle isole feconde
      col suo primo sorriso, onde non tacque
      le tue limpide nubi e le tue fronde
      l'inclito verso di colui che l'acque

      cantò fatali, ed il diverso esiglio
      per cui bello di fama e di sventura
      baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.

      Tu non altro che il canto avrai del figlio,
      o materna mia terra; a noi prescrisse
      il fato illacrimata sepoltura.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Notturno nuziale

        Quando tu venisti, una notte, verso il suo letto, al buio,
        e le dicesti, piano, già sopra di lei: Non ti vedo, non ti sento.
        E la ghermisti con artiglio d'aquila, e tutta la costringesti nella tua forza
        riplasmandola in te con tal furore ch'ella perdette il senso d'esistere.
        E uno solo in due bocche fu il rantolo e misto fu il sangue e fu il ritmo perfetto,
        e dal balcone aperto la notte guardava con l'occhio d'una sola stella
        rossastra,
        e il sonno che seguì parve la morte, e immoti come cadaveri
        la tristezza dell'ombra vi vegliò sino all'alba.
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          Virgilio

          Come, quando sù campi arsi la pia
          Luna imminente il gelo estivo infonde,
          Mormora al bianco lume il rio tra via
          Riscintillando tra le brevi sponde;
          E il secreto usignuolo entro le fronde
          Empie il vasto seren di melodia,
          Ascolta il viatore ed a le bionde
          Chiome che amò ripensa, e il tempo oblia;
          Ed orba madre, che doleasi in vano,
          Da un avel gli occhi al ciel lucente gira
          E in quel diffuso albor l'animo queta;
          Ridono in tanto i monti e il mar lontano,
          Tra i grandi arbor la fresca aura sospira:
          Tale il tuo verso a me, divin poeta.
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            Il bove

            T'amo pio bove; e mite un sentimento
            Di vigore e di pace al cor m'infondi,
            O che solenne come un monumento
            Tu guardi i campi liberi e fecondi,
            O che al giogo inchinandoti contento
            L'agil opra de l'uom grave secondi:
            Ei t'esorta e ti punge, e tu co 'l lento
            Giro dè pazienti occhi rispondi.
            E del grave occhio glauco entro l'austera
            Dolcezza si rispecchia ampio e quieto
            Il divino del pian silenzio verde.
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              Nel paese di mia madre

              Nel paese di mia madre v'è un campo quadrato, cinto di gelsi.
              Di là da quel campo altri campi quadrati, cinti di gelsi.
              Roggie scorrenti vi sono, fra alti argini, dritte, e non si sa dove vanno a finire.
              La terra s'allarga a misura del cielo, e non si sa dove vada a finire.

              Nel paese di mia madre v'han ponti di nebbia, che il vento solleva da placidi fiumi:
              varca il sogno quei ponti di nebbia, mentre le rive si stellan di lumi.
              Pioppi e betulle di tremula fronda accompagnan de l'acque il fluire:
              quando nè rami s'impigliano gli astri, in quella pace vorrei morire.

              Nel paese di mia madre un basso tugurio sonnecchia sul limite della risaia,
              e ronzano mosche lucenti, ghiotte, intorno a un ammasso di concio.
              Possanza di morte, possanza di vita, nell'odore del concio: ne gode
              la terra dall'humus profondo, sotto la vampa d'agosto che immobile sta.

              Nel paese di mia madre, quando il tramonto s'insaguina obliquio sui prati,
              vien da presso, vien da lontano una canzone di lunga via:
              la disser gli alari alle cune, gli aratri alle marre, le biche all'aie fiorite di lucciole,
              vecchia canzone di gente lombarda: "La Violetta la vaaa la vaaaa... "
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                Sinfonia azzurra

                Venne in cerca di te
                nella calda notte, lungo le strade dai fanali azzurri.
                Tutte le strade, allora, la notte erano azzurre
                come le vie dei cieli,
                e il volto amato
                non si vedeva: si sentiva in cuore
                E ti trovò, o dolcezza, nell'ombra
                casta, velata d'un vapor di stelle.
                Fra quel tremolìo d'astri
                discesi in terra,
                in quell'azzurro di due firmamenti
                l'uno a specchio dell'altro, ella
                ella pure rispecchiò in te l'anima sua notturna.
                E ti seguì con passo di bambina
                senza sapere, senza vedere, tacita e fluida.
                E allor che il giorno apparve
                con fresco riso roseo su l'immenso turchino,
                non trovò più se stessa
                per ritornare.
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                  Scritta da: Silvana Stremiz

                  Anniversario

                  Non chiamarmi, non dirmi nulla
                  Non tentare di farmi sorridere.
                  Oggi io sono come la belva
                  che si rintana per morire.

                  Abbassa la lampada, copri il fuoco,
                  che la stanza sia come una tomba.
                  Lascia ch'io mi rannicchi nell'angolo
                  con la testa sulle ginocchia.

                  L'ore si spengano nel silenzio.
                  Salga in torbide onde l'angoscia
                  e m'affoghi: altro non chiedo
                  che di perdere la conoscenza.

                  Ma non è dato. Quel volto,
                  quel riso l'ho sempre davanti.
                  Giorno e notte il ricordo m'è uncino
                  confitto nella carne viva.

                  Forse morire io non potrò
                  mai: condannata in eterno
                  a vegliare il mio strazio in me,
                  piangendo con occhi senza palpebre.
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                    Scritta da: Silvana Stremiz

                    Giardini nascosti

                    Amo la libertà dè tuoi romiti
                    vicoli e delle tue piazze deserte,
                    rossa Pavia, città della mia pace.
                    Le fontanelle cantano ai crocicchi
                    con chioccolìo sommesso: alte le torri
                    sbarran gli sfondi, e, se pesante ho il cuore,
                    me l'avventano su verso le nubi.
                    Guizzan, svelti, i tuoi vicoli, e s'intrecciano
                    a labirinto; ed ai muretti pendono
                    glicini e madreselve; e vi s'affacciano
                    alberi di gran fronda, dai giardini
                    nascosti. Viene da quel verde un fresco
                    pispigliare d'uccelli, una fragranza
                    di fiori e frutti, un senso di rifugio
                    inviolato, ove la vita ignara
                    sia di pianto e di morte. Assai più belli
                    i bei giardini, se nascosti: tutto
                    mi pare più bello, se lo vedo in sogno.
                    E a me basta passar lungo i muretti
                    caldi di sole; e perdermi nè tuoi
                    vicoli che serpeggian come bisce
                    fra verzure d'occulti orti da fiaba,
                    rossa Pavia, città della mia pace.
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