Poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

No, non dire mai che il mio cuore è stato falso (Sonetto 109)

No, non dire mai che il mio cuore è stato falso
Anche se l'assenza sembrò ridurre la mia fiamma;
come non è facil ch'io mi stacchi da me stesso,
così è della mia anima che vive nel tuo petto:
quello è il rifugio mio d'amore; se ho vagato
come chi viaggia, io di nuovo lì ritorno
fedelmente puntuale, non mutato dagli eventi,
tanto ch'io stesso porto acqua alle mie colpe.
Non credere mai, pur se in me regnassero
tutte le debolezze che insidiano la carne,
ch'io mi possa macchiare in modo tanto assurdo
da perdere per niente la somma dei tuoi pregi:
perché niente io chiamo questo immenso universo
tranne te, mia rosa; in esso tu sei il mio tutto.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Quelle labbra che Amor creò con le sue mani (Sonetto 145)

    Quelle labbra che Amor creò con le sue mani
    bisbigliarono un suono che diceva "Io odio"
    a me, che per amor suo languivo:
    ma quando ella avvertì il mio penoso stato,
    subito nel suo cuore scese la pietà
    a rimproverar la lingua che sempre dolce
    soleva esprimersi nel dar miti condanne;
    e le insegnò a parlarmi in altro modo,
    "Io odio" ella emendò con un finale,
    che le seguì come un sereno giorno
    segue la notte che, simile a un demonio,
    dal cielo azzurro sprofonda nell'inferno.
    Dalle parole "Io odio" ella scacciò ogni odio
    e mi salvò la vita dicendomi "non te".
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Pianefforte 'e notte

      Nu pianefforte 'e notte
      sona luntanamente,
      e 'a museca se sente
      pe ll'aria suspirà.

      È ll'una: dorme 'o vico
      ncopp'a nonna nonna
      'e nu mutivo antico
      'e tanto tiempo fa.

      Dio, quanta stelle 'n cielo!
      Che luna! E c'aria doce!
      Quanto na della voce
      vurria sentì cantà!
      Ma sulitario e lento
      more 'o mutivo antico;
      se fa cchiù cupo 'o vico
      dint'a ll'oscurità...

      Ll'anema mia surtanto
      rummane a sta fenesta.
      Aspetta ancora. E resta,
      ncantannese, a pensà.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Cacciatori della domenica

        Vanno a sparare alle beccacce,
        il contenuto
        lo portano dentro sacchetti scoloriti,
        dentro sacchetti, si capisce,
        e lento s'unge di grasso.

        Musone, così si chiama il cane,
        ma non risponde a tal nome.
        Perché ora la beccaccia,
        beccata nel suo contenuto,
        è pure lei musona e tutta unta?

        Scolorita musona la beccaccia.
        Musone il cane, che si chiama così
        ma non risponde a tal nome...
        Musone! Gridano musoni.
        Sono andati a sparare alle beccacce.
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          Varo

          Se è questo che il gabbiano vuole,
          costruirò una nave,
          sarò felice
          durante il varo,
          porterò una camicia sgargiante,
          piangerò sciampagna, forse,
          o secernerò sapone molle,
          senza cui nulla può andare.

          Chi sarà a tenere il discorso?
          Chi leggerà dal foglio di carta senza diventar cieco?
          Il Presidente?
          Con quale nome ti dovrò battezzare?
          Dovrò chiamare il tuo naufragio anna
          oppure colombo?
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            Ma puoi ch'ella mi vide

            Ma puoi ch'ella mi vide,
            la sua cera che ride
            inver'di me si volse,
            e puoi a sé m'acolse
            molto covertamente,
            e disse immantenente:
            "Io sono la Natura,
            e sono una fattura
            de lo sovran Fattore.
            Elli è mio creatore:
            io son da Lui creata
            e fui incominciata;
            ma la Sua gran possanza
            fue sanza comincianza.
            È non fina né more;
            ma tutto mio labore,
            quanto che io l'alumi,
            convien che si consumi.
            Esso è onipotente;
            ma io non pos'neente
            se non quanto concede.
            Esso tanto provede
            e è in ogne lato
            e sa ciò ch'è passato
            e 'l futuro e 'l presente;
            ma io non son saccente
            se non di quel che vuole:
            mostrami, come suole,
            quello che vuol ch'ì faccia
            e che vol ch'io disfaccia,
            ond'io son Sua ovrera
            di ciò ch'Esso m'impera.
            Così in terra e in aria
            m'ha fatta sua vicaria:
            Esso dispose il mondo,
            e io poscia secondo
            lo Suo comandamento
            lo guido a Suo talento.
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              Eri tu schivo, Gesù Bambino

              Eri tu schivo, Gesù Bambino,
              un giorno, e come me piccino?
              E che sentivi a vivere
              fuori dei Cieli, e proprio come io vivo?
              Pensavi mai le cose di lassù,
              dove fossero gli angeli chiedevi?
              Io al tuo posto avrei pianto
              Per la mia casa fatta di cielo;
              io cercherei dintorno a me, nell'aria:
              "gli angeli dove sono? ", chiederei
              e destandomi mi dispererei
              che non vi fosse un angelo a vestirmi!
              Anche tu possedevi dei balocchi,
              come li abbiamo noi, bimbe e bambini?
              E giocavi nei Cieli con tutti
              gli angeli non troppo alti,
              con le stelle a piastrella? Si giocava
              a rimpiattino, dietro le loro ali?
              Tua Madre ti lasciava sciupare le tue vesti
              Sul nostro suol giocando?
              Come bello serbarle sempre nuove,
              per i Cieli d'azzurro sempre tersi!
              T'inginocchiavi, a notte, per pregare,
              e le tue mani, come noi, giungevi?
              E a volte erano stanche, le manine,
              e assai lunga sembrava la preghiera?
              E ti piace così, che noi giungiamo
              Le nostre mani per pregare a te?
              A me sembrava, avanti io lo sapessi,
              che la preghiera solo così vale.
              E tua Madre, la sera, ti baciava,
              i tuoi panni piegandoti con cura?
              Non ti sentivi proprio buono, a letto,
              baciato e quieto, dette le orazioni?

              A tuo Padre la mia preghiera mostra
              (Egli la guarderà, sei così bello! ),
              e digli "O Padre, io, io il Figlio tuo,
              ti reco la preghiera di un bambino".
              Sorriderà, che la lingua dei bimbi
              Sia la stessa di quando eri tu un bimbo!
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                Per Senocrate di Agrigento, voncitore del carro

                Udite: il campo di Afrodite
                occhi vivaci o delle Grazie
                noi ariamo, muovendo al tempio
                ombelico della terra altitonante;
                qui, agli Emmenidi felici, alla fluviale Agrigento
                e a Senocrate, per la vittoria pitica,
                è costruito, nella valle ricca d'oro
                di Apollonia, un tesoro di inni,
                che mai la pioggia invernale - esercito
                irruento e spietato
                di nuvola risonante - né il vento con detriti
                confusi percuotendolo sospingeranno
                negli abissi del mare. Nella luce pura, la sua fronte
                annuncerà nei discorsi dei mortali,
                o Trasibulo, la vittoria illustre, comune a tuo padre e alla stirpe,
                riportata col carro nelle valli di Crisa.
                Nella mano destra serbandolo, tu guidi
                dritto il precetto
                che una volta - narrano - sui monti
                il figlio di Filira impartì al Pelide,
                separato dai suoi genitori: tra gli dèi, onorare
                soprattutto il figlio di Crono, dalla voce grave, signore
                dei lampi e dei fulmini; e non privare mai di questo onore
                i genitori per la vita che loro è destinata.
                In altro tempo, sentimenti simili nutriva
                il forte Antiloco,
                che morì per il padre, affrontando
                Memnone sterminatore, re
                degli Etiopi. Colpito da frecce di Paride,
                bloccava un cavallo il carro di Nestore. Protese
                Memnone la lancia possente. Turbata, la mente
                del vecchio Messenio gridò il nome del figlio.
                A terra non cadde la sua parola. Lì
                resistendo, l'uomo divino
                comprò con la sua morte la vita del padre;
                e compiuta l'impresa immane, egli parve
                ai più giovani della stirpe antica
                il più grande per virtù verso i genitori.
                Ma questo è passato. Dei giovani di ora, più di tutti
                Trasibulo procede secondo la norma paterna
                e segue lo zio in ogni splendore.
                Con senno egli usa la ricchezza,
                e coglie una giovinezza non ingiusta né tracotante;
                ma negli antri delle Pieridi coltiva la poesia
                e a te, Scuotitore della terra, che governi le gare dei cavalli, o Poseidone,
                si dedica, con animo fervente.
                Dolce anche nei rapporti conviviali, la sua indole
                supera l'opera traforata delle api.
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                  Scritta da: Silvana Stremiz

                  Per Teosseno di Tenedo

                  Al momento opportuno dovevi, animo mio,
                  coglier l'amore, in giovinezza.
                  Ma guardando i raggi
                  che dagli occhi di Teosseno balenano,
                  chi non trabocca di desiderio, ha il cuore nero
                  temprato nell'acciaio o nel ferro
                  con gelida fiamma. Disprezzato
                  da Afrodite pupille vivaci,
                  o soffre pene violente per ottenere guadagni,
                  o, servo di tracotanza femminile,
                  freddo percorre ogni sentiero.
                  Ma io, a causa di lei, come la cera delle api sacre
                  morsa dal calore, mi consumo, quando guardo
                  la giovinezza degli adolescenti dalle membra floride.
                  In Tenedo, certo,
                  Peito e Grazia abitano
                  nel figlio di Agesilas.
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