Che vergogna andare al cinema da solo senza un amico, senza un'amica, senza moglie, là dove tutti gli spettacoli sembrano tanto brevi e tanto lunga la loro attesa.
Che vergogna in questa interiore guerra dei nervi davanti alle coppiette beffarde del foyer in un angoletto, tutto rosso, masticare un pasticcino, come se ci fosse di che restar confusi... Noi, fuggendo la solitudine e l'angoscia ci buttiamo in qualsiasi compagnia, e così degli obblighi che fanno schiavi di amicizie senza senso ti perseguiteranno ftno alla tomba.
Le amicizie si formano in modo assurdo: gli uni si danno al bere senza una ragione, gli altri non sono interessati che ai fronzoli e alle donnacce, e c'è pure chi sembra occupare il tempo in discussioni astratte, ma di fatto si somigliano tutti tra di loro... Molte son le forme della vanità! O l'una, o l'altra chiassosa compagniaa... Non saprei a quante di queste io sia riuscito a sfuggire!
E come caduto in un nuovo tranello, sono riuscito a sfuggire, lasciandovi il pelo, sono sfuggito! Mi sei dinanzi, vuota libertà... Perché diavolo mi sei necessaria! Mi sei cara e insieme odiosa, come una moglie non amata e fedele. E tu, amata mia, come stai tu? Ti sei liberata delle tue vane preoccupazioni? A chi adesso appartengono i tuoi occhi strabici e le tue bianche, splendide spalle? Pensi certo che io mi vendichi, che in qualche parte mi precipiti in taxi, ma se anche lo facessi dove scenderei? Eppure non potrei liberarmi di te! Con me le donne si rinchiudono in sé, perché sentono d'essermi ora del tutto estranee. Abbandono la testa sulle loro ginocchia, ma non a loro, a te appartengo... Or non è molto sono stato da una in una brutta casupola di via Sennàja. Ho appeso il paltò a un misero attaccapanni. Sotto un abete spoglio da un lato, con le lampadine fioche, rilucendo con le sue pantofoline bianche, sedeva una donna, severa come una bambina. Avevo così facilmente ottenuto il permesso di venire, che ero sicuro di me e troppo inebriato, come oggi si usa e le avevo portato non fiori, ma vino. Ma tutto apparve molto più complicato... Ella taceva e modestamente due goccette trasparenti, due orecchini, brillavano sui suoi lobi rosati. E, come sofferente, guardandomi confusa, sollevando il suo corpo di fanciulla, mi disse con voce smorzata: "Vattene... È meglio di no... Lo vedo, non sei mio, ma suo... " Mi amava una ragazzetta dalle maniere rudi, da maschiaccio, con un ciuffetto sbarazzino e gli occhi trasparenti, pallida di paura e tenerezza. Eravamo in Crimea. C'era di notte un temporale e la ragazzina al bagliore dei lampi mi sussurrava: "Mio piccolo! Mio piccolo! " e mi copriva gli occhi col palmo della mano. Intorno tutto era spaventosamente solenne, il tuono e il gemito sordo del mare, quando all'improvviso ella, con una lucidità tutta femminile, mi gridò: "Non sei mio! Non sei mio! " Addio, mia amata! Io sono tuo, cupo e fedele, e la solitudine è la più fedele di tutte le fedeltà. E non importa se sulle mie labbra non fonde più la neve d'addio del tuo monchino. Grazie alle donne belle e infedeli per tutto ciò che è durato un istante, per quell'addio! Che non è un "arrivederci! ", perché, fiere come regine nella loro menzogna, ci regalano delle dolci sofferenze e i magnifici frutti della solitudine.
Non t'amo più... È un finale banale. Banale come la vita, banale come la morte. Spezzerò la corda di questa crudele romanza, farò a pezzi la chitarra: ancora la commedia perché recitare! Al cucciolo soltanto, a questo mostriciattolo peloso, non è dato capire perché ti dai tanta pena e perché io faccio altrettanto. Lo lascio entrare da me, e raschia la tua porta, lo lasci passare tu, e raschia la mia porta,
C'è da impazzire, con questo dimenio continuo... O cane sentimentalone, non sei che un giovanotto... Ma io non cederò al sentimentalismo. Prolungar la fine equivale a continuare una tortura.
Il sentimentalismo non è una debolezza, ma un crimine quando di nuovo ti impietosisci, di nuovo prometti e provi, con sforzo, a mettere in scena un dramma dal titolo Ottuso "Un amore salvato".
È fin dall'inizio che bisogna difendere l'amore dai "mai" ardenti e dagli ingenui "per sempre! ". E i treni ci gridavano: "Non si deve promettere! ". E i fili fischiavano "Non si deve promettere! ".
I rami che s'incrinavano e il cielo annerito dal fumo ci avvertivano, ignoranti presuntuosi, che è ignoranza l'ottimismo totale, che per la speranza c'è più posto senza grandi speranze.
È meno crudele agire con sensatezza e giudiziosamente soppesare gli anelli prima di infilarseli, secondo il principio dei penitenti incatenati. È meglio non promettere il cielo e dare almeno la terra, non impegnarsi fino alla morte, ma offrire almeno l'amore d'un momento.
È meno crudele non ripetere "ti amo", quando tu ami. È terribile dopo, da quelle stesse labbra sentire un suono vuoto, la menzogna, la beffa, la volgarità quando il mondo falsamente pieno, apparirà falsamente vuoto.
Non bisogna promettere... L'amore è inattuabile. Perché condurre all'inganno, come a nozze? La visione è bella finché non svanisce. È meno crudele non amare, quando dopo viene la fine.
Guaisce come impazzito il nostro povero cane, raspando con la zampa ora la mia, ora la tua porta. Non ti chiedo perdono per non amarti più. Perdonami d'averti amato.
- S'io, che son dio, ed ho meco tant'armi, non posso star col tuo signor a prova, ed è la sua bellezza unica e nova pronta mai sempre a tante ingiurie farmi, come a tuo pro poss'ora io consigliarmi, e darti il modo, con che tu rimova per via di preghi, di consiglio o carmi? Ti bisogna aspettar tempo o fortuna, quel saldo ghiaccio, che nel cor si trova, che ti guidino a questo; ed altra via non ti posso mostrar, se non quest'una. - Così mi dice, e poi si vola via; ed io mi resto, al sole ed a la luna, piangendo sempre la sventura mia.
Che meraviglia fu, s'al primo assalto, giovane e sola, io restai presa al varco, stando Amor quindi con gli strali e l'arco, e ferendo per mezzo, or basso or alto, indi 'l signor che 'n rime orno ed essalto quanto più posso, e 'l mio dir resta parco, con due occhi, anzi strai, che spesso incarco han fatto al sole e con un cor di smalto? Ed essendo da lato anche imboscate, sì ch'a modo nessun fess'io difesa, alla virtute e chiara nobiltate? Da tanti e ta' nemici restai presa; né mi duol, pur che l'alma mia beltate, or che m'ha vinta, non faccia altra impresa.
Vengan quante fûr mai lingue ed ingegni, quanti fûr stili in prosa, e quanti in versi, e quanti in tempi e paesi diversi spirti di riverenza e d'onor degni; non fia mai che descrivan l'ire e' sdegni, le noie e i danni, che 'n amor soffersi, perché nel vero tanti e tali fêrsi, che passan tutti gli amorosi segni. E non fia anche alcun, che possa dire, anzi adombrar la schiera de' diletti ch'Amor, la sua mercé, mi fa sentire. Voi, ch'ad amar per grazia sète eletti, non vi dolete dunque di patire; perché i martir d'Amor son benedetti
Un intelletto angelico e divino, una real natura ed un valore, un disio vago di fama e d'onore, un parlar saggio, grave e pellegrino, un sangue illustre, agli alti re vicino, una fortuna a poche altre minore, un'età nel suo proprio e vero fiore, un atto onesto, mansueto e chino, un viso più che 'l sol lucente e chiaro, ove bellezza e grazia Amor riserra in non mai più vedute o udite tempre, fûr le catene, che già mi legâro, e mi fan dolce ed onorata guerra. O pur piaccia ad Amor che stringan sempre!
La fé, conte, il più caro e ricco pegno che possa aver illustre cavaliero, come cangiaste voi presto e leggiero, fuor che di lei d'ogni virtù sostegno? A pena vide voi 'l gallico regno, che mutaste con lei voglia e pensiero; ed Anassilla e 'l suo fedele e vero amor sparir da voi tutti ad un segno. E piaccia pur a lui, che mi governa, che non sia la ragion di questo oblio novella fiamma nel cor vostro interna! O, se ciò è, acerbo stato mio! o doglia mia sovra ogni doglia eterna! o fidanza d'Amor che mi tradìo!
Io non v'invidio punto, angeli santi, le vostre tante glorie e tanti beni, e què disir di ciò che braman pieni, stando voi sempre a l'alto Sire avanti; perché i diletti miei son tali e tanti, che non posson capire in cor terreni, mentr'ho davanti i lumi almi e sereni, di cui conven che sempre scriva e canti. E come in ciel gran refrigerio e vita dal volto Suo solete voi fruire, tal io qua giù da la beltà infinita. In questo sol vincete il mio gioire, che la vostra è eterna e stabilita, e la mia gloria può tosto finire.
Onde, che questo mar turbate spesso, come turba anco me la gelosia, venite a starvi meco in compagnia, poi che mi sète sì care e sì presso: così fiero Austro ed Aquilon con esso men importuno e men crudo vi sia; così triegua talor Eolo vi dia, quel ch'a me da l'amor non m'è concesso. Lassa, ch'io ho da pianger tanto e tanto, che l'umor, che per gli occhi verso fore, è poco o nulla, se fosse altrettanto. Voi mi darete voi del vostro umore quanto mi basti a disfogar il pianto, che si conviene a l'alto mio dolore.