Poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

Poeti estinti, filosofi, preti

Poeti estinti, filosofi, preti,
martiri, artisti, inventori, governi d'un tempo,
forgiatori di lingue su altre rive,
nazioni un tempo potenti e ora indebolite, contratte o desolate,
io non oso procedere finché non v'abbia rispettosamente dato credito
di quanto avete lasciato sparso quaggiù,
io l'ho esaminato, riconosco che è ammirevole, (essendovi passato in mezzo, )
penso che mai nulla potrà essere più grande, nulla potrà mai meritare più di quanto
esso meriti,
mentre lo contemplo con attenzione, a lungo, e poi lo congedo,
io sto al mio posto coi miei giorni qui.

Qui terre femminili e maschie,
qui eredi e ereditiere del mondo, qui la fiamma della materia,
qui la spiritualità mediatrice, apertamente riconosciuta,
sempre protesa, il risultato delle forme visibili,
colei che soddisfa ed ora avanza dopo la debita attesa,
sì, ecco avanzare la mia signora, l'anima.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Canto il se stesso

    Canto il se stesso, la semplice singola persona,
    tuttavia pronuncio la parola Democratico, la parola In-Massa.

    L'organismo da capo a piedi io canto,
    nè la fisionomia nè il cervello sono degni da soli della Musa,
    io dico che la forma completa è di gran lunga più degna,
    e la Femmina canto come il Maschio.

    Canto la vita immensa nella sua passione, impulso e forza,
    felice per le azioni più libere sotto le leggi divine,
    canto l'Uomo Moderno.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Continuità

      Nulla è mai veramente perduto, o può essere perduto,
      nessuna nascita, forma, identità - nessun oggetto del mondo,
      né vita, né forza, né alcuna cosa visibile;
      l'apparenza non deve ingannare, né l'ambito mutato confonderti il cervello.
      Vasti sono il tempo e lo spazio - vasti i campi della Natura.
      Il corpo lento, invecchiato, freddo - le ceneri rimaste dai fuochi di un tempo,
      la luce degli occhi divenuta tenue, tornerà puntualmente a risplendere;
      il sole ora basso a occidente sorge costante per mattini e meriggi;
      alle zolle gelate sempre ritorna la legge invisibile della primavera,
      con l'erba e i fiori e i frutti estivi e il grano.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        La grande città di Priamo

        ... La grande città di Priamo
        Dardanide, ricca e famosa, distrussero,
        partiti da Argo,
        per volere del grande Zeus;
        e per la bellezza della bionda Elena
        sostennero una lotta molto celebrata,
        in una guerra luttuosa;
        e la sventura salì su Pergamo misera
        a causa di Cipride chioma dorata.
        Ma non desidero ora cantare
        né Paride ingannatore degli ospiti,
        né Cassandra caviglie sottili,
        né gli altri figli di Priamo,
        né il giorno inglorioso della conquista
        di Troia dalle alte porte; né...
        la virtù superba
        degli eroi che navi
        concave dai molti chiodi trasportarono
        - sciagura per Troia -, nobili eroi.
        Agamennone potente li comandava,
        il re discendente da Plistene, condottiero di uomini,
        figlio del nobile Atreo.
        Queste gesta solo le Muse Eliconie
        esperte potrebbero rievocare nel canto;
        un uomo mortale, vivente,
        non saprebbe narrare i singoli casi:
        il gran numero delle navi che da Aulide
        attraverso il mare Egeo vennero
        da Argo a Troia
        che nutre cavalli; e in esse gli eroi
        dagli scudi di bronzo, figli degli Achei,
        tra i quali, il più valente nella lancia,
        Achille veloce nei piedi,
        e il grande, valoroso Aiace Telamonio.
        ...
        (E venne anche colui) che Hyllis
        dalla cintura d'oro generò:
        e a lui Troiani e Danai
        ritenevano simile Troilo
        nell'aspetto amabile, come oro
        tre volte cotto all'oricalco.
        Insieme a loro, avrai anche tu,
        Policrate, una fama indistruttibile di bellezza
        per quanto sta al mio canto e alla mia fama.
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          In primavera, i meli cidoni

          In primavera, i meli cidoni
          irrorati dalle correnti dei fiumi,
          là dov'è il giardino incontaminato
          delle Vergini - e i fiori della vite,
          che crescono sotto i tralci ombrosi,
          ricchi di gemme, germogliano. Per me Eros
          in nessuna stagione si posa:
          ma come il tracio Borea,
          avvampante di folgore,
          balza dal fianco di Cipride con brucianti
          follie e tenebroso, intrepido,
          custodisce con forza, saldamente,
          il mio cuore.
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            Il pugno

            Il pugno stretto intorno al mio cuore
            si allenta un poco, e io respiro ansioso
            luce; ma già preme di nuovo.
            Quando mai non ho amato
            la pena d'amore? Ma questa si è spinta

            oltre l'amore fino alla mania. Questa
            ha la forte stretta del demente, questa
            si aggrappa alla cornice della non-ragione, prima
            di sprofondare urlando nell'abisso.

            Tieni duro allora, cuore; così almeno vivi.
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              L'aspro sapore del mare

              Quella vela piegata dalla luce,
              stanca d'isole,
              una goletta che batte il Mar dei Caraibi

              per ritornare, potrebbe essere Odisseo
              diretto a casa attraverso l'Egeo:
              quel desiderio di padre e di marito,

              sotto l'aspro livore della vecchiezza,
              è come l'adultero che sente il nome di Nausicaa
              in ogni grido di gabbiano.

              E questo non assicura la pace. L'antica guerra
              tra ossessione e responsabilità
              non può finire ed è la stessa

              per il naufrago e per chi sul lido
              ora infila i piedi nei sandali per rientrare
              da quando Troia ha spirato l'ultima fiamma

              e il macigno del cieco ciclope ha alzato le acque
              dalle cui ondate i grandiosi esametri giungono
              alle conclusioni dell'esausta risacca.

              I classici possono consolare. Ma non abbastanza.
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                Parabola

                Il bimbo guarda fra le dieci dita
                la bella mela che vi tiene stretta;
                e indugia - tanto è lucida e perfetta -
                a dar coi denti quella gran ferita.

                Ma dato il morso primo ecco s'affretta:
                e quel che morde par cosa scipita
                per l'occhio intento al morso che l'aspetta...
                E già la mela è per metà finita.

                Il bimbo morde ancora - e ad ogni morso
                sempre è lo sguardo che precede il dente -
                fin che s'arresta al torso che già tocca.

                "Non sentii quasi il gusto e giungo al torso! "
                Pensa il bambino... Le pupille intente
                ogni piacere tolsero alla bocca.
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                  Scritta da: Silvana Stremiz

                  Il filo

                  Ma questo filo... tutto questo filo!...
                  In pensieri non dolci e non amari
                  il Vecchio stava chino sulli alari
                  con le molle, così, come uno stilo.

                  "Scrivi? Bruci? Miei versi? I sillabari?
                  Il nome dell'Amata e dell'Asilo! "
                  (nel Vecchio riconobbi il mio profilo)
                  "Lettere? Buste? Annunzi funerari?

                  Un nome, un nome! Quello della Mamma! "
                  E caddi singhiozzando sulli alari.
                  Il Vecchio tacque. M'additò la fiamma.

                  "Da trent'anni?! Perdute le più tenere
                  mani! Ma resta il sogno! I sogni cari... "
                  Il Vecchio tacque. M'additò la cenere.
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                    Scritta da: Silvana Stremiz

                    La via del rifugio

                    Trenta quaranta,
                    tutto il Mondo canta
                    canta lo gallo
                    risponde la gallina...

                    Socchiusi gli occhi, sto
                    supino nel trifoglio,
                    e vedo un quatrifoglio
                    che non raccoglierò.

                    Madama Colombina
                    s'affaccia alla finestra
                    con tre colombe in testa:
                    passan tre fanti...

                    Belle come la bella
                    vostra mammina, come
                    il vostro caro nome,
                    bimbe di mia sorella!

                    ... su tre cavalli bianchi:
                    bianca la sella
                    bianca la donzella
                    bianco il palafreno...

                    Ne fare il giro a tondo
                    estraggono le sorti.
                    (I bei capelli corti
                    come caschetto biondo

                    rifulgono nel sole. )
                    Estraggono a chi tocca
                    la sorte, in filastrocca
                    segnado le parole.

                    Socchiudo gli occhi, estranio
                    ai casi della vita.
                    Sento fra le mie dita
                    la forma del mio cranio...

                    Ma dunque esisto! O Strano!
                    Vive tra il Tutto e il Niente
                    questa cosa vivente
                    detta guidogozzano!

                    Resupino sull'erba
                    (ho detto che non voglio
                    raccorti, o quatrifoglio)
                    non penso a che mi serba

                    la Vita. Oh la carezza
                    dell'erba! Non agogno
                    cha la virtù del sogno:
                    l'inconsapevolezza.

                    Bimbe di mia sorella,
                    e voi, senza sapere
                    cantate al mio piacere
                    la sua favola bella.

                    Sognare! Oh quella dolce
                    Madama Colombina
                    protesa alla finestra
                    con tre colombe in testa!

                    Sognare. Oh quei tre fanti
                    su tre cavalli bianchi:
                    bianca la sella,
                    bianca la donzella!

                    Chi fu l'anima sazia
                    che tolse da un affresco
                    o da un missale il fresco
                    sogno di tanta grazia?

                    A quanti bimbi morti
                    passò di bocca in bocca
                    la bella filastrocca
                    signora delle sorti?

                    Da trecent'anni, forse,
                    da quattrocento e più
                    si canta questo canto
                    al gioco del cucù.

                    Socchiusi gli occhi, sto
                    supino nel trifoglio,
                    e vedo un quatrifoglio
                    che non raccoglierò.

                    L'aruspice mi segue
                    con l'occhio d'una donna...
                    Ancora si prosegue
                    il canto che m'assonna.

                    Colomba colombita
                    Madama non resiste,
                    discende giù seguita
                    da venti cameriste,

                    fior d'aglio e fior d'aliso,
                    chi tocca e chi non tocca...
                    La bella filastrocca
                    si spezza d'improvviso.

                    "Una farfalla! " "Dài!
                    Dài! " - Scendon pel sentiere
                    le tre bimbe leggere
                    come paggetti gai.

                    Una Vanessa Io
                    nera come il carbone
                    aleggia in larghe rote
                    sul prato solatio,

                    ed ebra par che vada.
                    Poi - ecco - si risolve
                    e ratta sulla polvere
                    si posa della strada.

                    Sandra, Simona, Pina
                    silenziose a lato
                    mettonsile in agguato
                    lungh'essa la cortina.

                    Belle come la bella
                    vostra mammina, come
                    il vostro caro nome
                    bimbe di mia sorella!

                    Or la Vanessa aperta
                    indugia e abbassa l'ali
                    volgendo le sue frali
                    piccole antenne all'erta.

                    Ma prima la Simona
                    avanza, ed il cappello
                    toglie ed il braccio snello
                    protende e la persona.

                    Poi con pupille intente
                    il colpo che non falla
                    cala sulla farfalla
                    rapidissimamente.

                    "Presa! " Ecco lo squillo
                    della vittoria. "Aiuto!
                    È tutta di velluto:
                    Oh datemi uno spillo! "

                    "Che non ti sfugga, zitta! "
                    S'adempie la condanna
                    terribile; s'affanna
                    la vittima trafitta.

                    Bellissima. D'inchiostro
                    l'ali, senza rintocchi,
                    avvivate dagli occhi
                    d'un favoloso mostro.

                    "Non vuol morire! " "Lesta!
                    Ché soffre ed ho rimorso!
                    Trapassale la testa!
                    Ripungila sul dorso! "

                    Non vuol morire! Oh strazio
                    d'insetto! Oh mole immensa
                    di dolore che addensa
                    il Tempo nello Spazio!

                    A che destino ignoto
                    si soffre? Va dispersa
                    la lacrima che versa
                    l'Umanità nel vuoto?

                    Colombina colombita
                    Madama non resiste:
                    discende giù seguita
                    da venti cameriste...

                    Sognare! Il sogno allenta
                    la mente che prosegue:
                    s'adagia nelle tregue
                    l'anima sonnolenta,

                    siccome quell'antico
                    brahamino del Pattarsy
                    che per racconsolarsi
                    si fissa l'umbilico.

                    Socchiudo gli occhi, estranio
                    ai casi della vita;
                    sento fra le mie dita
                    la forma del mio cranio.

                    Verrà da sé la cosa
                    vera chiamata Morte:
                    che giova ansimar forte
                    per l'erta faticosa?

                    Trenta quaranta
                    tutto il Mondo canta
                    canta lo gallo
                    canta la gallina...

                    La Vita? Un gioco affatto
                    degno di vituperio,
                    se si mantenga intatto
                    un qualche desiderio.

                    Un desiderio? Sto
                    supino nel trifoglio
                    e vedo un quatrifoglio
                    che non raccoglierò.
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