Poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

Biografia della parola rivoluzione

Parola che nacque in un vomito di sangue
Parola che il primo a dirla affogò in essa.
Parola sempre in piedi.
Parola sempre in marcia.
Parola contumace nella modernità.
Parola che si pronuncia coi pugni.
Parola grande fino a traboccare dai margini dei dizionari.
Parola di affetto facile come una curva.
Parola di quattro frecce sparate verso i punti cardinali.
Così rimase sradicato d'oblio ogni aneddoto
su uno dei vertici più remoti del tempo
i dolori umani fecero campi di concentramento
per intraprendere la strada, verso quale cielo?
Ognuno secondo la sua intensità prese un diverso carattere
alfabetico e la parola rimase scritta:
rivoluzione
Poi il sole passando attraverso di essa per sprofondare
nella notte accese le sue undici lettere:
rivoluzione.
E fu la prima insegna luminosa del mondo.
Adesso è nell'uomo così come è nell'ossigeno dell'acqua.
Campi, città, mari, contano una popolazione nei suoi
echi.
Ha sottratto lo spazio ai corpi che si dilatano.
Ha violenza e distruzione di onda di vento.
Penetra nelle anime con una sensualità di aratro.
Cartello scritto nello spazio di due braccia erette,
alziamolo con la vita.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    I tre santi Re Magi dall'Oriente

    I tre santi Re Magi dall'Oriente
    Chisedono in ogni piccola città:
    "Cari ragazzi e giovinette, dite,
    la strada per Betlemme è per di qua? "

    Ma i giovani ed i vecchi non lo sanno
    E i tre Re Magi sempre avanti vanno;
    ma una cometa d'oro li conduce
    che lassù chiara e amabile riluce.

    La stella sulla casa di Giuseppe
    Ecco s'arresta: là devono entrare.
    Il bovetto muggisce, il bimbo strilla,
    e i tre Re Magi prendono a cantare.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Al nostro re Teopompo, caro agli dèi

      Al nostro re Teopompo, caro agli dèi,
      per merito del quale conquistammo Messene, dalle ampie contrade
      ...
      Messene, luogo bello per arare, bello per piantare
      ...
      intorno ad essa combatterono per diciannove anni,
      sempre, senza interruzione, con animo coraggioso,
      i guerrieri, padri dei nostri padri.
      E nel ventesimo anno, lasciati i pingui campi,

      quelli fuggivano dalle alte cime dell'Itome.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Per un uomo valoroso è bello cadere morto

        Per un uomo valoroso è bello cadere morto
        combattendo in prima fila per la patria;
        abbandonare la propria città e i fertili campi
        e vagare mendico, è di tutte la sorte più misera,
        con la madre errando e con il vecchio padre,
        con i figli piccoli e la moglie.
        Sarà odioso alla gente presso cui giunge,
        cedendo al bisogno e alla detestata povertà:
        disonora la stirpe, smentisce il florido aspetto;
        disprezzo e sventura lo seguono.
        Se, così, dell'uomo randagio non vi è cura,
        né rispetto, neppure in futuro per la sua stirpe,
        con coraggio per questa terra combattiamo, e per i figli
        andiamo a morire, senza più risparmiare la vita.
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          Talor mentre cammino per le strade

          Talor, mentre cammino per le strade
          della città tumultuosa solo,
          mi dimentico il mio destino d'essere
          uomo tra gli altri, e, come smemorato,
          anzi tratto fuor di me stesso, guardo
          la gente con aperti estranei occhi.

          M'occupa allora un puerile, un vago
          senso di sofferenza ed ansietà
          come per mano che mi opprima il cuore.
          Fronti calve di vecchi, inconsapevoli
          occhi di bimbi, facce consuete
          di nati a faticare e a riprodursi,
          facce volpine stupide beate,
          facce ambigue di preti, pitturate
          facce di meretrici, entro il cervello
          mi s'imprimono dolorosamente.
          E conosco l'inganno pel qual vivono,
          il dolore che mise quella piega
          sul loro labbro, le speranze sempre
          deluse,
          e l'inutilità della loro vita
          amara e il lor destino ultimo, il buio.

          Ché ciascuno di loro porta seco
          la condanna d'esistere: ma vanno
          dimentichi di ciò e di tutto, ognuno
          occupato dall'attimo che passa,
          distratto dal suo vizio prediletto.

          Provo un disagio simile a chi veda
          inseguire farfalle lungo l'orlo
          d'un precipizio, od una compagnia
          di strani condannati sorridenti.
          E se poco ciò dura, io veramente
          in quell'attimo dentro m'impauro
          a vedere che gli uomini son tanti.
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            Taci, anima stanca di godere

            Taci, anima stanca di godere
            e di soffrire(all'uno e all'altro vai
            rassegnata)
            Nessuna voce tua odo se ascolto:
            non di rimpianto per la miserabile
            giovinezza, non d'ira o di speranza,
            e neppure di tedio.
            Giaci come
            il corpo, ammutolita, tutta piena
            d'una rassegnazione disperata.
            Non ci stupiremmo,
            non è vero, mia anima, se il cuore
            si fermasse, sospeso se ci fosse
            il fiato...
            Invece camminiamo,
            camminiamo io e te come sonnambuli.
            E gli alberi son alberi, le case
            sono case, le donne
            che passano son donne, e tutto è quello
            che è, soltanto quel che è.
            La vicenda di gioia e di dolore
            non ci tocca. Perduto ha la voce
            la sirena del mondo, e il mondo è un grande
            deserto.
            Nel deserto
            io guardo con asciutti occhi me stesso.
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              Padre, anche se

              Padre, se anche tu non fossi il mio
              padre,
              per te stesso, egualmente t'amerei.
              Ché mi ricordo d'un mattin d'inverno
              che la prima viola sull'opposto
              muro scopristi dalla tua finestra
              e ce ne desti la novella allegro.
              E subito la scala tolta in spalla
              di casa uscisti e l'appoggiavi al muro.
              Noi piccoli dai vetri si guardava.

              E di quell'altra volta mi ricordo
              che la sorella, bambinetta ancora,
              per la casa inseguivi minacciando.
              Ma raggiuntala che strillava forte
              dalla paura, ti mancava il cuore:
              t'eri visto rincorrere la tua
              piccola figlia e, tutta spaventata,
              tu vacillando l'attiravi al petto
              e con carezze la ricoveravi
              tra le tue braccia come per difenderla
              da quel cattivo ch'eri tu di prima.

              Padre, se anche tu non fossi il mio
              padre...
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                Ora che sei venuta

                Ora che sei venuta,
                che con passo di danza sei entrata
                nella mia vita
                quasi folata in una stanza chiusa –
                a festeggiarti, bene tanto atteso,
                le parole mi mancano e la voce
                e tacerti vicino già mi basta.

                Il pigolìo così che assorda il bosco
                al nascere dell'alba, ammutolisce
                quando sull'orizzonte balza il sole.

                Ma te la mia inqietitudine cercava
                quando ragazzo
                nella notte d'estate mi facevo
                alla finestra come soffocato:
                che non sapevo, m'affannava il cuore.
                E tutte tue sono le parole
                che, come l'acqua all'orlo che trabocca,
                alla bocca venivano da sole,

                l'ore deserte, quando s'avanzavan
                puerilmente le mie labbra d'uomo
                da sé, per desiderio di baciare....
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                  Scritta da: Silvana Stremiz
                  Corpo felice, acqua tra le mie mani,
                  volto amato dove contemplo il mondo,
                  dove graziosi uccelli si riflettono in fuga,
                  volando alla regione dove nulla si oblia.

                  La forma che ti veste, di diamante o rubino,
                  brillio di un sole che tra le mie mani abbaglia,
                  cratere che mi attrae con l'intima sua musica,
                  con la chiamata indecifrabile dei denti.

                  Muoio perché m'avvento, perché voglio morire
                  o vivere nel fuoco, perché quest'aria che spira
                  non mi appartiene, è l'alito rovente
                  che se m'accosto brucia e dora le mie labbra dal profondo.

                  Lascia, lascia che guardi, infiammato d'amore,
                  mentre la tua purpurea vita mi arrossa il volto,
                  che guardi nel remoto clamore del tuo grembo
                  dove muoio e rinuncio a vivere per sempre.

                  Voglio amore o la morte, o morire del tutto,
                  voglio essere il tuo sangue, te, la lava ruggente
                  che bagnando frenata estreme membra belle
                  sente così i mirabili confini dell'esistere.
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                    Scritta da: Silvana Stremiz

                    Con Pietà per gli Avidi

                    Riguardo alla lettera in cui mi chiedi
                    di chiamare un prete
                    e di mettermi il Crocefisso che mi mandi -
                    il tuo crocefisso
                    il crocefisso roso dal cane,
                    non più largo d'un pollice,
                    di legno e senza spine, questa rosa:

                    io prego la sua ombra,
                    il luogo grigio - profondissimo -
                    dove si trova, sopra la tua lettera.
                    Odio i miei peccati e mi sforzo di credere
                    nel Crocefisso. Tocco le sue tenere anche, le mascelle scure,
                    il collo solido, il suo sonno bruno.

                    È vero, c'è
                    un Gesù, bello,
                    raggelato fino al midollo come un pezzo di manzo.
                    Ha una voglia disperata di chiudere le braccia
                    e io ne tocco disperata l'asse verticale e orizzontale.
                    Ma non posso: il bisogno non è esattamente fede.

                    Ho portato il tuo crocefisso
                    tutta la mattina
                    legato al collo con uno spago.
                    Ne sentivo il battito lieve come il cuore di un bimbo,
                    che in dolce attesa di nascere pulsa indirettamente.
                    Ruth, mi è cara la tua lettera.
                    Amica mia, io sono nata
                    compilando bibliografie sul peccato,
                    e confessandolo. Le poesie sono questo:
                    con pietà
                    per gli avidi,
                    sono le liti della lingua,
                    il minestrone del mondo, l'astro del sorcio.
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