Se si passa con così tanta facilità al "prossimo", non credo si possa parlare di grandi amori o di grandi delusioni; se il dolore è intenso, l'unica cosa che fisiologicamente si vuole è non soffrire più e non proporre una eventuale riedizione dello stesso dolore. È un martello che può schiacciare un chiodo, non un altro chiodo! Si finisce solo per mietere vittime capitanate dalla vittima principale: se stessi!
Io mi sono fatta a forma di sacco e mi sono svuotata addosso agli altri, donando ogni cosa; gli altri hanno deciso, poi, di aderire alla raccolta differenziata.
Ho sempre sostenuto che la vera essenza caratteriale emerga quando l'individuo è posto in condizioni di potere o quando è impegnato in una situazione di aspra lite.
Mi auguro abbia una forma il sentimento di chi abbandona: sotto forma di incubo notturno o di rammarico crudele, di colpa risentita, di anelito interrotto, di vergogna cocente.
L'inquietudine è strutturale! Non si può vivere senza. La ricerchiamo, come fosse acqua, anche nei momenti di apparente pace. Siamo dei paradossi: aneliamo all'aureola e prendiamo in mano il forcone!
Quasi sempre, trovi molta più soddisfazione in cinque minuti di parole scambiate in un incontro fortuito con chi manifesta di aver fatto la vita, che non in un mucchio di discorsi non-senso scambiati con chi la vita ce la passi.
Possiamo solo imparare dove mettere la virgola, consentendoci di respirare tra una cosa della vita e l'altra, ma essere coscienti di mettere un punto è una cosa che si fa per sé e nessuno può insegnarti. Ciò che per molti reca la parola fine, per me potrebbe essere solo l'inizio o la voglia di un ulteriore tentativo o la speranza di una continuazione; e poi a mettere un punto ci vuole spesso tanto coraggio, piuttosto esasperazione e la scelta di metterlo è senza dubbio sempre sofferta, per chi la opera e per chi la subisce.