Ciao Vincenzo. Vedo ch'ultimamente qui è di moda bannart'i commenti. La netiquette impone la propria ipocrisia: rispetto a parole, dispetto coi voti negativi e pollici versi nei fatti.
7 anni e 7 mesi fa
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Quand'il problema è sistemico e pandemico, le soluzioni singol'e locali com'"accendere la luce dentr'ognuno di noi" ricordano i lumini in un cimitero di notte.
7 anni e 7 mesi fa
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Mi (e vi) chiedo: sicuri ch'i Pere Ubu abbiano ragione? Impostat'il problema nei loro modo, c'azzeccan'o si precludon'ogni possibilità residua? È giusto demonizzar'i sostantivi invece degl'articoli (indeterminativi piuttosto che determinativi)? C'è una differenza radicale fra "Don't need a cure. Need a final solution" e "Don't need A cure/solution. Need The cure/solution": forse si passa dal sintomatico/palliativo al terapeutico definitivo/ultimativo/finale, e grazie non più a una contrapposizione netta, bensì a una (chiamatela, se volete) "analogia entis". Più di preciso, si potrebb'ipotizzare che non vadano criminalizzati cura/terapia/rimedio/soluzione: s'essi finor'hanno fallit'o addirittura peggiorato (entropicamente) le cose, forse non è per una loro problematicità intrinseca da teologia negativa, ma in quanto sono sempre stati applicati troppo tardi, successivamente all'irrompere del disastro ofitico (linguaggio biblico) aka del primigenio trauma psicocerebrale (linguaggio scientifico). S'esistesse una condizione ancor più precoce, preofitica e pretraumatica (quell'abbozzata sin'a Gn 2, 25), forse si potrebb'evitare l'innesco del passaggio dall'ipotetico sorgivo ruolo vittimario all'identificazione col carnefic'e dunque all'aggressività come meccanismo di difesa che da lì in poi segn'il resto delle nostre vite riducendole a un unico fiotto sintomatico: ripartendo da questa presunt'anteriorità rispett'al contagio col male, forse ci sarebbe permessa l'omogenesi dei fini lasciando la "négativité sans emploi".
Inoltre una simile prospettiva potrebbe risultare più esauriente nel capire la fenomenologia amorosa esperita da tutti: ci s'innamora dello "iam" e del "nondum", cioè di quel barlume d'innocente vittimarietà ch'una sensibilità spiccata riesce a cogliere nel passato più remoto e nella potenzialità futura più rosea delle persone, di noi stessi e degl'altri. Però il barlume resta tal'e svanisce nell'ennesimo Tabor precario, transitorio, effimero (la c.d. "primizia della Grazia"), nel "sasso nello stagno", nell'apertura-chiusura del Mar Rosso, nella dinamica illusione-delusione, in un evento ultraelastico ch'ipercontrobilancia l'affetto con la disaffezion'e l'elaborazione del lutto, sempr'e comunque a causa d'una tempistica sbagliata. La superadditività fra 2 o più traumatizzati non potrà mai condurre se non a un epilogo crocifiggent'e martirizzante. Cos'altro aspettarsi fra persone malate/già contagiate dal trauma psicoencefalico se non relazioni altrettanto malate? Coazione a ripetere, sì, ma nel senso qui accennato: un perseverare più ch'inutile, pernicioso, per motivi di tempistica. E s'invece fosse plausibile la diversità d'un incipit pre-traumatico/ofitico? È la Bibbia, non la scienza, ad alludere fin'a Gn 2, 25 a una "way out": sino a quel punto ci sarebbe disponibile l'accesso all'albero della vita. Il che significa ch'Atropo non irromperebbe a causa di Cloto, la "morte e morte di croce" di Filippesi 2, 8 non sarebb'inesorabilmente dovuta al semplice fatto della nascita, concepimento, "fiat" dell'"Annunciazione", gettatezza nel mondo. Sarebbe il quas'immediat'ofitismo del traum'a determinare la nostr'agonizzante mortalità, non la vita in sé e per sé. Vero? Falso? L'ha mai testato nessuno? A me non risulta.
7 anni e 8 mesi fa
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Inoltre una simile prospettiva potrebbe risultare più esauriente nel capire la fenomenologia amorosa esperita da tutti: ci s'innamora dello "iam" e del "nondum", cioè di quel barlume d'innocente vittimarietà ch'una sensibilità spiccata riesce a cogliere nel passato più remoto e nella potenzialità futura più rosea delle persone, di noi stessi e degl'altri. Però il barlume resta tal'e svanisce nell'ennesimo Tabor precario, transitorio, effimero (la c.d. "primizia della Grazia"), nel "sasso nello stagno", nell'apertura-chiusura del Mar Rosso, nella dinamica illusione-delusione, in un evento ultraelastico ch'ipercontrobilancia l'affetto con la disaffezion'e l'elaborazione del lutto, sempr'e comunque a causa d'una tempistica sbagliata. La superadditività fra 2 o più traumatizzati non potrà mai condurre se non a un epilogo crocifiggent'e martirizzante. Cos'altro aspettarsi fra persone malate/già contagiate dal trauma psicoencefalico se non relazioni altrettanto malate? Coazione a ripetere, sì, ma nel senso qui accennato: un perseverare più ch'inutile, pernicioso, per motivi di tempistica. E s'invece fosse plausibile la diversità d'un incipit pre-traumatico/ofitico? È la Bibbia, non la scienza, ad alludere fin'a Gn 2, 25 a una "way out": sino a quel punto ci sarebbe disponibile l'accesso all'albero della vita. Il che significa ch'Atropo non irromperebbe a causa di Cloto, la "morte e morte di croce" di Filippesi 2, 8 non sarebb'inesorabilmente dovuta al semplice fatto della nascita, concepimento, "fiat" dell'"Annunciazione", gettatezza nel mondo. Sarebbe il quas'immediat'ofitismo del traum'a determinare la nostr'agonizzante mortalità, non la vita in sé e per sé. Vero? Falso? L'ha mai testato nessuno? A me non risulta.