Un vedere la fine tutta e ovunque, una pistola silenziosa germina il colore puntato su chi passa - scrittore, chiama, vieni a non vedere che cosa sia lo scrivere la Notte - tavolo alzato a telo con il cielo - una lavagna con segni di stelle indecifrabili ripetitivi e solo il gesso della luna crolla impercettibilmente nelle briciole al terremoto di un silenzio-luce - quando l'inchiostro domina c'è solo una lettera che non si sa leggere chiara come il mistero della Morte - come chi nell'esterno ha abbandonato il corpo per donare ad occhi aperti la visione dell'interiorità con due coppie di palpebre rivoltesi al passato, cadute ancor più dentro - solo il sogno una torcia miserabile un tentativo di interpretazione che riaffiorando non resta che a galla!
I Il cimitero della casa è esteso ed alla tomba della stanza bussa lo sguardo all'altro mondo della veglia - ma non apre, non apre, sa che dorme - si versa come lacrima fermatasi sulla guancia di un attimo compatto - sa che la decomposizione eludi che la testa è risorta dal naufragio - che il sonno naviga sulla sua zattera, che l'isola di un sogno si profila a un orizzonte d'interiorità - mentre il resto del corpo è rivestito dall'abbraccio materno di una bara che parte dalle dita dei tuoi piedi e arriva al collo a darti una carezza.
II Ma il volto fuoriuscito è la sua tomba con cui il visitatore si orienta per arrivare al suo ripiegamento e questo è morte è il suo lutto interiore - le pupille le versa nella notte perché nessuno veda che lui piange - mentre il resto del corpo è il suo fanciullo che nel lenzuolo ha la sua bara bianca.
III La specularità è un'invenzione - io sono il mare e il mio lenzuolo è spuma - e fluttuo in una morte provvisoria risalirò ché voglio raccontarla - ma non potrò, sarà il sonno sommerso assieme al cuore del suo sogno spento - le pupille son lacrime che aggiungono colore al lutto che rende la morte una vivente che non può vedersi tra la folla accecata dal suo pianto - mentre lassù si crea un'opposizione - anche la notte è un corpo che si oblia e sprofonda all'interno nel suo nero per sognare nient'altro che il suo sonno e le stelle ai non occhi che s'accendono sono quelle che invece fanno luce!
IV Tutto si spegne per mirare al nero nel profondo di sé, solo una luce, oscurità che abbaglia ed è uniforme - solamente le stelle si sparpagliano e con un'alternanza irrinunciabile compensano lassù l'assenza di occhi aperti a fare luce qui nel mondo!
V Ti crederai più solo nella morte quello che resterà altro da te - le tue pupille guarderanno nero ai loro piedi, l'unico colore per dire tutto ha preso la sua essenza e la trascina a rendere assentato quel passato che finalmente oblii - e le stelle saranno ribellione - il sacerdote della Luna muto nell'abito tranne che nel riflesso gettato, anch'esso è un'eco di silenzio - con la loro presenza si diranno lacrime in veglia a non spegnersi via reclameranno a sillabe la luce, la defunta di tutto l'universo!
VI A cosa serve quando è buio ovunque? Specularmente, e sono mare e terra? E il cielo è lassù solo a disperarsi in silenzio come di un gemello perduto nella morte più interiore? Quando il buio è al buio anche di sé le stelle, ecco, lo portano alla luce, luci che lo salvano dall'oblio, resurrezione in delle loro lacrime, sconfitta della fine nella stasi, sulla guancia di un tempo che non scorre!?
Combattere quest'analfabetismo, l'ignoranza è una decomposizione, il buio è tutto il sonno della cenere che si raccoglie in ciglia, tutto l'animo dorme in profonde più interiori altezze, e lontana parente del suo volto è la luna col cranio, quieta insonne, scompare sul cuscino di una nube chiude e riapre il suo occhio senza sosta liquido il Tempo come fluttuante, spume raddoppiano l'agitazione, ma pur di non vedere il vuoto scendere in mare, in terra, approfondirsi, Essa vi si aggrappa come fossero zattere... Ma qualcosa rimane nel passato, la pelle che si spense poco a poco in agonia di sangue col tramonto, il contatto dell'acqua le appiccò l'incendio che bruciava lentamente – solo carboni, quest'oscurità – s'alzò statica in scintille di ceneri – ogni granello aveva la certezza di non potere essere scomposto in qualcos'altro ancora, riaffioravano dal terreno del buio le sue palpebre, i capolini delle sue pupille ebbero nei riflessi una rugiada – dalla tabula rasa dei colori nella lettura di un testo già scritto di parole consistenti in un'unica lettera, ripetentesi infinita, cominciò a riconoscere la luce, materia prima di quest'universo, dal banco, dove stava, della terra, verso la cattedra, senza insegnante, del cielo, nell'aula del suo pianeta.
E questo risvegliarsi è un maledire – l'anima dello sguardo defluisce via, risacca, dalla costa dell'intimo – ebbe paura, gridò nel silenzio il tutto buio – finì per volerlo assuefatto, all'esterno, nella Notte – cosa congiura con il suo respiro con le sue dita, con il balbettio, alzò il capo, fece sì che vi fosse il ritorno del volto, congedò dallo sguardo celeste la sua nuca – il primo sonno per chi non può altro se non scendere giù e fargli toccare il fondo del pozzo in ogni asfalto – e in fila e folla, fiamme, quei lampioni – e l'insonne passante ch'è un dannato – le stelle, una minaccia della luce – oltre il suo ciglio, la pupilla ha al centro il sogno della lacrima nel lutto – un apice che discende obliandosi con dolcezza ormai estranea col riflesso – torce puntate su di te che aspiri animale notturno a compier crimini che tu stesso per primo non conosci.
Figlio perduto e Madre nel suo lutto, nell'unicum del cielo che si alterna in veste di colori azzurra e nera, pupilla dilatata in veglia insonne getta l'ombra sul dove fu sepolto, e piange ardendo lacrime di stelle che lo fanno risorgere da ceneri, miracolo di inconsapevolezza, fiamme accese di ceri già consunti balbettano in corale solitudine un incipit di preghiera che estingue in sparpagliate lontananze luce.
Palpebra superiore che lo veglia, ciglio vestito in abito di lutto, il bianco ha il suo declino nell'argento, lo specchio frantumato, le sue rughe... L'aldilà è Tempo, Notte, il matrimonio i funerali della solitudine all'altare del centro, su nel cielo, ostia innalzata a sguardi provenienti da peccati di insonnia per la via, giunge la sposa ch'abbassa il suo velo, e nella sabbia oscura senza fondo, sballottata dalle onde delle nubi, dal nulla del loro esser stati corpi alle ceneri della sparizione, la tregua è l'urlo sfumante dell'ossa, cuscini senza fianco che galleggiano sonnambuli sul loro pavimento, perla naufraga in cerca della sua ostrica, la luce nelle sue doglie di raggi la partorì col sangue del crepuscolo, l'abbandonò, sola, orfana alla sorte.
Cadde suicida a seppellirsi il Sole, sembrò scegliesse il mare come tomba, ed era invece l'infinito nulla. E dalla cremazione del defunto, dal buio delle sue ceneri emerse con le stelle la carne ch'era allora fuoco ridotto all'ultime scintille, sogno che aveva sulla fronte Dio di nostalgia su palpebre abbassate e su pupille dilatate come a urlare nel silenzio il loro lutto di cecità, Madre che perse il cuore nel vedere, strappato, il proprio figlio all'aldilà degli abissi profondi, eppure allungò il corpo col riflesso, tremando accarezzò la superficie, volto si fece solo alla scoperta dell'apparire della nudità, il resto fu un coprirsi custodendosi nel lutto della sua veste di sonno, e nel pallore di un'insonnia eterna guardò allo specchio di uno sguardo umano sé stessa diventata già il suo cranio, pianta la pelle via dalle sue ossa, purificata come dal peccato.
È una dilatazione di pupilla che si distende nel sonno agognato? È veglia di preghiera il firmamento? Le lacrime quel sogno delle esequie? È ciò che spera l'ateo nel tempo, nel suo spazio ch'è come fosse chiesa, porte aperte di un buio senza fine, la luna, ostia impossibile a raggiungersi per le labbra di un nottivago insonne? E ceri di inutilità infinita quasi fanno risorgere l'orrore della visione di una luce in pezzi, sillabe di una fede balbuziente in procinto di lasciarsi inghiottire dalle fauci di un buio di silenzio?
Il buio in lutto non può perdurare nella sua eternità di distensione sulla terra della sua atmosfera, ovunque è occhio salvato all'oblio, pupilla ch'è rimossa dal suo sonno, guancia che lascia lenta scivolare, un insieme di stasi da mirare, e le stelle sono pause di lacrime che con un'insistita intermittenza fanno come rinascere la luce!
Volto di buia cenere di chiesa riverso a riprovare che si china per toccare ogni fondo del suo pozzo: e tutto sembra morto dacché statico, quei lumini di stelle sono orpelli, tra gli uccelli oramai nessun fedele, nella preghiera di un volo di fretta, solo il quarto di luna con la forma di una lacrima d'osso suggerisce che esiste ancora un lutto di candore!