Volto e corona di re che fu il Sole. Decapitato a staccarsi dall'alto celeste che macchiò del sangue. Scese a compiere il destino col calarsi nella tomba di tutt'un cimitero, ch'è il mare, che obbediva nel colore, lasciò un'eco di lutto con la Notte! E la sua dinastia, la Madre e Moglie insieme della Luna, la discendenza dei figli di stelle, poterono soltanto nell'insonnia restare fermi e in visita perenne riversare come fossero lacrime i riflessi di tutti i loro corpi!
Echi di una dannata discensione che gridavano la loro materia nello spazio di un tempo interminabile ebbero la salvezza nello stagno, nello scrosciare dell'acqua preghiere e ovunque nel riflettersi un sol buio: era il lutto guardatosi allo specchio, con sembianze di donna, era la Morte, era quella che chiamavamo Notte quando lontani eravamo al celeste, quando bastone era il nostro Sole per non cadere brancolando al buio suolo di tutt'un sonno ad occhi aperti.
Celebro i funerali del silenzio, la mia parola è muta su quel foglio, ed esso mi diviene bara bianca, lo sguardo è come lacrima in pensiero, la testa china a elaborare il lutto è tutto ciò che rende finalmente la donna in me una Madre-Sacerdote.
I Alzo lo sguardo e piango le mie lacrime, Sole, ti han seppellito senza avere il mio consenso umile di uomo in quale tomba ossea, in quale nube riposa ora la tua carne di luce, la pioggia che ricade su di me nei sottosuoli azzurri è la tua cenere?
II Il cielo è dove han seppellito Dio per piangerlo con lacrime di sguardi alla sua tomba, il suo corpo è finito dalla cenere al nulla più sereno entro un azzurro che ricorda il pianto e il Sole l'occhio unico sul mondo le nubi, ossa a decomporsi in pioggia di cenere che scambiano per acqua.
Ritorni adesso al prima della vita l'aldilà in quegli spazi dentro te è stato l'infinito del tuo buio, dalle ceneri sorte dal profondo non s'è alzata la fenice di un sogno, fingi il lenzuolo indossato una bara bianca, come una palpebra a cadere sull'occhio del tuo corpo, ché ti piace pensare che un domani si dia ancora il candore della tua fanciullezza, e domandarti chi abbia presenziato ai funerali della solitudine, un'eco di domanda ti risponde nemmeno Dio, ché ti ha abbandonato, le pupille annegarono sommerse dall'onde perentorie delle palpebre, gli occhi scesero fino alle narici e lì fu come se ti compiangessi e il russare fu il lutto espresso in lacrime: sei il veggente di tutto il tuo passato risibile, patetico ti immagini quello che non hai potuto vedere e almeno in parte infine lo indovini.
Odio la descrizione della notte: essa è un atroce lutto, ed il peggiore! Pensavo alla pietà di Michelangelo, ad un figlio affondato nella morte, dentro una bara di mare che fluttua, prova di un tempo che beffa e oltrepassa, alle ginocchia della madre aventi su di sé, nulla, il suo solo ricordo! Quando vidi la veste che indossava il misero universo che vedevo essere tutta solamente nera, impassibile, come incorruttibile, vidi l'assenza d'un pianto di luce, che sono i nipotini delle stelle, scorsi la fine di una discendenza!
A me sembra che il sole assommi tutto. Luce cadente da un volto di pianto, riso aperto sul lutto della vita, lancia che tenta invano di trafiggere il cuore oscuro di ogni mia pupilla, una corona che cerca il suo martire, la morte sopraggiunta col cadere, la bara-solo-schiena ch'è l'oceano, l'inizio d'una decomposizione, visibile nel riflesso defunto, la materia ch'è un'eco dell'addio, l'anello a nessun dito e i veli bianchi di "nubi-spose" che corrono a scegliersi, a sceglierlo, a non sceglierlo, ch'è uno.
Le stelle sono la resurrezione della pelle di luce ch'è discesa nell'inferno dell'acque, da un inizio di narcisistica contemplazione del suo riflesso. Lacrime dannate alla staticità del senza guancia, sono una moltitudine di sudditi che accerchia, ma non vuole pugnalare il monarca dell'ossa ch'è la luna!
Steso aldilà del sogno della luce, nel suo volto e nel suo cuore di sole: annegare alle origini, ritorno, e indorare la terra dell'essenza, far obliare a sguardi peregrini il mare, il suo celeste, il suo obbediente riflesso di una volontà suprema: spighe, tendenti a inferni di purezza, chinatevi alla simile più prossima, adorate la luce, il suo discendere al paradiso bruno della terra: e l'insieme sia letto perché poggi la stanchissima schiena, quel suo raggio.