Mi chiedevo perché nessuno avesse notato quanto stesse lontano, prima dello scatto repentino e impossibile che mi aveva salvato la vita. Un po' preoccupata mi resi conto del motivo: nessun altro si accorgeva come me della presenza di Edward. Nessuno lo guardava con occhi simili ai miei.
"Ti odio, Jacob Black". "Mi piace. L'odio è un'emozione forte, passionale". "Te la faccio vedere io la passione", borbottai tra i denti. "L'assassinio è il crimine passionale per antonomasia".
"Prima o poi capirò", lo avvertii. "Meglio che non ci provi." Era tornato serio. "Perché?" "E se non fossi il supereroe? Se fossi il cattivo?" Sorrise.
Sospirò e guardò fuori. Poi si rivolse di nuovo verso di me. "Ci vediamo domani?" Chiese all'improvviso. Già che mi trovavo sulla via per l'inferno, tanto vale godermi il viaggio. "Sì – anche io devo consegnare un saggio." Le sorrisi, e mi sentii bene nel farlo. "Ti tengo il posto, a pranzo." Il suo cuore vibrò; mentre il mio, morto, si scaldò.
"Okay, allora" disse Jeb ad alta voce, per farsi sentire da tutti. "Funziona così: si vota, e la maggioranza vince. Come al solito, prenderò la decisione che mi pare se non sono d'accordo con la maggioranza perché questa..." "è casa mia" concluse un piccolo coro.
Mi sentivo intrappolata come in uno di quegli incubi terrificanti in cui, per quanto corri e corri finché i polmoni non ti scoppiano, non sei mai abbastanza veloce. Più cercavo di farmi strada fra la folla impassibile, più le gambe sembravano lente, ma le lancette della grande torre campanaria non accennavano a rallentare. Vigorose, indifferenti e spietate, giravano inesorabilmente verso la fine... la fine di tutto. Però non era un sogno, e nemmeno un incubo in cui correvo per salvare la mia vita: in gioco c'era qualcosa infinitamente più prezioso. Quel giorno, della mia vita m'importava ben poco. [...] Soltanto io ero libera di attraversare di corsa la piazza luminosa e affollata. E non ero abbastanza veloce. [...] Al primo rintocco delle campane, che rimbombavano nel terreno sotto i miei piedi spossati, capii di essere in ritardo, lieta che ad aspettarmi ci fosse un nemico assetato di sangue. Perché, se avessi fallito, avrei rinunciato a qualsiasi desiderio di vivere.
"Continua a suonare," m'incitò Esme. Le mie mani si erano fermate di nuovo. Feci come aveva chiesto, e venne dietro di me, poggiando le mani sulla mia schiena. La canzone era interessante, ma incompleta. Giocai con un accordo, ma non sembrò in qualche modo corretto. "È affascinante. Ha un nome?" Chiese Esme. "Non ancora." "Vi è una storia collegata?" Domandò, un sorriso nella sua voce. Questo le dava un immenso piacere, e mi sentii in colpa per averle negato la mia musica per così tanto tempo. Ero stato egoista. "È... una ninna nanna, suppongo." Trovai l'accordo giusto. Si legò con facilità al movimento successivo, prendendo vita da solo. "Una ninna nanna," ripeté a se stessa. Vi era una storia dietro questa melodia, e una volta che lo capii, tutti i pezzi si ricomposero facilmente. La storia era una ragazza addormentata in uno stretto letto, dai capelli neri folti e arruffati e contorta come un'alga sopra il cuscino...
Sbirciai di nuovo verso di lui, e me ne pentii. Mi stava di nuovo squadrando, con gli occhi neri pieni di disprezzo. Mentre mi ritraevo, stretta nella sedia, improvvisamente pensai a quel modo di dire: se gli sguardi potessero uccidere... In quel momento la campana prese a squillare, io sobbalzai ed Edward Cullen si alzò dal suo posto con un movimento fluido - era molto più alto di quanto avessi immaginato - dandomi le spalle, e prima che chiunque altro avesse lasciato la sedia era già fuori dalla classe. Io rimasi pietrificata al mio posto, incredula, a guardarlo. Che cattivo. Non era giusto. Iniziai a raccogliere le mie cose lentamente, cercando di arginare la rabbia che mi aveva presa, per non mettermi a piangere. Per qualche motivo, il mio umore e i miei occhi erano legati a doppio filo. Di solito, quando ero arrabbiata piangevo, una reazione umiliante.