Intervista ad uno zingaro
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...pensare annunciandomi l'arrivo dello "zingaro"; lo vedo presentarsi in magliettina verde e jeans, un largo sorriso e dei ritagli di giornale di stampa nazionale che parlavano di lui.
"Sono importante, parlano di me". Era così bello vederlo sperare che sembrava prestarmene un raggio per sentirmi una donna migliore.
Le confidenze che ci scambiammo quell'ultima mattina riguardavano il suo futuro; sembrava non volesse più parlare di quello che era stato bensì di quello che voleva essere.
Inventarsi un futuro, una nuova identità non era cosa facile e anche se non lo ammetteva dai suoi occhi emergeva sempre un "perché" riferito a sua madre.
Quella mattina mi confessò che sarebbe tornato in Bosnia quando sarebbe finito il programma di protezione: voleva salvare la sua famiglia, portarla a vivere in Italia e lavorare per loro per creare quel calore che cercava.
Ci salutammo e mi ringraziò.
Il mio articolo venne pubblicato e segnò l'inizio che avevo sperato.
Con Gimmy non parlammo mai di ciò che era successo ai suoi aguzzini; la sua vita rimase comunque blindata e tempo dopo seppe che "loro" erano stati condannati a otto anni e mezzo di reclusione in virtù dell'articolo 600 del Codice Civile; ed è con esso che voglio concludere questo racconto, in attesa di un verdetto unico e inappellabile che di Eternità odora.
Art. 600: "Non v'è dubbio che l'avere acquisito, mediante cessione o rapimento, la padronanza assoluta su dei bambini tenendoli in stato di soggezione e costringendoli a rubare... rappresenta una evidente privazione totale dell'altrui libertà e una sottomissione al proprio potere e alla propria disponibilità che dà luogo a una situazione del tutto analoga a quella della schiavitù".
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