Tua moglie, una conchiglia di mistero, donna che si difende alle parole, come Petrarca ne farei una dea. È donna che ricerca smarrimenti che cerca un'acqua torbida di morte per poi ridiventare sirenetta.
Hai mai capito tu quelle ali unite di troppo maneggevole farfalla che vorrebbe volare oltre i momenti di questa terra gonfia di confini?
Aprirà nuovi colli l'imeneo quando avremo una porta da rapire a queste antiche sommità di spazio. Con te fuso nel ritmo della forza che mi ha cresciuta, compirò prodigi. Tu sei lievito buono alla mia carne che più s'apre alle vie della saggezza, tu dalla morte mi facesti viva per un nuovo sgomento e mi donasti nuova religione. Ora nel ritmo eguale del possesso nascono nuove terre irresolute.
Sulla chiara aderenza del suo viso dove balena il ritmico, selvaggio, sentimento dell'alba mentre della notturna s'addolora quiete silvestre e cinge a dominare il boato del tempo la più cauta trepida luce, salgono veloci i profili irrequieti del destino.
Mirabile linguaggio che trascorre dalle limpide acque alla vibrata forza dell'inumana profezia!
Ora nell'ampia conca dell'eremo un soffuso candore si raccoglie dalle acque sui rami ed accompagna di cenni lacrimevoli il congedo.
Non inizia più armonico momento per noi, dacché la forza immotivata d'amore usò più cruda disciplina. Ora nei nostri aspetti già traspare la ferina imminenza del piacere. Né so, quando mi penetri di baci quanto di te il mio spirito trascini. Se la tua bianca veste mi raggiunge ardo di colpa e muovo l'innocente orma del desiderio alle tue case e per te che mi piaci io cresco in tenerezza senza fine. E ti seguo, io, ombra del tuo anello di spirito profondo ignorata da te, ma ti raggiungo nella mia aperta fantasia gioiosa. E mi carico sempre di peccati presso le porte delle meretrici.
E ancora a te io prego con le braccia tese al tuo sangue. In me l'antica data della dimestichezza della donna vive ancora terribile. Se schiava mi facessi di un sordo desiderio ti amerei rassegnata; se penetrassi nell'anima pura che ho sortita nascendo ti amerei d'un amore disperato. Ma se tu contemplassi nel mio viso tutta la rotazione di un pensiero anche senza comprenderlo, io forse impazzirei di tesa meraviglia a riguardare l'occhio del mio sposo.
Oh, poter cantare la mia figura grave e modesta, arsa dall'amore che di notte la visita, cantare la veglia incalcolabile del sogno, il calore diffuso d'ogni senso; oh, cantare colui che mi seduce con ben morbide mani, cantare l'ora che mi risolleva all'altezza finale del suo sesso, cantare indefinibili tormenti lenti, remoti, accolti nel presente.
Madre diletta, mia sognata e vera verità, mia splendente meraviglia, madre diffusa come l'ape e il miele madre sostanza, tienimi nascosta dentro il tuo manto sì che io non veda sotterfugi ed inganni, in te io pura ridivento, siccome una bambina. Madre t'ho vista un giorno mentre prona sul pavimento t'invocavo piano eri bella e possente e mi guardavi con infinita eterna tenerezza a che più dirti, io non ho parole ma tu hai l'incanto delle cose buone, tu hai le parole che non hanno voce e che pure traversano le mura d'ogni esultanza, o madre che fanciullo tenesti il Cristo, guarda alle mie braccia che sono vuote e colmale di fiori o di spine o di luce o di tormento come ti piaccia e rendimi felice.
L'alte purezze che io non delibo debbo prima lasciare intatte estremamente dentro il tempo di un presagio non puro. Io scenderò sotterra desolata di non sapere ancora equilibrare la tua giusta bellezza alla sua luce. Che in me stessa non è che tenebrore quando la morte tutta non mi accenda.
Timorosa è la notte quando gela sopra di noi l'audace desiderio di caldi baci e nitide parole; ora rifiuto in ogni gemma il fiore poiché bianca si è fatta la mia faccia di un pallore mortale. Lunghi anni cercando sopra rocce aspro ristoro o presso la tua croce, Cristo, soffrendo, ho gravitato invano. Ora che se ne va sembra mi cada questo lungo mantello e denudata è la mia carne e presa dentro i ceppi dell'abbandono. A te volgo la mente e il sospiro profondo. Lunghi giorni simile a un negro uccello andrò vociando nel fervore notturno, lunghi giorni, padre celeste, e senza una parola, lugubre diverrò come una tomba. Né io spero risorga, tanto dura è la mia morte e tanto a te lontana.
Prima che si concluda questo amore lascia che io ringrazi il mio destino per il bene assoluto che m'ha dato, per la fame dei sensi, per l'arsura che mi ha preso alla gola. Prima di andare lascia che ti riporti sul cammino dove giungesti o mio sanato amore così divino e immobile e lontano ch'io non oso toccarti. Addio, mai Nume fu più profondo e grande, mai d'altezze tali giunsi al confine. Addio mio inganno tacito e dolce come un grande lago.