Quelli come me...
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Esisto costantemente in un panta rei che serve a tutto tranne che a gettarmi in una felicità per lo meno provvisoria.
E, paradossalmente, mi rendo conto di esistere solo perché mi accorgo di ciò. Potrei allora ipotizzare, in uno scempio d'intelligenza divina, l'assurda novità che mi concederebbe la non esistenza. In fondo la vita ci è cara perché si è realmente vivi: giacché la mia mi soddisfa così poco e mi riempie di vuoto ogni secondo di più, non vedo il motivo per cui apprezzarla. Voglio dire, perché rasentare la banalità di uno sciocco luogo comune? Quindi per transitività potrei affermare che l'inconcludenza di cui mi sento parte è in verità la mia stessa essenza.
E non sto qui a dilungarmi in inopportune spiegazioni.
Cosicché sono giunto al punto in cui mi rendo conto che apprezzare l'inconcludenza equivarrebbe ad accettare il panta rei che tanto mi priva di gioia: non accetto dunque la mia vita in quanto essere senziente. Ma non è forse la vita un dono caro ai viventi stessi?
Dunque devo credermi morto. O almeno non del tutto vivo. Allora sì che questa sceneggiata avrebbe senso. Non sarei più un qualcosa di anomalo, ma sarei dunque un essere superiore,... [segue »]
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