Poesie di Nicola Di Candia

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Scritta da: Andrea De Candia

Tremo, ripeto, insicuro, balbetto

E s'avvicina il buio, il buio azzurro.
L'alba è un tramonto, l'alba è un tramonto.
Tremo, ripeto, insicuro, balbetto.
Devo fuggire presto e andare al sonno,
al mio riparo, prossimo il momento,
estremamente prossimo, il momento.
Un primo raggio di tenebra bionda
è notte, è notte, è notte, e no, non sono
insonne, insonne, io, non sono insonne,
ho il corpo d'un umano, ma mi sento
avere come l'anima d'un gufo.
Nicola Di Candia
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    Scritta da: Andrea De Candia
    La terra non parlò, non disse nulla,
    né sussultò, neppure trasalì
    all'osservare un'altra morte ingiusta.
    Calpestò dagli albori la sua aureola,
    il suo tendere in alto, seppellito
    nelle più buie sue profondità.
    Vestì il suo volto con i suoi zampilli,
    il suo morire, il suo esser portato
    via e sotto di sé, come tornasse
    al grembo della madre il nascituro,
    il già nato probabilmente altrove,
    con l'anima tenuta tra le braccia
    d'un'altra madre nel suo corpo azzurro,
    perché succhiasse dai molti capezzoli
    il latte che gli offrivano le nubi.
    E la bocca del sole che calava
    in un silenzio che s'avvicinava
    al sonno oscuro, sotto le lenzuola,
    dove dormiva insonne, la sua spuma
    ai piedi di quel letto si muoveva,
    scelto l'unico fianco, per l'insonnia
    a cui era costretto, oltre le labbra
    i suoi raggi-parola, ormai lontani
    dal cerchio dell'aureola più pura,
    sembravano il riflesso d'una voce:
    "sei santa solamente con il sangue."
    Nicola Di Candia
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      Scritta da: Andrea De Candia
      Sognavi, e nel tuo sogno, tracotanza
      c'era, un volere esser solo tu,
      tu tutto l'alto, l'alto disponibile:
      tu non moristi quando la sua luce
      decompose la pelle e si nascose
      persa tra tutte l'ossa delle nubi,
      non chiudesti la porta della casa,
      né abbassasti tutte le sue palpebre,
      le sue finestre aperte ad ogni sguardo,
      trascelsi un occhio e ti mettesti al centro
      e d'una di esse tu fosti pupilla:
      cadde improvvisa pioggia, la sua cenere,
      pianse una pietra d'acqua le sue lacrime,
      tutto raggiunse il suolo e vi rimase.
      Ma, pure non essendovi salita
      per quel cadere in cui riconoscesti
      il tuo destino quasi ineluttabile,
      vedesti fino al punto in cui la fine
      portò al suo completarsi, un altro inizio:
      l'ossa recuperarono biancore,
      s'andarono spostando mano mano
      verso l'estremità, verso i suoi fianchi
      fino a finire libere, ma vive,
      fuori dal corpo che mostrò la luce,
      la sua pelle celeste. L'invidiasti,
      il paesaggio di serenità
      che fu riapparso, e semplice e arcano,
      non capisti i sorrisi degli umani
      a quel vedere ritrovato il cielo:
      tu l'invidiasti: tu fosti colpevole!
      Nicola Di Candia
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        Scritta da: Andrea De Candia
        Aver sottratto spazio a un silenzio
        solo con la presenza del mio corpo,
        essere stato troppo - un'abbondanza -
        e gonfio, ridondante e invadente
        e mai sottile rapido fugace...
        ora che sono stato messo al mondo,
        l'ultima volta dato a una materia,
        l'ultima volta nato da una madre,
        saprò sparire e farmi solo spirito,
        io granello di cenere - una lacrima -
        cadrò dal mento al suolo del mio nulla!
        Nicola Di Candia
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          Scritta da: Andrea De Candia
          Sempre bambino, ritorno al celeste,
          alla sua chiesa – espresse il desiderio
          di dilatar le sue quattro pareti –
          furono spinte fino alla scomparsa:
          la religione è un'unica natura.
          Il sole reca l'alone d'un'eco,
          ch'è il biondo nello spazio del suo tempo,
          un'ostia non dimentica del grano.
          Io che mi muovo sono la sua mano,
          quella che m'è impossibile vedere,
          ed oltre Lei tutta la sua persona
          in quella veste, il parroco che m'offre
          l'ostia innalzata al centro dell'altare:
          la comunione con le labbra chiuse
          e le palpebre unite,
          l'una a toccare l'altra,
          come fossero giunte.
          Nicola Di Candia
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