Il sole è il centro di tutta la vita. Quando è ferito a morte dal mistero e l'acqua accoglie come fosse tomba il cielo è madre che si veste a lutto a contemplarlo fino al più profondo - il cranio è un occhio che non vuol vedere! - emerge moltitudine di Dio dagli infiniti angelici occhi – stelle! – su cui pende l'oblio di cosa è guancia – versa immobile ed è il suo contrappasso ed il suo pentimento e la sua pena tutto il pianto di luce che va in cenere finendo in fondo all'abisso del buio.
Sole caduto martire nella terra del mare e seppellito subito e senza avere esequie. Dallo spartito nero della notte i timpani delle pupille udirono lo scriversi di musiche stellari. Suona in silenzio il suo lamento funebre e lo rende in materia inalterato. E gli echi dei ricordi vi si affacciano la madre Dio ha vestito la sua pupilla a lutto, per non vedere altro che il suo dolore espandersi infinito oltre sé stessa, ritornando in sé. Ma dal suo volto oscuro la folla degli insonni vede scendere immobile la lacrima di cenere di luce di ogni stella apparsa che resiste aggrappata al ricordo della carne di un tempo perché avverte la decomposizione perché ormai fuori è il cranio della luna perché non sia sommerso, ultimo minerale della vita, da tutte le altre ossa che son buio.
Il tempo nella sua carne di spazio dolore si procura, masochista, si conficca la spina della luna nel fianco di una notte che essa traccia, perché gridi la luce da ferita, e sanguini il riflesso ormai caduto negli abissi dell'aria discendente, la terra è come fossero le fauci spalancate in attesa ed impassibili, la palpebra, l'abbassamento, tutto l'abisso che dilata la pupilla nell'interiorità ch'è detta sonno è far da crosta a tutto quest'evento.
Il mondo è buio, il cielo ha già raggiunto il trionfo della decomposizione, la cenere indistinta della notte, perso l'ultimo osso della luce che faceva da guida a quegli insonni visitatori nel suo cimitero, perché lo sguardo fosse una preghiera di salvezza per tutti. Ora la morte, che ha conquistato tutto il suo potere in quel possesso di materia ch'è il suo colore nero, ha la corona sul suo capo, ne è cinta, ed è invisibile. I non colori lottano indefessi. Il bianco lotta perché sia una vincita almeno in parte, affronta la catabasi quando torno dal mio vicolo cieco ch'è il sonno ad occhi aperti, la visione del sonno universale dell'altrui, quando costringo l'ombra a diventare sonnambula supina su quel letto della strada, ch'è foglio che rimane in bianco, come prima, con l'andare d'un passo avanti, ho cancellato ogni parola del suo inchiostro che ripete la costrizione e il suo trascinamento, ecco che vedo la mia casa bianca, le sue pareti come le lenzuola, la luna trascinata nell'inferno del suo essere quasi rasa al suolo ecco che mi ritorna la salvezza del candore fraterno della luce.
TRAMONTO Ora le vene dall'inseppellito riemergeranno come delle fruste di grida di silenzio a far crollare quella purezza della pelle azzurra ch'è il tempo che si manifesta Cristo.
SERA Ora cadendo depone sé stesso nella grotta dell'anima del mare, il tutt'attorno cielo si fa madre a contemplare in lutto la memoria della figura perduta del figlio. Gli angeli, i loro occhi, ecco le stelle che versano i riflessi delle lacrime come un'ultima cenere di luce.
MATTINA Ora riemerge, fenice di luce, da ceneri di buio, come sonni senza l'acme del sogno. Il sole brucia solo, centrale, su di un rogo d'acqua sereno, assente, quasi inassentato sulla spuma che corre delle nubi penose per l'assenza d'aldilà, per un'eternità non conquistata, né mai voluta. Morte della riva è il loro desiderio, il loro solo.
Muoio ogni volta nel e con il sonno. Mi seppellisco sotterraneamente nella mia personale oscurità. So che nessuno viene a farmi visita, la mia stanza è una camera ardente, il lenzuolo che scelsi in incoscienza la bara bianca per la mia anima dannata ad un'eterna fanciullezza, la testa che non sa non fuoriuscirvi è testimone di una volontà chiamata insepoltura sulla nuda terra dell'aria. Ma la notte sola crede a quest'antichissima menzogna, discende con la sua pupilla alata come una madre a contemplare abissi di un figlio morto in un affondamento. L'insonne "d'una tantum nella vita" l'ha già compreso: il corpo le rimane in alto, inafferrabilmente veste nero, ch'è assenza d'una nuda luce. Nel tempo azzurro furono annegati quegli angeli di stelle che ora appaiono immobili a versarsi come lacrime. E la luna ch'è cranio distaccato dal ricordo dell'ossa sottostanti è manifestazione solidale d'ipocrisia! Le fasi fingon d'essere la decomposizione, il suo raggiungere quel nulla ch'è la cenere del buio... (e vola via, dimentica il cadavere!)!
Ora si calmi, musica del sole. Un fiume piena, mostri le sue parti. Sullo spartito del cielo riverso scriva volta per volta col suo inchiostro le sue note stellari, affinché io possa leggere cantando nella mente di tutto il mio silenzio – l'insonne solo è studioso in materia!
E noi ti odiamo, tempo. Perché ci fai invecchiare! Perché ci fai morire! Diamo la colpa a te, nella sua assenza insmentibile qui! Se ti vedessi come fossi un'anima e una vita che ha un corpo nel passare del paesaggio, in prestito ai miei occhi. Se ti vedessi un'infinita veste di cristallina lacrima, le nubi ogni osso separato dal suo altro a cercare la morte su una riva inesistente d'assente aldilà. Oh, l'immortalità, la più grande condanna di martirio! Se vedessi nel sole un pane aperto, un cuore perlustrato dal dolore di dita altre che vi frugan dentro, o la corona di spine che ha già trovato quel Gesù, al cui capo scendere, e la flagellazione nel tramonto, l'arteria della vita che diventa penosa scia di sangue all'orizzonte che non ha forza di frustar sé stessa ormai nemmeno più, allora mio tempo, mio amato tempo, amato figlio tempo, l'uomo paterno misero che sono si svelerebbe a te, ti donerebbe l'immensa croce della sua pietà!