Nulla più solitario di una stella. Nessuna condanna più perentoria della sua impiccagione su nell'alto, lacrima che mai più potrà invocare di scendere, cadere, dissiparsi. Il suo sangue di luce testimonia la gemellarità ch'è interminabile. Ed il buio è una loro creazione, sovrane al loro attorno, separè per non vedere nel sonno di vita la simile, l'identica. Infelice, luciferina, ma priva di dio si sogna altrove, si scaglia nel basso col suo riflesso sempre più sbiadente (si).
Il cigno della Luna solo collo. Un collare di osso che vorrebbe richiamare il passato da padrone quando davanti a sé, circolarmente in sempre più profonda lontananza, s'avventurava il cane della luce, fino all'addio pacifico del sangue con il canto morente dell'azzurro, con la visione di pupille a lutto della sua sepoltura nella tomba più liquida possibile, nel parlare leggero del suo pianto, condannato a un'eternità di spazio.
... E nel sonno ritrovi i tuoi confini, una lunga boccata di incoscienza, un cerchio che riesce quasi a chiudersi. Dice la sua preghiera sotterranea l'anima, mentre la pelle è puntata – fiamma di solitaria debolezza – fuori, dagli occhi armati delle stelle, frecce pronte a schioccarsi su di essa, la faretra nascosta della luce si guarda indietro e conta le sue lacrime. Cuore di bianca gelida utopia è quella luna, teschio di ogni dio.
Mi promette una riva con le nubi e tutto il corpo cieco che è guidato dal piede delle mie pupille, sfiora disseminate conchiglie di stelle che non conduce, rapendole, qui, ad un inferno ormai di troppa quiete. Il vento è incendio spento, delle voci. L'ombra che avanza come una preghiera si cancella voltando (a) un'altra strada. Ardo come una fiamma di cui oblio continuamente il carbone d'origine. Forse la luna è l'unica certezza. Baricentro di tutto il cimitero dell'universo ch'è tra vita e morte. Forse è il cranio di quello che fu Dio. Come un agnello si immola all'altare della centralità. Pagana insonnia!
Il latte della luna è già finito, e nati siete finiti anche voi, cuccioli delle stelle che sperate in una madre che vi rese orfani, quando è una culla solo senza spazio, quando è una vita dal colore opposto, e oltrepassate la pelle, allo specchio di pupille, del loro sangue sparso al suolo di una schiena inabissata, ché il possedere tutto dentro sé porta ad un'esplosione che nientifica, sperate di riflettervi in un sogno come una fonte da cui bervi via.
La tentazione del maschio marino vorrebbe trascinarla dove tutte sono echi di amplessi ed una musica sessuale servilistica di morte, ma la Luna soltanto resta onda intatta sempre al di sopra di questo, come una suora vergine e incorrotta, luce essa stessa unica nel buio del convento della sua prigionia.
La carne s'alleò con la sua cenere e disse addio a quel corpo del suo mondo versando su una quasi persa guancia la lacrima di un quarto di luna, briciola d'ossa, materia risorta nel discendere verso una meta infima, in cui il riflesso, come fosse eco, divenne musica silente scritta sullo spartito di un mare disteso: e fu il canto del cigno della luce!
Nelle ceneri delle stelle apparse in una solitudine respingente sé stessa e numerosa il corpo incorrotto della luce, le sue pupille come delle suppliche che lacrimano giù nell'aria buia ch'è l'anima di tutti e di nessuno trovano forse il riposo di un sogno col riflesso sulla schiena del mare, che russa senza avere le narici.
Anche se buio è il mare come il cielo tu ti ricorderai dell'umiltà, ritirerai l'offerta della lampada e chiuderai la bocca alla tua porta, le imposte chiuse come orecchie aperte ad ascoltare tutto il sonno - dentro - questa preghiera - morte e solitudine - sappi che non è cielo di nessuno - che non c'è alcun pianeta al tuo di sotto e nemmeno uno sguardo che si innalza a scongiurare di essere salvato - e Lui non è diverso da te stesso - si fa Pietà, da tuo amante diventa la più misera madre - la più liquida delle sculture che fa solo il Tempo, Tempo, quel genio artista, Tempo stronzo, Tempo che ci molesta, con le mani ci tocca, ci stiracchia, ci stravolge i connotati più che sottilmente - ma sappi il sogno non è mai supino - Inferno che non poggia su un terreno - l'anima è nuvola di fumo - bluff - ti risvegli e la pelle si ritrova sulla sabbia di scheletri pestati - e vieni, vieni, vieni ora ti chiama quest'amante illusoria che risucchia ancora te nella sua inesistenza - liane di pupille in questa selva - il lutto pianta in faccia il suo colore senza pudore di luci stellari gettando i fazzoletti delle nubi nella pena del non aver cestino - ché questa è Eternità - il non riposo il non trovarlo mai e il non saperlo.
Qualcuno, l'eco della mia memoria, l'ha definito Dio ed ha condannato la libertà d'azzurro dello sguardo ad una sbarra unica di buio, dei finti pentimenti della luce che singhiozzano le loro ragioni ai tribunali infimi degli uomini, ecco, quello che sono queste stelle, non ti danno nessuna assoluzione, tu gridi nel silenzio e chi ti ascolta è il silenzio stesso seppellito nella tomba di un vento che non c'è "nello stanotte dell'eternità".