Poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz
My Wars are laid away in Books -
I have one Battle more -
A Foe whom I have never seen
But oft has scanned me o'er -
And hesitated me between
And others at my side,
But chose the best - Neglecting me - till
All the rest have died -
How sweet if I am not forgot
By Chums that passed away -
Since Playmates at threescore and ten
Are such a scarcity.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Ridotto a me stesso?

    Ridotto a me stesso?
    Morto l'interlocutore?
    O morto io,
    l'altro su di me
    padrone del campo, l'altro,
    universo, parificatore...
    o no,
    niente di questo:
    il silenzio raggiante
    dell'amore pieno,
    della piena incarnazione
    anticipato da un lampo? -
    penso
    se è pensare questo
    e non opera di sonno
    nella pausa solare
    del tumulto di adesso.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Per mare

      Nel più alto punto
      dove scienza è oblìo d'ogni sapere
      e certezza, mi dicono,
      certezza irrefutabile venuta incontro

      o nel tempo appeso a un filo
      d'un riacquisto d'infanzia,

      tra sonno e veglia, tra innocenza e colpa,

      dove c'è e non c'è opera nostra voluta e scelta.

      "La salute della mente
      è là" dice una voce
      con cui contendo da anni,
      una voce che ora è di sirena.

      Si naviga tra Sardegna e Corsica.
      C'è un po' di mare
      e la barca appruata scarricchia.
      L'equipaggio dorme. Ma due
      vegliano nella mezzaluce della plancia.
      È passato agosto; Siamo alla rottura dei tempi.
      È una notte viva.
      Viva più di questa notte,
      viva tanto da serrarmi la gola
      è la muta confidenza
      di quelli che riposano
      si curi in mano d'altri
      e di questi che non lasciano la manovra e il calcolo

      mentre pregano per i loro uomini in mare
      da un punto oscuro della costa, mentre arriva
      dalla parte del Rodano qualche raffica.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        L'India

        Tace ora, mi chiedo se oppressa dal suo Karma,
        (so della sua vita, del nome che le dà, e del senso)
        mentre mostra a lungo lo schermo
        sul selciato una moltitudine
        stecchita in una posa tra sonno e morte
        levarsi a stento in preghiera e spulciarsi nell'alba.
        Né forse la colpisce il primo aspetto
        ma un altro più recondito, e vede
        una giustizia di diverso stampo
        in quella sofferenza di paria
        orrida eppure non abietta, e nella sua che le scende addosso.

        "Avere o non avere la sua parte in questa vita"
        riemerge in parole il suo pensiero - ma solo un lembo.
        E io ne tiro a me quella frangia
        ansioso mi confidi tutto l'altro,
        attento non mi rubi niente
        di lei, neppure l'amarezza, ed attendo.
        S'interrompe invece. Seguono altre immagini dell'India
        e nel loro riverbero le colgo
        un sorriso estremo tra di vittima e di bimba
        quasi mi lasci quella grazia in pegno
        di lei mentre si eclissa nella sua pena
        e l'idea di se stessa le muore dentro.

        "Perché porti quel giogo, perché non insorgi"
        mi trattengo appena dal gridarle,
        soffrendo perché soffre, certo,
        ma più ancora perché lascia la presa
        della mia tenerezza non saziata e piglia il largo piangendo;
        "Ascoltami" comincio a mormorarle
        e già penso al chiarore della sala dopo il technicolor
        e a lei che sul punto di partire
        mi guarda da dietro la lampada
        della sua solitudine tenuta alzata di fronte.

        "Mario" mi previene lei che indovina il resto. "Ancora
        levi come una spada, buona a che?,
        lo sdegno per le cose che ti resistono.
        Uomo chiuso all'intelligenza del diverso,
        negato all'amore: del mondo, intendo, di Dio dunque"
        e indulge a una smorfia fine di scherno
        per se stessa salita sul pulpito, e quasi si annulla.

        "Davvero vorrei tu avessi vinto"
        le dico con affetto incontenibile, più tardi,
        mentre scorre in un brusio d'api, nel film senza commento, l'India.
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          Il Giudice

          "Credi che il tuo sia vero amore? Esamina
          a fondo il tuo passato" insiste lui
          saettando ben addentro
          la sua occhiata di presbite tra beffarda e strana.
          E aspetta. Mentre io guardo lontano
          ed altro non mi viene in mente
          che il mare fermo sotto il volo dei gabbiani
          sfrangiato appena tra gli scogli dell'isola,
          dove una terra nuda si fa ombra
          con le sue gobbe o un'altra preparata a semina
          si fa ombra con le sue zolle e con pochi fili.
          "Certo, posso aver molto peccato"
          rispondo infine aggrappandomi a qualcosa,
          sia pure alle mie colpe, in quella luce di brughiera.
          "Piangere, piangere dovresti sul tuo amore male inteso"
          riprende la sua voce con un fischio
          di raffica sopra quella landa passando alta.
          L'ascolto e neppure mi domando
          perché sia lui e non io di là da questo banco
          occupato a giudicare i mali del mondo.
          "Può darsi" replico io mentre già penso ad altro,
          mentre la via s'accende scaglia a scaglia
          e qui nel bar il giorno ancora pieno
          sfolgora in due pupille di giovinetta che si sfila il grembio
          per le ore di libertà e l'uomo che le ha dato il cambio
          indossa la gabbana bianca e viene
          verso di noi con due bicchieri colmi,
          freschi, da porre uno di qua uno di là sopra il nostro tavolo.
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            A mia madre dalla sua casa

            M'accoglie la tua vecchia, grigia casa
            steso supino sopra un letto angusto,
            forse il tuo letto per tanti anni. Ascolto,
            conto le ore lentissime a passare,
            più lente per le nuvole che solcano
            queste notti d'agosto in terre avare.

            Uno che torna a notte alta dai campi
            scambia un cenno a fatica con i simili,
            infila l'erta, il vicolo, scompare
            dietro la porta del tugurio. L'afa
            dello scirocco agita i riposi,
            fa smaniare gli infermi ed i reclusi.

            Non dormo, seguo il passo del nottambulo
            sia demente sia giovane tarato
            mentre risuona sopra pietre e ciottoli;
            lascio e prendo il mio carico servile
            e scendo, scendo più che già non sia
            profondo in questo tempo, in questo popolo.
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              Questa felicità

              Questa felicità promessa o data
              m'è dolore, dolore senza causa
              o la causa se esiste è questo brivido
              che sommuove il molteplice nell'unico
              come il liquido scosso nella sfera
              di vetro che interpreta il fachiro.
              Eppure dico: salva anche per oggi.
              Torno torno le fanno guerra cose
              e immagini su cui cala o si leva
              o la notte o la neve
              uniforme del ricordo.
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                Uccelli

                Il vento è un'aspra voce che ammonisce
                per noi stuolo che a volte trova pace
                e asilo sopra questi rami secchi.
                E la schiera ripiglia il triste volo,
                migra nel cuore dei monti, viola
                scavato nel viola inesauribile,
                miniera senza fondo dello spazio.
                Il volo è lento, penetra a fatica
                nell'azzurro che s'apre oltre l'azzurro,
                nel tempo ch'è di là dal tempo; alcuni
                mandano grida acute che precipitano
                e nessuna parete ripercuote.
                Che ci somiglia è il moto delle cime
                nell'ora - quasi non si può pensare
                né dire - quando su steli invisibili
                tutt'intorno una primavera strana
                fiorisce in nuvole rade che il vento
                pasce in un cielo o umido o bruciato
                e la sorte della giornata è varia,
                la grandine, la pioggia, la schiarita.
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                  Scritta da: Silvana Stremiz

                  Notizie a Giuseppina dopo tanti anni

                  Che speri, che ti riprometti, amica,
                  se torni per così cupo viaggio
                  fin qua dove nel sole le burrasche
                  hanno una voce altissima abbrunata,
                  di gelsomino odorano e di frane?

                  Mi trovo qui a questa età che sai,
                  né giovane né vecchio, attendo, guardo
                  questa vicissitudine sospesa;
                  non so più quel che volli o mi fu imposto,
                  entri nei miei pensieri e n'esci illesa.

                  Tutto l'altro che deve essere è ancora,
                  il fiume scorre, la campagna varia,
                  grandina, spiove, qualche cane latra
                  esce la luna, niente si riscuote,
                  niente dal lungo sonno avventuroso.
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                    Scritta da: Silvana Stremiz

                    Nulla di ciò che accade e non ha volto

                    Nulla di ciò che accade e non ha volto
                    e nulla che precipiti puro, immune da traccia,
                    percettibile solo alla pietà
                    come te mi significa la morte.
                    Il vento ricco oscilla corrugato
                    sui vetri, finge estatiche presenze
                    e un oriente bianco s'esala
                    nei quadrivi di febbre lastricati.
                    Dalla pioggia alle candide schiarite
                    si levano allo sguardo variopinto
                    blocchi d'aria in festevoli distanze.
                    Apparire e sparire è una chimera.
                    È questa l'ora tua, è l'ora di quei re
                    sismici il cui trono è il movimento,
                    insensibili se non al freddo di morte
                    che lasciano nel sangue all'improvviso.
                    Loro sede fulminea è qualche specchio
                    assorto nella sera, ivi s'incontrano,
                    ivi si riconoscono in un battito.
                    Sei certa ed ingannevole, è vano ch'io ti cerchi,
                    ti persegua di là dai fortilizi,
                    dalle guglie riflesse negli asfalti,
                    nei luoghi ove l'amore non può giungere
                    né la dimenticanza di se stessi.
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