Queste pietre miliari così fonde, così ben levigate, un urto d'oro, non le vedrò mai più, pare un delirio dirlo così, mentre resiste il verde dei nostri colli, eppure le pupille mi si dilateranno all'infinito finché la cecità forte m'incolga e mi faccia rapire. I lenti passi dentro questo ospedale, le sottili meraviglie di un trepido racconto, una mano che guarda od un sorriso che ti levi di torno la lordura, tutto io perderò, tornando fuori all'aperto nel mondo che qui dentro ove resiste un tremito o follia qui si nasconde veramente il vero, perciò ti dico, mentre ti saluto, abbi pietà di me che non avrò più mitezza né pianto e lungo i muri scolorati del piombo, aggraverò mortalmente la faccia, fin d'ora io mi sento perduta, l'usignolo già si tace da oggi. Addio compagno dei miei sogni, nascosto desiderio pace stragrande, che ti salvi almeno il mio ricordo poi che bieco appare ai miei occhi infecondi, andrò domani colma d'affanni a salutare appieno ciò che mi resta, il nulla, e qui era vita era trionfo e pallida misura ma quanta pace, quanto amore e quanta lunga preghiera di nascosto a sera...
Saffo, antica maestra e disperata portatrice d'amore, Saffo di viole incoronata e altera rendimi sciolta e in volo poi che accolga la tua grande parentesi nel cuore. Le mie notti deserte io le conosco già dai tuoi grandi, morbidi giacigli ove amore avventava alle tue labbra mirra e miele. Anche io non sono sazia come tu fosti ma mi aggiro eterna dentro anime aperte ad ogni lutto. Anche io ho l'amor mio che mi disdegna, Saffo mia grande e inutile maestra perché mi lasci e impoverisci il seno delle tue offerte? Giacerò infeconda anche stanotte e intorno a me i costanti fedelissimi aspetti di cupido apriranno dentro l'ali rapidissimi inviti cui rifuggo rimpiangendo e scoperta e innamorata. Saffo rendimi pura e innominata Come le parole, ove non cada lacrima e tempo, ove non misuri religione i suoi passi, ch'io non crolli come crollasti tu dalle tue rupi...
Ho sentimento di una cosa strana che tutta mi colora e m'indurisce; e mi pare di essere sovrana di largo tempo e tutta mi smarrisce questa tua apparizione così bella che a me sembri non uomo ma una stella.
Anche oggi sarà dentro la storia della mia vita. Ma non era l'oggi che io volevo quand'ero bambina: oggi è un oggi diverso, senza grida, afono e grigio come una fontana. Oggi è l'oggi di ieri manifesto solo nel mio respiro prigioniero: o larghe nubi come fonderei volentieri il mio passo dentro quel cielo che racchiude tutta tutta l'avversità del mio destino.
Cara, ti vorrei scrivere il mio amore; cara, ti vorrei dire che sei come un purissimo vaso che si incrina, ma se tu vuoi riuscire a guardarmi nel viso come Psiche fece nel tempo andato con Amore tu rimarrai delusa e poi ferita. No, non volgerti indietro, la vestale cammina adagio, lenta, a sé davanti guardando sempre; no, non ritornare su ciò che hai fatto, può essere morte: te lo dice un'antica profetessa che è una povera madre e ti vuol bene.
Lascerò il momento per durare nella tua eternità senza confini; così io, ombra delicata e fiori di velo ricoperti tra marmi antichi e divorate chiome svolgo il mio passo acceso alle veggenti distese d'erba e anche al tuo passato, uomo dei boschi, che mi sei sereno quanto angosciata è la mia certa vita. E lasciando le docili pasture della ragione voglio smemorarmi nei tuoi canti boschivi, sì che Amore torni al mio seno e mi riaccolga intatta. Forse tu mi hai sentito, quando ferma nel sonno io gridavo il mio rancore contro la vita, e certo mi hai chiamato con lo strumento avido di suoni; per questo, Pan, io vengo e nella corsa perdo il mio velo e mi dimostro ignuda nuda qual sono e non più giovinetta: che amor mi morse dolce come mela, e a me resta di un torsolo disfatto l'amara meraviglia e la dolente consunzione feroce dell'amore, e che altri mi morda più assetato che non Amore che mi toglie e mi tiene.
Aspettavo quest'alta negazione per trionfare in forma di parole, ora l'hai predicata, né mai mano di sacerdote antico si alzò lesta a decretare in vergine condanna. Venni a cercarti timida e concreta senza ricordi più d'altri legami ma rispettosa della tua statura.
Vasto uomo mi fosti e come Saffo c'era adesso una rupe ove abbellire un disegno di sorte dacché lutto mi è entrato avaro e crudo nelle carni. A me l'Idra farebbe scoramento, sanguinare altre corde poi che una una soltanto hai dentro il cuore.
Ti ho detto addio dopo che ho spesa tutta l'amarezza dal grembo e l'ho posata presso di te come una voce strana. Comprendo adesso che io sono un'ombra oltraggiosa magnifica pensosa e che tu rarefai le mie pienezze come si sfa la terra per rubarvi il fortissimo seme della vita. Tu mi hai tutta predata vorticoso come un vento selvaggio ma di questi assai meno pietoso e musicale. Perciò io ti riguardo che ti assenti mentre anch'io mi dilungo abbandonata presso la mia mortale era di pace.
Visito spesso in te la mia dimora che mi parrebbe un tempio se non fosse per due dritte colonne che la regge all'esterno siccome un trionfale tronco di albero antico ove si posi la finzione dell'Eden accanita. Per aspetto vi si potrebbe chiudere il serpente alle sue spire come il secolare e veloce mio attacco. Ma tu vivi difeso dalla grazia mentre io brucio di senso proprio alle soglie della mia malia ed anche a me tu rappresenti l'Angelo quando reprimi nel tuo velo azzurro dei bellissimi occhi questo colore amaro di emozione.
Ho buttato il mio verbo come Iddio (l'amore fa di questi prepotenti e nuovissimi doni) ed ho creato proprio col soffio identico iniziale con cui Dio ha fatto l'uomo. Solo che l'uomo che da me ho gettato non è guasto di terra ma portato da un suo nuovo magnifico splendore. Come sei tu, mio vero, vigoroso tanto che mi attanagli nella pelle con fortissime unghie e mi rilasci a misurare dopo nel silenzio tutta la mia disfatta di poeta.