Scritta da: Andrea De Candia
in Poesie (Poesie d'Autore)
Con le pietre lanciate
contro di me
ho costruito le mura
della mia casa.
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Con le pietre lanciate
contro di me
ho costruito le mura
della mia casa.
Accarezzami, amore,
ma come il sole
che tocca la dolce fronte della luna.
Non venirmi a molestare anche tu
con quelle sciocche ricerche
sulle tracce del divino.
Dio arriverà all'alba
se io sarò tra le tue braccia.
Sul, limitare, tra la casa e 1'orto
dove son brulli gli alberi, te voglio,
che vi verdeggi dopo ch'io sia morto,
sempre, agrifoglio.
Lauro spinoso t'ha chiamato il volgo,
che sempre verde t'ammirò sul monte:
oh! Cola il sangue se un tuo ramo avvolgo
alla mia fronte!
Tu devi, o lauro, cingere l'esangue
fronte dei morti! E nella nebbia pigra
alle tue bacche del color di sangue,
venga chi migra,
tordo, frosone, zigolo muciatto,
presso la casa ove né suona il tardo
passo del vecchio. E vengavi d'appiatto
l'uomo lombardo,
e del tuo duro legno, alla sua guisa
foggi cucchiari e mestole; il cucchiare
con cui la mamma imbocca il bimbo, assisa
sul limitare.
Poiché l'alba si accende, ed ecco l'aurora,
poiché, dopo avermi a lungo fuggito, la speranza consente
a ritornare a me che la chiamo e l'imploro,
poiché questa felicità consente ad esser mia,
facciamola finita coi pensieri funesti,
basta con i cattivi sogni, ah! Soprattutto
basta con l'ironia e le labbra strette
e parole in cui uno spirito senz'anima trionfava.
E basta con quei pugni serrati e la collera
per i malvagi e gli sciocchi che s'incontrano;
basta con l'abominevole rancore! Basta
con l'oblìo ricercato in esecrate bevande!
Perché io voglio, ora che un Essere di luce
nella mia notte fonda ha portato il chiarore
di un amore immortale che è anche il primo
per la grazia, il sorriso e la bontà,
io voglio, da voi guidato, begli occhi dalle dolci fiamme,
da voi condotto, o mano nella quale tremerà la mia,
camminare diritto, sia per sentieri di muschio
sia che ciottoli e pietre ingombrino il cammino;
sì, voglio incedere dritto e calmo nella Vita
verso la meta a cui mi spingerà il destino,
senza violenza, né rimorsi, né invidia:
sarà questo il felice dovere in gaie lotte.
E poiché, per cullare le lentezze della via,
canterò arie ingenue, io mi dico
che lei certo mi ascolterà senza fastidio;
e non chiedo, davvero, altro Paradiso.
La stanza tua piena di fiori
e due coltelli, i testimoni
di un rito che non ha padroni
un rito l'unico rimedio
a libertà negate a volontà spezzate
In mezzo al sangue
lei per terra vinceva la sua guerra
senza parlare senza accusare dei suoi tre mesi
di dolore, di rancore, di timore
ecco l'immagine
e tutto a un tratto mi sembra assurdo
le strade son di burro si scivolava
si sprofondava che si faceva noi
Dov'è il coraggio di continuare a dar la vita
tra le macerie se la gente non ci sente più,
forse daranno un paradiso a donne come lei
che così han deciso
E in tutta questa distruzione
Io cerco un'altra direzione ma sono già troppo lontana
qualcosa brucia dentro me, dentro di me
si torce l'anima
cos'è successo, che cosa resta adesso
che cosa sono io
le grida spaesate
le mani morsicate sue.
Il peso del mondo
è amore.
Sotto il fardello
di solitudine
sotto il fardello
dell'insoddisfazione
il peso,
il peso che portiamo
è amore.
Chi può negarlo?
In sogno
ci tocca
il corpo,
nel pensiero
costruisce
un miracolo,
nell'immaginazione
s'angoscia
fino a nascer
nell'umano
s'affaccia dal cuore
ardente di purezza -
poiché il fardello della vita
è amore,
ma noi il peso lo portiamo
stancamente,
e dobbiam trovar riposo
tra le braccia dell'amore
infine,
trovar riposo tra le braccia
dell'amore.
Non c'è riposo
senza amore,
né sonno
senza sogni
d'amore
sia matto o gelido
ossessionato dagli angeli
o macchine,
il desiderio finale
è amore
non può essere amaro
non può negare,
non può negarsi
se negato:
il peso è troppo
deve dare
senza nulla in cambio
così come il pensiero
si dà
in solitudine
con tutta la bravura
del suo eccesso.
I corpi caldi
splendono insieme
al buio
la mano si muove
verso il centro
della carne,
la pelle trema
di felicità
e l'anima viene
gioiosa fino agli occhi
sì, sì,
questo è quel
che volevo,
ho sempre voluto,
ho sempre voluto,
tornare
al corpo
dove sono nato.
Ora dalla notte al giorno.
Ora da un fianco all'altro.
Ora per trentenni.
Ora rassettata per il canto dei galli.
Ora in cui la terra ci rinnega.
Ora in cui il vento soffia dalle stelle spente.
Ora del chissà-se-resterà-qualcosa-di-noi.
Ora vuota.
Sorda, vana.
Fondo di ogni altra ora.
Nessuno sta bene alle quattro del mattino.
Se le formiche stanno bene alle quattro del mattino
- le nostre congratulazioni. E che arrivino le cinque,
se dobbiamo vivere ancora.
Lasciami andare contro la parete
tu che hai un fucile carico d'inganni
e che vuoi farmi morta con la vita
Non morirò ché la tua donna è eterna
solo perché ti ha guardato negli occhi
dentro il gran giorno della primavera.
Dovrei paragonarti ad un giorno d'estate?
Tu sei ben più raggiante e mite:
venti furiosi scuotono le tenere gemme di maggio
e il corso dell'estate ha vita troppo breve:
talvolta troppo cocente splende l'occhio del cielo
e spesso il suo volto d'oro si rabbuia
e ogni bello talvolta da beltà si stacca,
spoglio dal caso o dal mutevol corso di natura.
Ma la tua eterna estate non dovrà sfiorire
nè perdere possesso del bello che tu hai;
nè morte vantarsi che vaghi nella sua ombra,
perché al tempo contrasterai la tua eternità:
finché ci sarà un respiro od occhi per vedere
questi versi avranno luce e ti daranno vita.
Donna, come ti chiami? - Non lo so.
Quando sei nata, da dove vieni? - Non lo so.
Perché ti sei scavata una tana sottoterra? - Non lo so.
Da quando ti nascondi qui? - Non lo so.
Perché mi hai morso la mano? - Non lo so.
Sai che non ti faremo del male? - Non lo so.
Da che parte stai? - Non lo so.
Ora c'è la guerra, devi scegliere. - Non lo so.
Il tuo villaggio esiste ancora? - Non lo so.
Questi sono i tuoi figli? - Sì.