Le parole di una poesia non hanno un significato preciso. Volano come libellule e si fermano nell'aria, ronzano e ti raspano sul petto. Cercano la strada per entrare, come palle di cannone dentro un buco troppo stretto.
Penso alla tua inconsapevolezza e mi commuovo. Un piccolo gamete vagabondo ha trovato la strada, insinuandosi all'interno di un uovo, una palla gigantesca come un pianeta da conquistare e lui, il piccolo astronauta con la coda, ha piantato la bandiera, fecondando un suolo sconosciuto. Ci penso e mi attraversa un brivido, uno scroscio freddo lungo la schiena. Tutto sta accadendo dentro il ventre di una donna, in uno scrigno concepito per custodire il più prodigioso dei doni. Immagino un'esplosione primordiale, un big bang di vita che illumina il buio con scintille di novità.
Poi tutto finisce. Improvvisamente e nemmeno te ne accorgi, o forse si lanciano segnali sottili come messaggi in bottiglia ma sei talmente annebbiato dagli eventi, talmente ubriaco, che non li vedi nemmeno e passano inosservati. Così la bottiglia si infrange in mille pezzi sugli scogli appuntiti della vita e forse qualcuno ne leggerà il contenuto senza capire di cosa si tratta.
Eterno e indivisibile, uno e moltitudine. Grato, ti accorgi di essere creatura venuta dal nulla e da un preciso desiderio d'amore. Curioso, ti chiedi come nascono le stelle e i sentimenti, ti chiedi dove dormono i ricordi. Hai voglia di sapere come andrà a finire, cosa c'è dopo il tonfo sordo di una manciata di terra gettata sopra un coperchio di legno. Hai fame, hai sete. Hai voglia di bellezza e di risposte. Non dimenticarlo mai. Non dimenticare chi sei.
L'amore è azzurro. Non può essere rosso, quel colore appartiene a troppe canzoni o a qualche romantica poesia d'appendice. È azzurro come il cielo dopo un temporale, tenue e screziato di bianco, terso e splendente di luce. Azzurro è lo sguardo buono di una persona amica, è l'acqua di un fiume che irrora la terra e la feconda. Azzurro è il colore della camicia che indossava quel ragazzo con l'orecchino, un cioccolatino nella mano e una margherita nell'altra.
Cammini e ti senti addosso una strana malinconia. Dolce, spessa, qualcosa che avvolge come una fascia. Ti stringi al tuo corpo come per abbracciarlo e cerchi di non pensarci. E lo sai il motivo. Hai bisogno d'amore, di fuoco sotto la cenere, di una tempesta nel cuore.
Avrei dovuto amarti come meriti, con la naturalezza del cielo che abbraccia un albero, come l'acqua che scava la roccia. Così. Senza peso, ma per sempre.
"Claudia era qui, ma è uscita a fumare una sigaretta." Lo disse come chi racconta una notizia qualunque, semplicemente mi relazionò dell’accaduto. Dentro me, le sue parole riaprirono uno porta. I cardini scricchiolarono e uno spiraglio di luce penetrò il buio di un passato che credevo di avere sepolto per sempre.
Il vento bussava alla finestra e aveva la voce del lupo. Urlava, soffiava, strideva contro il vetro. Era il giorno del mio decimo compleanno, disteso sul letto fissavo la boccia bianca del lampadario e lasciavo vagare i pensieri. Guardai l'orologio alla parete, le lancette delimitavano con precisione il quarto sinistro del quadrante. Erano le nove di mattina, in quel momento la vita mi gettava sulle spalle un anno in più.
Milano diventò la nostra zona franca, il luogo sognato da sempre. La notte acquistò il sapore dolciastro della Rive Gauche di Parigi o del Kreuzberg di Berlino. Le grandi città viste al cinema, le storie di eroi senza macchia e senza paura. Aspettavamo l'alba, senza aspettare altro. Passavano le ore, il buio della notte cambiava colore e la stanchezza stropicciava gli occhi. Un breve viaggio sulla metro, tra gente assonnata che nemmeno si accorgeva di noi. Poi di nuovo in auto fino a Cremona, in tempo per fare colazione e andare a dormire, in attesa della successiva partenza. Io e Cisco, don Chisciotte e Sancho Panza, anche se nessuno sapeva con esattezza chi fosse dei due.