Poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

Per Teeo di Argo lottatore

Mutando a vicenda la sorte,
essi un giorno dimorano presso Zeus,
il padre diletto; un altro, nelle cavità della terra,
nei recessi di Terapne,
compiendo un uguale destino. Questa vita
scelse Polluce, più che essere in tutto un dio
e abitare nel cielo, poi che era morto
Castore in guerra.
L'aveva trafitto Ida
irato per i buoi, con la punta della lancia di bronzo.
Dal Taigeto, spiando, Linceo
lo scorse acquattato nel cavo
di un tronco di quercia: ché di tutti i mortali
egli aveva più acuto
lo sguardo. Con corsa veloce subito
lo raggiunsero, e ordirono in breve il grande misfatto.
Ma dalle mani di Zeus una pena terribile patirono
gli Afaretidi. Inseguendo,
giunse presto il figlio di Leda; ed essi si opposero
a lui presso la tomba del padre.
Divelta di qui una pietra levigata, ornamento di Ade,
la scagliarono contro il petto a Polluce; ma non lo schiacciarono
né lo respinsero. Balzò egli con la lancia veloce,
e immerse il bronzo nel fianco a Linceo.
Contro Ida scagliò Zeus il suo fulmine, portatore di fuoco, fumoso:
insieme essi arsero, in solitudine. Difficile è per i mortali
lottare coi più forti.
Sùbito il figlio di Tindaro
tornò indietro presso il forte fratello:
non morto ancora, ma per l'affanno
scosso da rantoli convulsi lo trovò.
Versando lacrime calde, tra i gemiti,
gridò: "Padre Cronide, quale rimedio sarà
ai miei dolori? Ordina anche a me,
insieme a lui, la morte, o Signore.
Per l'uomo privato dei suoi cari
perduta è la gloria: nell'affanno, sono pochi i mortali
che, fedeli, partecipano alle pene". Così
disse. Zeus davanti gli venne
e pronunciò queste parole: "Tu sei mio figlio;
poi, congiuntosi alla madre tua
l'eroe suo sposo stillo
il seme mortale. Ma orsù, questa scelta
io ti concedo: se evitata la morte
e la vecchiezza aborrita,
tu vuoi abitare con me nell'Olimpo,
con Atena e con Ares dalla lancia nera,
è possibile a te questa sorte. Ma se per il fratello combatti,
e ogni cosa pensi dividere con lui in parte uguale,
metà del tempo vivrai sotto la terra,
e metà nelle dimore d'oro del cielo".
Così parlò. E Polluce non pose alla mente un duplice pensiero:
sciolse l'occhio e poi la voce
di Castore dalla cintura di bronzo.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Condannato a morte

    Il condannato a morte nella sua cella immagina
    il proprio spazio di quattro metri per quattro come un grande paese.
    Suppone che i rilievi del pavimento sono gli accidenti del terreno
    e una lunga fila di formiche è la carovana di automobili che fugge dalla città. Lui è Dio e ha compassione di quelli che si trovano là sotto,
    di quelli che sono fuori, perché non hanno tempo per sognare
    e hanno bisogno di molti oggetti per sentirsi bene.
    S'inventa una storia e ci si diverte con la libertà che manca agli umani.
    Ride. Con la pena capitale fissata per il giorno dopo possiede un altro vantaggio sul mondo: conosce l'ora esatta della propria morte.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Lo viso mi fa andare alegramente

      Lo viso mi fa andare alegramente,
      lo bello viso mi fa rinegare;
      lo viso me conforta ispesament[e],
      l'adorno viso che mi fa penare.
      Lo chiaro viso de la più avenente,
      l'adorno viso, riso me fa fare:
      di quello viso parlane la gente,
      che nullo viso [ a viso ] li po' stare.
      Chi vide mai così begli ochi in viso,
      né sì amorosi fare li sembianti,
      né boca con cotanto dolce riso?
      Quand'eo li parlo moroli davanti,
      e paremi ch'ì vada in paradiso,
      e tegnomi sovrano d'ogn'amante.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Amor è uno desio che ven da core

        Amor è un[o] desio che ven da core
        per abondanza di gran piacimento;
        e li occhi in prima genera[n] l'amore
        e lo core li dà nutricamento.
        Ben è alcuna fiata om amatore
        senza vedere so 'namoramento,
        ma quell'amor che stringe con furore
        da la vista de li occhi à nas[ci]mento.
        Che li occhi rapresenta[n] a lo core
        d'onni cosa che veden bono e rio,
        com'è formata natural[e]mente;
        e lo cor, che di zo è concepitore,
        imagina, e piace quel desio:
        e questo amore regna fra la gente.
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          Diamante, né smiraldo, né zafino

          Diamante, né smiraldo, né zafino,
          né vernul'altra gema preziosa,
          topazo, né giaquinto, né rubino,
          né l'aritropia, ch'è sì vertudiosa,
          né l'amatisto, né 'l carbonchio fino,
          lo qual è molto risprendente cosa,
          non àno tante belezze in domino
          quant'à in sé la mia donna amorosa.
          E di vertute tutte l'autre avanza,
          e somigliante [ a stella è ] di sprendore,
          co la sua conta e gaia inamoranza,
          e più bell'e[ste] che rosa e che frore.
          Cristo le doni vita ed alegranza,
          e sì l'acresca in gran pregio ed onore.
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            La stella

            Perdettero la stella un giorno.
            Come si a perdere
            La stella? Per averla troppo a lungo fissata…
            I due re bianchi,
            ch'eran due sapienti di Caldea,
            tracciaron al suolo dei cerchi, col bastone.

            Si misero a calcolare, si grattarono il mento…
            Ma la stella era svanita come svanisce un'idea,
            e quegli uomini, la cui anima
            aveva sete d'essere guidata,
            piansero innalzando le tende di cotone.

            Ma il povero re nero, disprezzato dagli altri,
            si disse: " Pensiamo alla sete che non è la nostra.
            Bisogna dar da bere, lo stesso, agli animali":

            E mentre sosteneva il suo secchio per l'ansa,
            nello specchio di cielo
            in cui bevevano i cammelli
            egli vide la stella d'oro che danzava in silenzio.
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