Era impossibile da immaginare, impossibile da non immaginare; la sua azzurrezza, l'ombra che lasciava, che cadeva, riempiva l'oscurità del proprio freddo, il suo freddo che cadeva fuori da se stesso, fuori da qualsiasi idea di sé descrivesse nel cadere; un qualcosa, una minuzia, una macchia, un punto, un punto in un punto, un abisso infinito di minuzia; una canzone, ma meno di una canzone, qualcosa che affoga in sé, qualcosa che va, un'alluvione di suono, ma meno di un suono; la sua fine, il suo vuoto, il suo tenero, piccolo vuoto che colma la sua eco, e cade, e si alza, inavvertito, e cade ancora, e così sempre, e sempre perché, e solo perché, essendo stato, era...
Era l'inizio di una sedia; era il divano grigio; era i muri, il giardino, la strada di ghiaia; era il modo in cui i ruderi di luna le crollavano sulla chioma. Era quello, ed era altro ancora; era il vento che azzannava gli alberi; era la congerie confusa di nubi, la bava di stelle sulla riva. Era l'ora che pareva dire che se sapevi in che punto esatto del tempo si era, non avresti mai più chiesto nulla. Era quello. Senz'altro era quello. Era anche l'evento mai avvenuto – un momento tanto pieno che quando se ne andò, come doveva, nessun dolore riusciva a contenerlo. Era la stanza che pareva la stessa dopo tanti anni. Era quello. Era il cappello dimenticato da lei, la penna che lei lasciò sul tavolo. Era il sole sulla mia mano. Era il caldo del sole. Era come sedevo, come attendevo per ore, per giorni. Era quello. Solo quello.
Una notte chiara, mentre gli altri dormivano, ho salito le scale fino al tetto della casa e sotto un cielo fitto di stelle ho scrutato il mare, la sua distesa, il moto delle sue creste spazzate dal vento, divenire come pezzi di trina gettati in aria. Sono rimasto nella lunga notte piena di sussurri, aspettando qualcosa, un segno, l'avvicinarsi di una luce lontana, e ho immaginato che tu venivi vicino, le onde scure dei tuoi capelli mescolarsi col mare, e l'oscurità è divenuta desiderio, e desiderio la luce che approssimava. La vicinanza, il calore momentaneo di te mentre rimanevo su quell'altezza solitaria guardando il lento gonfiarsi del mare rompersi sulla riva e in breve mutare in vetro e scomparire... Perché ho creduto che saresti venuta uscita dal nulla? Perché con tutto quello che il mondo offre saresti venuta solo perché io ero qui?
Sono entrambi convinti che un sentimento improvviso li unì. È bella una tale certezza ma l'incertezza è più bella.
Non conoscendosi prima, credono che non sia mai successo nulla fra loro. Ma che ne pensano le strade, le scale, i corridoi dove da tempo potevano incrociarsi?
Vorrei chiedere loro se non ricordano - una volta un faccia a faccia forse in una porta girevole? Uno "scusi" nella ressa? Un "ha sbagliato numero" nella cornetta? - ma conosco la risposta. No, non ricordano.
Li stupirebbe molto sapere che già da parecchio il caso stava giocando con loro.
Non ancora del tutto pronto a mutarsi per loro in destino, li avvicinava, li allontanava, gli tagliava la strada e soffocando un risolino si scansava con un salto.
Vi furono segni, segnali, che importa se indecifrabili. Forse tre anni fa o il martedì scorso una fogliolina volò via da una spalla all'altra? Qualcosa fu perduto e qualcosa raccolto. Chissà, era forse la palla tra i cespugli dell'infanzia?
Vi furono maniglie e campanelli in cui anzitempo un tocco si posava sopra un tocco. Valigie accostate nel deposito bagagli. Una notte, forse, lo stesso sogno, subito confuso al risveglio.
Ogni inizio infatti è solo un seguito e il libro degli eventi è sempre aperto a metà.
Dove sono andata quel giorno, che cosa ho fatto – non lo so.
Se lì vicino fosse stato commesso un delitto - non avrei un alibi.
Il sole sfolgorò e si spense Senza che ci facessi caso. La terra ruotò e non ne presi nota.
Mi sarebbe più lieve pensare Di essere morta per poco, piuttosto che ammettere di non ricordare nulla benché sia vissuta senza interruzioni.
Non ero un fantasma, dopotutto, respiravo, mangiavo, si sentiva il rumore dei miei passi, e le impronte delle mie dita dovevano restare sulle maniglie.
Lo specchio rifletteva la mia immagine. Indossavo qualcosa d'un qualche colore. Certamente più d'uno mi vide,
Forse quel giorno Trovai una cosa andata perduta. Forse ne persi una trovata poi.
Ero colma di emozioni e impressioni. Adesso tutto questo è come Tanti puntini tra parentesi.
Dove mi ero rintanata, dove mi ero cacciata – niente male come scherzetto perdermi di vista così.
Scuoto la mia memoria – Forse tra i suoi rami qualcosa Addormentato da anni Si leverà con un frullo.
I miei pensieri sono qualcosa che la mia anima teme. Fremo per la mia allegria. A volte mi sento invadere da una vaga, fredda, triste, implacabile quasi-concupiscente spiritualità.
Mi fa tutt'uno con l'erba. La mia vita sottrae colore a tutti i fiori. La brezza che sembra restia a passare scrolla dalle mie ore rossi petali e il mio cuore arde senza pioggia.
Poi Dio diventa un mio vizio e i divini sentimenti un abbraccio che annega i miei sensi nel suo vino e non lascia contorni nei miei modi di vedere Dio fiorire, crescere e splendere.
I miei pensieri e sentimenti si confondono e formano una vaga e tiepida anima-unità. Come il mare che prevede una tempesta, un pigro dolore e un'inquietudine fanno di me il mormorio di un incalzante stormo.
I miei inariditi pensieri si mescolano e occupano le loro interpresenze, e usurpano gli uni il posto degli altri. Non distinguo nulla in me tranne l'impossibile amalgama delle molte cose che sono.
Sono un bevitore dei miei pensieri l'essenza dei miei sentimenti inonda la mia anima... La mia volontà vi si impregna. Poi la vita ferma un sogno e fa sfiorire la bellezza nel dolore dei miei versi.
Vieni, Notte antichissima e identica, Notte Regina nata detronizzata, Notte internamente uguale al silenzio, Notte con le stelle, lustrini rapidi sul tuo vestito frangiato di Infinito.
Vieni vagamente, vieni lievemente, vieni sola, solenne, con le mani cadute lungo i fianchi, vieni e porta i lontani monti a ridosso degli alberi vicini, fondi in un campo tuo tutti i campi che vedo, fai della montagna un solo blocco del tuo corpo, cancella in essa tutte le differenze che vedo da lontano di giorno, tutte le strade che la salgono, tutti i vari alberi che la fanno verde scuro in lontananza,
tutte le case bianche che fumano fra gli alberi e lascia solo una luce, un'altra luce e un'altra ancora, nella distanza imprecisa e vagamente perturbatrice, nella distanza subitamente impossibile da percorrere.
Nostra Signora delle cose impossibili che cerchiamo invano, dei sogni che ci visitano al crepuscolo, alla finestra, dei propositi che ci accarezzano sulle ampie terrazze degli alberghi cosmopoliti sul mare, al suono europeo delle musiche e delle voci lontane e vicine, e che ci dolgono perché sappiamo che mai li realizzeremo.
Vieni e cullaci, vieni e consolaci, baciaci silenziosamente sulla fronte, cosi lievemente sulla fronte che non ci accorgiamo d'essere baciati se non per una differenza nell'anima e un vago singulto che parte misericordiosamente dall'antichissimo di noi laddove hanno radici quegli alberi di meraviglia i cui frutti sono i sogni che culliamo e amiamo, perché li sappiamo senza relazione con ciò che ci può essere nella vita.
Vieni solennissima, solennissima e colma di una nascosta voglia di singhiozzare, forse perché grande è l'anima e piccola è la vita, e non tutti i gesti possono uscire dal nostro corpo, e arriviamo solo fin dove arriva il nostro braccio e vediamo solo fin dove vede il nostro sguardo.
Vieni, dolorosa, Mater Dolorosa delle Angosce dei Timidi, Turris Eburnea delle Tristezze dei Disprezzati, fresca mano sulla fronte febbricitante degli Umili, sapore d'acqua di fonte sulle labbra riarse degli Stanchi.
Vieni, dal fondo dell'orizzonte livido, vieni e strappami dal suolo dell'angustia in cui io vegeto, dal suolo di inquietudine e vita-di-troppo e false sensazioni dal quale naturalmente sono spuntato.
Coglimi dal mio suolo, margherita trascurata, e fra erbe alte margherita ombreggiata, petalo per petalo leggi in me non so quale destino e sfogliami per il tuo piacere, per il tuo piacere silenzioso e fresco.
Un petalo di me lancialo verso il Nord, dove sorgono le città di oggi il cui rumore ho amato come un corpo. Un altro petalo di me lancialo verso il Sud dove sono i mari e le avventure che si sognano.
Un altro petalo verso Occidente, dove brucia incandescente tutto ciò che forse è il futuro, e ci sono rumori di grandi macchine e grandi deserti rocciosi dove le anime inselvatichiscono e la morale non arriva.
E l'altro, gli altri, tutti gli altri petali – oh occulto rintocco di campane a martello nella mia anima! – affidali all'Oriente, l'Oriente da cui viene tutto, il giorno e la fede, l'Oriente pomposo e fanatico e caldo, l'Oriente eccessivo che io non vedrò mai, l'Oriente buddhista, bramanico, scintoista, l'Oriente che è tutto quanto noi non abbiamo, tutto quanto noi non siamo, l'Oriente dove – chissà – forse ancor oggi vive Cristo, dove forse Dio esiste corporalmente imperando su tutto...
Vieni sopra i mari, sopra i mari maggiori, sopra il mare dagli orizzonti incerti, vieni e passa la mano sul suo dorso ferino, e calmalo misteriosamente, o domatrice ipnotica delle cose brulicanti!
Vieni, premurosa, vieni, materna, in punta di piedi, infermiera antichissima che ti sedesti al capezzale degli dei delle fedi ormai perdute, e che vedesti nascere Geova e Giove, e sorridesti perché per te tutto è falso, salvo la tenebra e il silenzio, e il grande Spazio Misterioso al di la di essi... Vieni, Notte silenziosa ed estatica, avvolgi nel tuo mantello leggero il mio cuore... Serenamente, come una brezza nella sera lenta, tranquillamente, come un gesto materno che rassicura, con le stelle che brillano (o Travestita dell'Oltre!), polvere di oro sui tuoi capelli neri, e la luna calante, maschera misteriosa sul tuo volto.
Tutti i suoni suonano in un altro modo quando tu giungi Quando tu entri ogni voce si abbassa Nessuno ti vede entrare Nessuno si accorge di quando sei entrata, se non all'improvviso, nel vedere che tutto si raccoglie, che tutto perde i contorni e i colori, e che nel cielo alto, ancora chiaramente azzurro e bianco all'orizzonte, già falce nitida, o circolo giallastro, o mero diffuso biancore, la luna comincia il suo giorno.
Sia lode al dubbio! Vi consiglio, salutate serenamente e con rispetto chi come moneta infida pesa la vostra parola! Vorrei che foste accorti, che non deste con troppa fiducia la vostra parola.
Leggete la storia e guardate in fuga furiosa invincibili eserciti. In ogni luogo fortezze indistruttibili rovinano e anche se innumerabile era l'armata salpando, le navi che tornarono le si poté contare. Fu così un giorno un uomo sulla inaccessibile vetta e giunse una nave alla fine dell'infinito mare.
Oh bello lo scuoter del capo su verità incontestabili! Oh il coraggioso medico che cura l'ammalato senza speranza!
Ma d'ogni dubbio il più bello è quando coloro che sono senza fede, senza forza, levano il capo e alla forza dei loro oppressori non credono più!
Oh quanta fatica ci volle per conquistare il principio! Quante vittime costò! Com'era difficile accorgersi che fosse così e non diverso! Con un respiro di sollievo un giorno un uomo nel libro del sapere lo scrisse.
Forse a lungo là dentro starà e più generazioni ne vivranno e in quello vedranno un'eterna sapienza e spezzeranno i sapienti chi non lo conosce. Ma può avvenire che spunti un sospetto, di nuove esperienze, che quella tesi scuotano. Il dubbio si desta. E un altro giorno un uomo dal libro del sapere gravemente cancella quella tesi.
Intronato dagli ordini, passato alla visita d'idoneità da barbuti medici, ispezionato da esseri raggianti di fregi d'oro, edificato da solennissimi preti, che gli sbattono alle orecchie un libro redatto da Iddio in persona, erudito da impazienti pedagoghi, sta il povero e ode che questo mondo è il migliore dei mondi possibili e che il buco nel tetto della sua stanza è stato proprio previsto da Dio. Veramente gli è difficile dubitare di questo mondo. Madido di sudore si curva l'uomo che costruisce la casa dove non lui dovrà abitare.
Ma sgobba madido di sudore anche l'uomo che la propria casa si costruisce. Sono coloro che non riflettono, a non dubitare mai. Splendida è la loro digestione, infallibile il loro giudizio. Non credono ai fatti, credono solo a se stessi. Se occorre, tanto peggio per i fatti. La pazienza che han con se stessi è sconfinata. Gli argomenti li odono con gli orecchi della spia.
Con coloro che non riflettono e mai dubitano si incontrano coloro che riflettono e mai agiscono. Non dubitano per giungere alla decisione, bensì per schivare la decisione. Le teste le usano solo per scuoterle. Con aria grave mettono in guardia dall'acqua i passeggeri dl navi che affondano. Sotto l'ascia dell'assassino si chiedono se anch'egli non sia un uomo.
Dopo aver rilevato, mormorando, che la questione non è ancora sviscerata vanno a letto. La loro attività consiste nell'oscillare. Il loro motto preferito è: l'istruttoria continua.
Certo, se il dubbio lodate non lodate però quel dubbio che è disperazione! Che giova poter dubitare, a colui che non riesce a decidersi! Può sbagliare ad agire chi di motivi troppo scarsi si contenta! Ma inattivo rimane nel pericolo chi di troppi ha bisogno.
Tu, tu che sei una guida, non dimenticare che tale sei, perché hai dubitato delle guide! E dunque a chi è guidato permetti il dubbio!
Non è la prima. Prima ci sono state altre guerre. Alla fine dell'ultima c'erano vincitori e vinti. Fra i vinti la povera gente faceva la fame. Fra i vincitori faceva la fame la povera gente egualmente.
Hai detto: "Per altre terre andrò, per altro mare. Altra città, più amabile di questa, dove ogni mio sforzo è votato al fallimento, dove il mio cuore come un morto sta sepolto, ci sarà pure. Fino a quando patirò questa mia inerzia? Dei lunghi anni, se mi guardo attorno, della mia vita consumata qui, non vedo che nere macerie e solitudine e rovina".
Non troverai altro luogo non troverai altro mare. La città ti verrà dietro. Andrai vagando per le stesse strade. Invecchierai nello stesso quartiere. Imbiancherai in queste stesse case. Sempre farai capo a questa città. Altrove, non sperare, non c'è nave non c'è strada per te. Perché sciupando la tua vita in questo angolo discreto tu l'hai sciupata su tutta la terra.