Vita nel suo teatro a cielo aperto, un pubblico di cenere, la messa in scena che si decompone, e non vidi nessuno e cominciai a vedere nelle onde gli attori usciti solamente allora alla ribalta, fattisi già ossa, inchinarsi alla sabbia.
Quando io canto il suono del mio sguardo e la palpebra, petto coraggioso, fa sbocciare il suo fiore, apre al tocco del dito della luce il cuore oscuro della sua pupilla, quando esplorando quel celeste buio che rende me già simile a Demodoco, raggiungo il centro, arrivo a quella meta, ch'è il sommo buio biondo, comincio a raccontare nella folla impazzita dell'anima e del sangue e dell'ossa e degli organi, la voce tace, è silenzio dell'inascoltato.
Ognuno era un apostolo di luce, l'ultima cena avvenne nel celeste: ci fu una mano che sembrò spezzare il pane, il Sole, l'unica pietanza di cui a ciascuno offrì una delle fette che venne rifiutata dalle palpebre, miracolo, riuscisse ad apparire ancora intero: usciti dalla mensa verso il tramonto, volti al suo martirio, anche il colore della sua tovaglia cambiò, fu nero, segnalò il suo lutto e le stelle, le briciole rimaste e non spazzate via, né da lì tolte furon celebrazione del ricordo.
Stanco di sobrietà che erano mostre di raggi, pelli lucenti di un essere che si porgeva a sorsi sulle labbra ch'avevano quel centro della bocca nell'occhio, nella sua pupilla chiusa, chiese per sé come se ragionasse, anzi scegliesse con la testa d'altri, un vino, un sangue d'anima celeste. E quel sorso, brevissimo momento, bastò a condurlo al sonno della Notte.
Come fuori dal convento del buio che le impediva di guardar l'immagine e contemplarla nella sua bellezza, la luna, il volto di una suora, steso sullo specchio supino del suo mare. E il riflesso di luce fu un più spoglio restare casta, generando equivoci.
Se mi chiedessi il tema che non sia teoria, se mi chiedessi il tema e fosse pratica, e una sola parola utilizzassi per sintetizzarlo ossia "silenzio", io scolaro attento alla consegna, lascerei il mio foglio completamente in bianco.
Non vi fosse la penna a mostrare l'inganno, fare da intermediario, penserei che l'inchiostro fosse un sangue attirato da bianche calamite, quest'ossa, questi fogli che le chiedono di ricoprirli perché sia la vita risuscitata in loro, e la mia persa, come un foglio, lo scheletro, ormai bianco uno scolaro analfabeta ignaro della lingua del sangue dell'inchiostro.
Non sono io, la bocca ma tutto il resto dove non si parla, né si vede, s'ascolta, né s'odora, si tocca, né si gusta l'organo è il mio silenzio e lo dice la morte sul mio corpo.
Tutto quello ch'è mio io lo porto con me per l'ultimo viaggio fosse anch'un buio come quello da cui venivo prima di stare qui, stare? Passare qui! E chiedo intorno chi mi vuol seguire Chi? Chi, non solo chi, ma anche cosa, ma soprattutto cosa!? E vedo i miei oggetti fare spazio ad altri oggetti di cui fui in possesso come se tra di loro non sapessero quali fossero veramente miei, ma solo che alcuni tra di loro lo fossero, lo fossero ormai stati. Perché restava un vuoto nel davanti, sulla mia soglia, prima di partire vidi che le mie mani non avevano nessun oggetto, mi sentii più povero; e soprattutto vile perché feci subito dopo il corpo il mio possesso e quindi mi sentii ricco di me. Ma il corpo cadde via dalle mie mani volle cadere, lui, lasciarsi andare nel rimanere a terra, decomporsi; e mi trovai lontano da chiunque, privo d'ogni risposta in ogni altro, la domanda fu quasi una risposta che ripetei per rendermene certo: "Chi viene via con me, chi porto via?" Forse soltanto l'anima, invece solo il nulla!