Dire addio alla luce, e ché sia il nero il colore che illumini la vita questo lo sa nel sonno il senza sogno, lo sente e non lo può testimoniare nella sua solitudine abissale – s'aprì come oceanica voragine a separare il petto dalla schiena si trovò a navigare solo al centro senza potere arrivare alle sponde – che cosa vuole dire questa Luna che come ultima ostia viene offerta alla fame notturna senza labbra, al fedele che non è una persona, a un sacerdote che non può più esistere, la fase intera è la sua comunione – vive d'ossa la vita che si nega nell'aldiqua che al corpo pur prolunga il suo tempo di permanenza. In corso le esequie, il lutto il cielo lo ha vestito fino a cambiare colore di pelle, ma l'anima dell'aria è pur la stessa, incolore, impalpabile, sfuggente, trafitta, trapassata, già guarita dalla ferita di un passaggio insonne – O angeli vegliate su di me le lacrime remote dei riflessi mi cadano alla tomba che ora sono dice il mare col sussurro dell'onde – ma resta più profondo il suo segreto col suo seppellimento nella pace – strappate dalla cecità comune le stelle, gocce di cera consunta, resistenti al cadere fin nel fondo, custodite il ricordo col colore che ebbi e fui, posatevi all'ingresso – esso è la sola chiesa che rimane e non respinge alcun sguardo ascendente a trovare pietà nella carezza del suo palmo infinito, interminabile, prima di una Babele dimostrate nell'eterno presente di una lingua sulla pagina scritta ove parlate la sua preghiera – ch'è la sola acqua!
Questo mare è un inferno di quiete non si vede la luce sotterrata e il suo colore è troppo profondo come il suo passato, quando il lutto si cala sul silenzio si raddoppia l'oblio di un volto mai esistito, lo sguardo è come fosse tutto il corpo, chiede un appoggio nel cielo - è un inganno che sia una vetta, eppure è in alto, è piana! - non c'è guancia, né palpebra, né mento, solo qualcosa che ricorda ciglia e pupille e il mio corpo costretto dentro a fare un passo indietro il petto mosso è un passo di scarpa - si corruga la fronte, il sopracciglio - la pena è questa eternità esibita palmi aperti a donare solitudini, la clessidra del tempo si è fermata, non c'è una fratellanza tra i granelli, si riconosce quello che fu il Sole, il firmamento è la sua autopsia, cenere che lo lascia lacrimare senza che cada scivolando piano, ed il riflesso è un po' l'ultima carta, è un dire tentennando, ma a sé stessi, vorrei morire, stendermi supino, voglio arrivare a fondo, io, discendere.
Sepoltura resuscitante in stelle, quando il lutto che unisce spazio e tempo, ben memore di sparpagliare luce, dà come di una rappresentazione di un pugno arreso in palmo che fa andare in continua discesa solo ceneri, coreografia delle solitudini, con l'applauso delle mani dell'onde, un sipario che a riva è di silenzio, e alle spalle è già il pubblico di sabbia, e sono io col vento a disturbare la mia venuta via, andata altrove.
Un dito che minaccia di silenzio che si fa divorare dalle onde - la cecità che diventa pupilla onnipresente, abito di lutto che senza più le lacrime di luce dà l'idea d'accennarsi come pianto su quelle cose appena sottostanti - un cigno che si bagna, che scompare - un canto materiale del colore - l'ultimo biondo con le spalle al muro - d'un azzurro morente di spavento - ecco le nozze nere con la morte - e la sposa del nulla che abbassò, nel mostrarlo, il suo velo, con la luna come ostia offerta alla voracità di tutta una nessuna bocca fatta dal tempo nello spazio - il lividore di una ferita che era già crosta - un riflesso fu un gemito di perla, che gridò l'orfanezza dalla sua ostrica.
Cercare dove il mare porta tracce di spegnimento, dove si rivela la realtà sommersa, dove esso non è più nessun riflesso, ma un'esistenza autonoma, placenta che racchiude in sonno il feto solare, nelle sue alterne capriole, nel tuffarsi da nessun trampolino, nella caduta nera della morte, nella cenere buia che ha ormai reso il cielo un posacenere incrostato, dove il colore stesso ha oltrepassato persino il no al fumo che ancor vede l'insonne barcollante sulla strada - egli facendo scendere il suo sguardo vide il suo passo tastare la terra - un'infinita madre in resistenza - sbronze di luce, quei lampioni in fila - sorsi e sorsi riofferti senza fine a una bocca più estrema che arrancava - non ostruirono lassù le stelle - scintille ancora calde dell'incendio che mai vi fu, minacce inesistenti, su un cumulo di ceneri e carboni.
Onde, come ossa che spumano rapide di versi di una preghiera ancestrale – in superficie e mai nel suo profondo! – s'affollano nel lutto della notte turbano la quiete ed il silenzio disfanno le lenzuola senza avere speranza alcuna che vi sia disteso il compianto defunto seppellito nelle abissalità di un'illusione – già nel ricordo della vita fu un essere dal solamente volto ed un volto che si ridusse ad occhio – e la luce era invece il suo incendiarsi – arrivarono al niente della riva come spose nell'aldilà del Tempo sull'altare sabbioso della cenere s'ergeva il buio, unico da contendere, il troppo vasto buio fino a perdersi oltre sé stesso, fin dentro altri luoghi.
Il lutto senza lacrime del sonno, la pelle sepolta nella memoria, la discesa di un velo tutto sopra l'anima ch'è defunta e più schiacciata le carezze abissali di un sussurro dove l'acque non trovano la sabbia dove il lenzuolo stesso è un indicare che la spuma è il nient'altro che si ha dell'onda – solo risvegliando il corpo il bacio del respiro di un gemello amante sopra di cui non saprò – l'insonne vede ben più di quel sogno che avrebbe avuto avesse fatto come gli altri dormienti – li scavalca uscendo – muri caduti senza andare in cocci – ha il suo lutto nell'anima che ha dentro sepolta agonizzante – ancora viva! – è l'empatia a permettere che pensi a quello più lontano sovrastante – il cielo perse il cuore del suo centro se lo vide strappare da un estraneo cadde ferito già nella sua tomba essa divenne sopra di lui un pianto e una preghiera in mormorii di onde – ed una Madre non potè far altro che vestire l'atmosfera in nero le stelle furono tutte le lacrime pensate senza che fossero piante – e la visione su cui gli ricadde con le sue nere pupille, ad un suolo alto, fu l'aldilà del sottosuolo che disilludeva sull'oltretomba, anzi la scoperchiava, riportando alla luce, la luce della Luna come il teschio del figlio che ebbe perso.
Il Tempo in lutto ha impedito il raduno, ha vestito il suo sonno di silenzio sulla bocca del suo foglio celeste, sulla soglia della pupilla appaiono – porta da quello a questo mondo – lacrime che quasi hanno paura di avanzare nella loro caduta, non soltanto più col riflesso. Il nottivago insonne si ritrova credente a sua insaputa in questa chiesa distrutta da troppo, aspetta che di eco in eco veda la luce che coi suoi sospiri implora pietà, ché esista in solitarie ceneri!
Ora già sorge il sogno dal cadavere del sonno, ancora dal corpo celeste dell'uomo dio traspare ch'è scomparso l'occhio defunto andato a seppellirsi nell'aldilà dell'anima al passato, palpebre unite per un passo indietro, ancora il ciglio e il lutto conseguente, ora in questo contrasto si rivela – resurrezione in ceneri di lacrime – il firmamento, che fu intera vita del Sole, unico mondo della luce.
Sottometti la luce che ti resta a una penna che mai può dirsi sia banalità di male le trasmetti la notte come fosse una bevuta povera e insicura - le passi il suo contrario ed è il trionfo dei non colori che si fanno insieme pace e guerra, ma se tu alzi gli occhi - minuscoli animali impauriti, servi della regina di un colore che s'espande nell'alto senza limiti e discende poi all'orizzonte-mare - vedi che tutto è un imparare solo - e il corruccio, le rughe, la vecchiaia, e lo specchio che vive frantumandosi seppelliti nel più basso possibile ed insieme alla disapprovazione - il cielo è una lavagna senza tempo, le stelle si riscrivono ostinate, consce d'essere errori all'infinito, e la Luna tenuta tra le mani di Dio o di Nessuno, che barcolla negli attimi di silenzio del tempo è un gesso o un intonaco spezzato sotto d'un'unghia o le scosse di un sisma - l'insegnamento cede all'ignoranza di un arcaico che non vuol far conoscersi - e le pupille le vedrai assorbire altro inchiostro da questo calamaio e la mente ti sembrerà ficcata nel banco del tuo volto, potrà fingere d'alzarsi con il sonno... con il sogno!